Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 01/09/2013, a pag. VII, l'intervista di Davide Agazzi ad Asaf Avidan dal titolo "L’invito a boicottare Israele? Io faccio musica, non politica".
Asaf Avidan
Nessuna replica alla mail inviata agli organizzatori del concerto, che si aspettano il presidio ai cancelli del centro commerciale. Non si sbilancia Avidan, che già l’inverno scorso aveva risposto a una lettera ricevuta in occasione del suo concerto all’Hiroshima Mon Amour, rivelando di esser d’accordo con il cambiamento proposto, in quanto liberale di sinistra, ma non con i metodi del collettivo. «Il semplice fatto che io abbia un microfono non mi dà il potere di usarlo come mi pare», scriveva. E la città si scalda, tra chi ha affisso i volantini per San Salvario con il volto del musicista e la scritta “Boycott Israel” e chi invece aspetta di scoprire dal vivo il giovane cantante di Gerusalemme, star internazionale dell’ultima edizione di Sanremo, che chiude l’estate del Gru Village, domani, alle 22 (biglietti a 25 euro).
Avidan, lei è nato nella Gerusalemme delle tradizioni e cresciuto nella mondana Tel Aviv, con una parentesi in Giamaica. Che quadro può fornirci di Israele?
«Per me Israele è un paese normale, come penso sia normale il proprio paese per chiunque. E non è solo quello di cui parlano i giornali, delle bombe e degli attentati. Sono cresciuto a Gerusalemme e vivo a Tel Aviv, ma non per questo sento una particolare influenza né alcuna limitazione, vivo una vita normale e cerco di comunicare con la mia musica».
Qual è la sua posizione nei confronti del suo governo?
«Come ho già avuto modo di dire, a casa mia sono considerato un liberale di sinistra, e mi adopero, nei modi in cui le istituzioni democratiche me lo consentono, per provare a cambiare il governo israeliano e la sua politica. Credo che questo sia il mio dovere di cittadino. Ma, se concordo sul fatto che il cambiamento ci deve essere, non condivido con Boycott Israel né l’opinione sui modi di perseguirlo né un’idea basata sulla contrapposizione bianco-nero. Anche perché l’arte deve servire per unire e non per dividere: penso che suonare a Ramallah sia molto più utile che boicottare Tel Aviv».
Lei torna a Torino dopo il sold out dello scorso inverno all’Hiroshima. Si è trovato bene in Piemonte? Che cosa è cambiato in questi mesi?
«Si, non conoscevo questa città e la passata esperienza è stata molto piacevole. Non so dire cosa sia cambiato per me nel frattempo; ogni artista è sempre in costante evoluzione e penso che sia così anche per me, anche se non me ne accorgo. È un processo naturale».
In Italia sta riscuotendo molto successo, è anche salito sul palco dell’Ariston. Che esperienza è stata? Cosa pensa dell’Italia?
«Sanremo è stata un’esperienza molto interessante ed unica, non
avevo mai partecipato ad eventi così importanti. Mi sono trovato molto bene. Conosco l’Italia, mi piace e ho amici italiani, non penso però si possa generalizzare l’impressione sul paese».
Buona parte delle sue fortune la deve ad una sola canzone, rivisitata dal dj tedesco Wankelmut. È vero che non le piaceva tanto il remix?
«Come ogni artista, anche io sono
più legato alle mie creazioni, rispetto alle elaborazioni di altri. Non so dire se ora concederei nuovamente i diritti per lavorarci sopra, di sicuro adesso sono contento di poter esprimere la mia musi-
ca ad un pubblico più vasto. E non è solo una questione di marketing».
In molti si sono chiesti se il suo successo sia stato solo un colpo di fortuna o ci sia davvero del talento dietro, visto che nei suoi dischi ha dimostrato di saper maneggiare con maestria generi e stili diversi, dal blues al folk, dal rock al pop.
«Compongo semplicemente quello che mi viene in mente, senza pensare ad un genere o ad un altro. È tutto molto spontaneo, non sento particolari differenze, mi piace esprimermi sotto diverse forme ».
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