Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 31/08/2013, a pag. 3, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Satelliti e social network, così i servizi hanno trovato le ‘pistole fumanti’ ", a pag. 1-4, l'articolo di Gianni Riotta dal titolo " Barack più solo di Bush ". Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " E Assad guadagna tempo ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Le fregnacce intollerabili sulla Siria ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 14, l'articolo di Massimo Gaggi dal titolo " Il rammarico della Casa Bianca per i toni accesi della Bonino ".
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Satelliti e social network, così i servizi hanno trovato le ‘pistole fumanti’ "
Maurizio Molinari
Intercettazioni di comunicazioni militari, immagini satellitari, video girati in loco e testimonianze dirette raccolte grazie ai social network sono alla base del documento di quattro pagine con cui l’amministrazione Obama ha reso pubbliche le prove a carico del regime di Bashar Assad sull’uso, il 21 agosto, delle armi chimiche nei quartieri Est di Damasco ricostruendo un attacco realizzato con il ricorso anche al gas sarin, protrattosi per circa quattro ore, messo a segno con il lancio di razzi e proiettili di artiglieria, e costato la vita ad almeno 1429 civili, inclusi 426 bambini.
La decisione
La scelta dell’attacco non è stata casuale. Il regime siriano «è impegnato nel tentativo di espellere le forze dell’opposizione dai sobborghi di Damasco perché consentono di lanciare attacchi contro gli obiettivi del regime nella capitale» ma «l’uso di tutte le armi convenzionali a disposizione non è riuscito nell’intento» e dunque «hanno deciso di usare le armi chimiche il 21 agosto» per colpire «dodici aree» nel Guthah orientale. A realizzare l’azione è stato il personale del «Centro di studi e ricerche scientifiche siriano» che gestisce le armi chimiche e dipende dal ministero della Difesa ma «il primo responsabile è il presidente Bashar Assad».
La preparazione
Il personale siriano è stato osservato dall’intelligence mentre «preparava le munizioni chimiche prima dell’attacco». Nei «tre giorni precedenti» al 21 agosto sono stati raccolte testimonianze «umane, segnaletiche e geospaziali che rivelano la preparazione delle armi». Il personale siriano «ha operato dai sobborghi di Adra, da domenica 18 agosto fino alla mattina di mercoledì 21 agosto, vicino ad un’area che il regime adopera per mischiare armi chimiche differenti, incluso il sarin». Il 21 agosto le forze siriane si sono apprestate a lanciare i gas «indossando maschere anti-gas» al fine di proteggersi. Nei giorni precedenti all’operazione «l’intelligence non ha osservato preparativi di attacco chimico da parte dell’opposizione».
L’attacco
I 12 quartieri a Est di Damasco «sono stati attaccati con razzi e colpi di artiglieria sin dalle prime ore del mattino del 21 agosto». Sono stati «i satelliti a osservare che gli attacchi sono partiti da aree controllate dal governo, diretti verso Kafr Batna, Jawbar, Ayn Tarma, Darayya e Muaddamiyah» ovvero quartieri in mano all’opposizione. In particolare «sono stati osservati lanci di razzi da aree controllate dal regime a partire da circa 90 minuti prima dell’inizio delle denunce sui social media». Fonti locali affermano che l’attacco «è iniziato alle 2.30 del mattino ed è continuato per quattro ore».
Le vittime
Gli ospedali di Damasco «hanno accolto circa 3600 pazienti con i sintomi dell’esposizione a gas nervino nell’arco di appena tre ore». Personale medico «siriano e internazionale presente sul terreno» ha confermato «l’esposizione di massa al gas nervino» che ha provocato «la morte di 1429 persone, inclusi almeno 426 bambini». Vi sono «circa cento video», girati in loco e in gran parte diffusi attraverso i social network, «che mostrano un gran numero di vittime con i segni evidenti dell’esposizione al gas nervino».
Le intercettazioni
L’intelligence americana ha «intercettato comunicazioni da parte di un alto funzionario ben al corrente dell’offensiva nelle quali si conferma che le armi chimiche sono state adoperate il 21 agosto, esprimendo anche timore che gli ispettori Onu possano ottenerne le prove». Ulteriori intercettazioni provano che «nel pomeriggio del 21 agosto il personale siriano ha avuto l’ordine di cessare l’attacco con i gas» e «al tempo stesso il regime ha intensificato il bombardamento di artiglieria verso i quartieri che erano stati colpiti con le armi chimiche». Nelle 24 ore seguenti l’attacco «il ritmo dei colpi dell’artiglieria su questi quartieri è stato di quattro volte superiore a quello registrato nei dieci giorni precedenti». L’artiglieria ha continuato a colpire «fino al 26 agosto» al fine di cancellare le prove del lancio dei gas.
I precedenti
Non è la prima volta che le forze siriane usano i gas contro i civili: «Lo hanno fatto più volte su scala ridotta lo scorso anno, anche nei sobborghi di Damasco».
La STAMPA - Gianni Riotta : " Barack più solo di Bush "
Gianni Riotta
Il due settembre l’America celebra il week end di Labor Day, che chiude la stagione estiva, il 5 il presidente Barack Obama va a San Pietroburgo, in Russia, per il G 20, ma senza summit bilaterale con il leader russo Putin.
Dopo le dichiarazioni di ieri del segretario di Stato John Kerry, la finestra per l’attacco contro il regime siriano di Bashar Assad, in punizione per l’uso di gas vietati dalla Convenzione del 1925, cade in questi giorni. Obama e Kerry hanno inquadrato la tattica del blitz, non far cadere il presidente Assad – si teme che il vuoto di potere a Damasco sia occupato da salafiti, fondamentalisti e jihadisti-, non distruggere l’arsenale chimico, custodito in bunker resistenti ai missili Cruise Tomahawk, ma degradare gli aeroporti, le rampe di lancio di missili, gli aerei, i radar, incoraggiando i ribelli sul campo. Scopo dell’operazione è dimostrare ad Assad, Putin, la Cina e l’Iran che il presidente mantiene la parola, e forzare il regime alawita a trattare. Una Conferenza di pace convocata mesi fa fu boicottata da Mosca e fallì senza cominciare. Oggi, sabato, gli ispettori Onu lasciano la Siria, la prudenza dominerà fino alla loro partenza per presentare il rapporto al Segretario generale Ban Ki Moon.
Nell’agosto 2013 tutti stanno ricombattendo, come si diceva dei generali di una volta, la guerra del passato, si parla di Siria, si pensa all’Iraq. Gli inglesi hanno bocciato in Parlamento, il premier Cameron per punire, retroattivamente, il premier laburista Blair che andò in guerra in Iraq con il presidente repubblicano Bush. I francesi, deprecati dieci anni fa sui tabloid Usa come «scimmie» per il no del conservatore Chirac a Bush, sono oggi elogiati da Kerry come «i nostri più antichi alleati» perché il presidente socialista Hollande vuole colpire Assad, persuaso che lasciare impunito l’uso di gas in Medio Oriente porti a una tragica escalation dal Libano all’Iran.
Dieci anni fa Bush veniva condannato come «unilateralista» in Iraq, oggi il premio Nobel per la Pace Obama, che ha predicato multilateralismo nelle università arabe, in Germania, ovunque, è più solo di Bush figlio, che aveva almeno dalla sua Regno Unito, Spagna, Italia, e perfino intellettuali democratici da Havel a Hitchens a Berman al Nobel Ramos-Horta. Obama, che si è illuso di rappacificare l’America con il mondo, è solo, a bordo campo la Germania in vigilia elettorale, a bordo campo Italia e Spagna concentrate sulla crisi interna. Dell’Onu, Obama parla con una durezza, una frustrazione, che mai lo stesso Bush ha usato contro le Nazioni Unite «inefficaci, con il Consiglio di Sicurezza bloccato». La crisi economica 2008 germina isolazionismo, ogni paese per sé, un grave male nel mondo globale.
Sulle riviste accademiche, a lungo, infurierà il dibattito su prove legali, diritto internazionale, alleanze, dottrina dell’intervento umanitario, ma la parola è ora alla politica e alle armi. Se Obama, colomba in politica interna falco in politica estera, non agisce dopo avere intimato ad Assad di non usare i gas, la sua credibilità è dissolta e i suoi nemici, nel mondo e nel Congresso Usa, lo sbraneranno. Reagan in Libano 1983 e Libia 1985 e Clinton in Kosovo 1995 gli danno precedenti di interventi unilaterali che non spaccano l’America come l’Iraq 2003. Obama ripete «Non manderò truppe in Siria», il veterano decorato del Vietnam Kerry ammonisce «Dopo 10 anni l’America è stanca di guerra, io sono stanco di guerra», ma la scelta dell’inazione sarebbe la fine della presidenza Obama e dei suoi, esagerati dagli ingenui, sogni di armonia planetaria.
Cinque cacciatorpedinieri Usa della classe Arleigh Burke, ciascuno armato con circa 35 missili cruise
Tomahawk, sono al largo della Siria. Non dovrebbero partire bombardieri, ma solo missili, non contro i siti chimici ma contro aeroporti. Esperti militari calcolano in un centinaio i missili che verranno lanciati sui bersagli siriani, ma i piani cambiano ogni ora.
Sia Obama che Hollande sanno che la crisi siriana non ha soluzione militare. Sono coscienti dei rischi, Assad può perdere la testa, lanciare rappresaglie contro la sua popolazione non alawita o contro Israele. Russia, Iran, Hezbollah in Libano possono favorire focolai di guerriglia e violenza. Ma due leader di sinistra, il democratico speranza della «New America» e il socialista della «Nouvelle gauche» europea, sono persuasi che venti anni di diritto umanitario, dai Balcani all’Afghanistan, verranno cancellati se si lascia passare un attacco con i gas senza reagire. Gli americani sono divisi, 50% a 50%, una sottile maggioranza dice si a un attacco solo aereo. I francesi sono altrettanto divisi, ma la maggioranza degli elettori del centro-sinistra appoggia Hollande.
Come è cambiato il mondo in dieci anni! Ieri le teorie dei neoconservatori di Bush, oggi i pragmatici liberal di Obama. Ieri l’aristocratico ministro francese Dominique Marie François René Galouzeau de Villepin, che in suo saggio aveva scritto di esaltarsi al profumo della violetta «Fiore di Napoleone» diventò icona dei pacifisti, oggi la stampa popolare Usa fa del socialista Hollande il nuovo generale Lafayette che soccorre Washington.
Propaganda ieri, propaganda oggi, conta zero. In Siria non ci sono soluzioni buone, ottime o perfette, solo cattive, pessime o tragiche. Russia, Cina e Iran optano per lo status quo pro Assad. L’Onu è grippata, Londra, Berlino, Roma, Madrid hanno altri guai. Obama, solo con il nuovo compagno Hollande, prova un colpo di mano, solo tattico, a smuovere la situazione. Scommette sulla «cattiva soluzione», sperando di non scatenare la tragica, come dalle loro tombe appena scavate testimoniano le 1.429 vittime innocenti dei gas, 426 bambini.
LIBERO - Carlo Panella : " E Assad guadagna tempo "
Carlo Panella
Barack Obama è riuscito in un’impresa che pareva impossibile: per la prima volta da 100 anni gli Usa condurranno un’azione bellica senza avere la Gran Bretagna al loro fianco, interrompendo la special relationship che dai tempi della Prima guerra mondiale lega Washington a Londra. La clamorosa sconfitta di David Cameron alla Camera deiComuni, il rifiuto non solo dei laburisti, ma anche di 48 parlamentari della sua coalizione (conservatori e liberali), di approvare un azione militare contro Assad non sono peraltro il frutto di un improvvisa ondata di pacifismo tra i conservatori britannici. È conseguenza diretta dell’enorme confusione che caratterizza da due anni in qua la politica nei confronti della Siria dell’amministrazione Usa, con ricadute su tutti i suoi alleati. Confusione che è ben registrata - e questo è ancora più grave per Obama - anche dalle forze armate Usa, che tramite il loro comandante, il generale Martin Dempsey, hanno fatto notare alla Casa Bianca che non avevano affatto ricevuto dal commander in chief disposizioni chiare, la definizione di una strategia politico-militare che permettesse loro di elaborare dei piani di intervento efficaci. Confusione che è palpabile nell’opinione pubblica Usa (per non parlare di quella inglese ed europea) che non capisce come mai il presidente per due anni e mezzo abbia lasciato che Assad massacrasse con armiconvenzionali 100mila civili sirianimentreora vuole intervenire militarmente contro il suo regime assassino perché ha sterminato con armi chimiche a Goutha ulteriori mille civili. Quasi esistessero vittime inaccettabili e vittime accettabili. Di conseguenza, solo il 16% degli americani approva eventuali raid, mentre il60%è nettamente contrario. Più netto ancora l’esito dei sondaggi in Gran Bretagna. Resta ora aObamasolo la compagnia di François Hollande, che però un giorno invoca una «soluzione politica» e il giorno dopo annuncia di essere pronto all’intervento, ostacolato anche in Francia da enormi contrarietà dell’opinione pubblica e dello stesso partito socialista. Resta anche a Obama la piccola speranza che martedì prossimo il Parlamento inglese, a fronte dei risultati della missioneOnu a Damasco che confermino l’uso di gas proibiti, ritorni sui suoi passi e autorizzi i raid, rappezzando una lacerazionecomunque ormaiirreparabile. Nulle sono poi le possibilità che il Consiglio di Sicurezza dia la sua copertura a un intervento militare. La Russia infatti confermalasuatotale indisponibilitàalevare ilveto che frappone da due anni, rafforzata dalla figuraccia fatta da Cameron. Il risultato di questo quadro caotico è che l’azione militare contro la Siria è stata - pare - spostata a mercoledì. Il tutto regala ad Assad un enorme vantaggio tattico e strategico. Il regime siriano ha infatti tutto l’agio per spostare le armi più importanti (in primisquelle chimiche) dai siti già individuaticometarget dei raid dai servizi segreti Usa e anche per mettere al riparo tutto il QuartierGenerale. Sul piano strategico, Assad non può che gioire nel constatare che il fronte a lui avverso assomiglia ormai a una vera e propria Armata Brancaleone. L’ex Segretario alla Difesa Usa Donald Rumsfeld ha definito la politica obamiana nel confronti della Siria con un termine inequivocabile: «Strategia senza cervello». Un’eccellente sintesi.
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Le fregnacce intollerabili sulla Siria "
Daniele Raineri
Roma. Un minimo di chiarezza nel dibattito sulla strage con armi chimiche in Siria e sull’intervento internazionale che potrebbe seguire. Ecco cinque argomenti infondati che circolano molto. C’è chi dice: “Assad non è stupido, non avrebbe attaccato con armi chimiche proprio quando c’era una squadra di ispettori Onu a Damasco”. Damasco ha completamente gestito la situazione. E’ vero che gli ispettori dell’Onu alloggiavano al Four Seasons, un hotel a cinque stelle nel centro della capitale distante tra i quindici e i venti chilometri dai siti colpiti con armi chimiche e sarebbero potuti andare sul posto in meno di un’ora di automobile. Ma sono stati bloccati dal governo per cinque giorni. Il mandato delle Nazioni Unite dava loro accesso soltanto ad altri tre posti, non erano liberi di muoversi. Nel frattempo l’esercito siriano ha bombardato quegli stessi siti con un fuoco d’artiglieria che è stato definito da chi è a Damasco “uno dei più intensi della guerra”. Le armi chimiche sono volatili. Non ci sono più prove fresche. C’è chi dice: “Assad sta vincendo, non c’era bisogno di usare le armi chimiche”. Il governo siriano sta riguadagnando terreno a Homs grazie all’aiuto del gruppo libanese Hezbollah, ma sta perdendo ad Aleppo e a Damasco. La brigata ribelle Liwa al Islam sta premendo sugli assadisti lungo gran parte della tangenziale che circonda la capitale e proprio il suo settore è stato colpito dai razzi con testate chimiche. Ci sono quartieri di Damasco sottoposti a intensi bombardamenti con i mortai dai ribelli – qualche colpo è caduto sul convoglio presidenziale di Assad, lo scorso 8 agosto. C’è chi cita Carla Del Ponte, magistrato svizzero che ora lavora per l’Onu, e i suoi “sospetti concreti” (?) che siano stati i ribelli a usare le armi chimiche. La notizia è di maggio ed è stata riciclata in questi giorni come se fosse attuale. La Del Ponte non fa parte del team d’ispettori che si occupa delle armi chimiche. Soprattutto, le Nazioni Unite meno di ventiquattr’ore dopo smentirono le sue dichiarazioni e presero le distanze. C’è chi accusa “le potenze imperialiste” di cercare ogni pretesto per attaccare la Siria. La guerra civile in Siria è davvero un garbuglio di torbidissime interferenze straniere, dal Qatar all’Iran, ma se si parla di intervento diretto e di potenze imperialiste – quindi: dell’America – non c’è mai stata così tanta riluttanza a intervenire. L’aggressione imperialista è una categoria obsoleta per giudicare questa situazione nel Mediterraneo orientale (eppure va ancora forte: basta vedere il blog di Beppe Grillo). Il precedente più citato è l’Iraq del 2003, ma anche in questo caso non regge. Quella fu un’invasione di terra, con il dichiarato intento del regime change: cacciare Saddam Hussein. Questo sarebbe un intervento limitato, una campagna aerea che non ha il fine ambizioso di sostituire Bashar el Assad con qualcun altro. Come dice la pagina satirica del sito del New Yorker: “Obama rassicura che la guerra non ha nessun obiettivo”.
CORRIERE della SERA - Massimo Gaggi : " Il rammarico della Casa Bianca per i toni accesi della Bonino "
Massimo Gaggi
Stupita e delusa per il passo indietro dell’alleato più fidato, la Gran Bretagna, l’Amministrazione Obama va avanti col suo piano di un attacco in Siria per punire l’uso di gas da parte del regime di Assad nonostante tutti i partner, salvo la Francia, si siano tirati indietro.
Washington ritiene di avere l’obbligo politico e morale di intervenire per non lasciare impunito un crimine contro l’umanità nonostante le defezioni a raffica (ieri si è tirata indietro anche la «fedelissima» Polonia e la stessa Nato) che il governo americano mostra di comprendere alla luce dello stato d’animo contrario a ogni intervento che prevale in Europa (opinioni pubbliche e parlamenti) e negli stessi Stati Uniti.
Ma se la rinuncia a intervenire viene compresa, al Dipartimento di Stato suscitano una certa amarezza posizioni contrarie all’attacco espresse ripetutamente e con un linguaggio assai acceso da alcuni leader europei e in particolare dal ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino. Tra alleati può capitare di avere divergenze, punti di vista diversi: rientra nella dialettica tra Paesi amici. Nel caso dell’Italia, quindi, non c’è una particolare delusione per la scelta del governo Letta di tenersi fuori dall’azione militare in assenza di deliberazioni dell’Onu o di altri qualificati consessi multilaterali. Quello che ha, invece, sorpreso è la determinazione e l’enfasi con la quale la Bonino si è espressa contro ogni azione militare e i suoi ripetuti riferimenti alla necessità di mettere tutto nelle mani di quelle Nazioni Unite che, stante l’intransigenza di Mosca e il veto annunciato dalla Russia ad ogni risoluzione punitiva nei confronti della Siria, hanno di fatto le mani legate. In diplomazia, dicono al Dipartimento di Stato, contano le posizioni che si prendono ma anche le parole che si usano e i toni.
Quelli della Bonino, la sua retorica accesa, hanno sorpreso. Non è un incidente, non è il caso di parlare di sconcerto. Ma di stupore e rammarico certamente sì. Forse gli americani ricordano la maggior determinazione dei radicali italiani durante la guerra nei Balcani. Ma ieri la Bonino, tornando sulla questione siriana in un’intervista a SkyTG24 ha spiegato con chiarezza perché si sta accalorando: «La Siria non è Belgrado, un attacco comporta rischi enormi, addirittura di una deflagrazione mondiale: senza mandato Onu, Damasco reagirà e potrebbero muoversi anche Hezbollah, Russia e Iran». In sostanza il ministro avverte che non si può entrare come elefanti nel devastante conflitto in atto nel mondo musulmano dove «allo scontro tradizionale sciiti-sunniti se ne aggiunge uno micidiale all’interno della famiglia sunnita».
Gli americani sono consapevoli di tutto ciò e, infatti, fin qui hanno temporeggiato. Ma ritengono che davanti all’uso di armi chimiche un segnale vada assolutamente dato: bisogna ricostruire un argine invalicabile. Senza, peraltro, scatenare un conflitto generale. Logica che non convince la Bonino che stavolta antepone pragmatismo ed esigenze di realpolitik ai ragionamenti sui diritti umani: «Parlano di attacchi mirati, ma i conflitti cominciano sempre così: quella è una polveriera e non è saggio buttarci dentro un fiammifero».
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