Infibulazione, un crimine che non è stato ancora fermato
commento di Annalisa Robinson
Annalisa Robinson
Piccole vittime di riti estivi condannati e dimenticati
Si avvia alla conclusione il periodo delle vacanze estive, in Gran Bretagna come in altri Paesi europei e del mondo. I giornali e i notiziari TV si concentrano, come di dovere, sulla Siria. Immagini di piccole vittime uccise o sfollate, di piccoli profughi, forse orfani, costretti a vivere di aiuti umanitari in accampamenti di fortuna, o a rischiare la vita su barconi fatiscenti alla ricerca di una sopravvivenza qualitativamente migliore. Immagini di aerei militari, missili e droni, destinati a portare cambiamenti di natura ancora ignota e aleatoria. Tutto il mondo ha gli occhi puntati sulla Siria.
Naturale che non si faccia attenzione ad altre piccole vittime, ad altri eventi, ad altri aerei. Già: è proprio in estate che, con la chiusura delle scuole, bambine di origine mediorientale o nordafricana vengono riportate nella patria dei loro antenati per venire “purificate”, ovvero sottoposte alla pratica barbarica della mutilazione genitale, da genitori che sanno benissimo che il rischio di essere arrestati o incriminati è nullo.
La mutilazione genitale (o FGM, che suona meglio, turba meno, anestetizza la dolorosa pratica, almeno per chi ne parla, ne legge, ne scrive) è illegale nel Regno Unito dal 1985, e dal 2003 viene punita, almeno teoricamente, con la carcerazione fino a 14 anni. Tuttavia, si stima che 20,000 bambine, a partire dai quattro (quattro…) anni siano in pericolo, e rischino di aggiungersi alle 66,000 donne attualmente residenti in Gran Bretagna che, secondo le stime, queste mutilazioni hanno già subito. Il rituale continua a essere condotto, nel Paese di residenza o nel Paese d’origine, ma finora nei tribunali inglesi non è stata emanata neppure una condanna. In base a informazioni fornite dalla polizia, otto casi sarebbero stati inoltrati ai pubblici ministeri della Corona, e si spera che finalmente anche questo tipo di reato arrivi davanti ai giudici e venga condannato come merita nelle persone che lo compiono o lo organizzano.
Non c’è bisogno di descrivere in che cosa consista la FGM. Si sa che ne esistono versioni più soft, mirate a sopprimere il piacere femminile, e versioni più estreme come quelle del Sudan e della Somalia – dolorose, rischiose, cariche di conseguenze, specialmente in caso di gravidanza. Si sa che a volte vengono compiute in contesti medici sterili e sicuri, ad esempio in Gran Bretagna e in Italia; più spesso con strumenti inadeguati, quali vetri rotti, rasoi usati, forbici, senza anestesia e con l’uso della forza. Si sa che si può morirne, per infezione o per emorragia; si sa dell’impatto traumatico e del dolore a vita che comporta. Si sa che questo orrore viene concepito come un rito di passaggio, e spesso festeggiato alla stregua di un battesimo cristiano. Negli ultimi dieci anni molto si è scritto di FGM; la si è condannata, si è ipocritamente cercato di trovare strade per aggirarla (ad esempio trovando forme “parziali” di mutilazione, che soddisfino le famiglie attaccate al rito, alla tradizione, senza danneggiare troppo coloro che la subiscono).
La documentazione esiste, esiste la consapevolezza della questione sia presso il pubblico che negli ambienti medici, e anche a livello governativo. La condanna è unanime e vigorosa. Nessuno osa difendere pubblicamente la FGM. Perché, allora, il “rito” continua ad essere consumato senza che nessuna delle persone implicate (genitori, “chirurghi”) venga processata e tantomeno condannata?
Ayaan Hirsi Ali
Ayaan Hirsi Ali, l’ex deputata olandese di origine etiope, a sua volta vittima di mutilazione negli anni dell’infanzia, ha una risposta in proposito: perché a tutt’oggi non esistono sistemi che permettano di rilevare questo crimine. Né in Gran Bretagna né in altri Paesi. Nel 2003, da deputata, Hirsi Ali aveva presentato un progetto di legge al Parlamento olandese, in cui si delineava un sistema di screening preventivo obbligatorio e annuale per le bambine a rischio. Tuttavia, i rappresentanti delle minoranze etniche e i capi delle comunità religiose avevano reagito con grande ostilità e in modo molto chiassoso, così che il ministro della sanità aveva fatto dietrofront e si era limitato a proporre uno screening volontario: tenendo presente che nei Paesi Bassi la FGM è punita con la carcerazione fino a 12 anni, si può facilmente intuire che un genitore che opta per questa pratica se ne infischi altamente dello screening volontario.
Hirsi Ali, che con la sua AHA Foundation si batte contro tutte le forme di violenza contro le donne, denuncia il passaggio da quella che è e resta una questione strettamente pratica, “tecnica”, a problema politico scottante, venato di sfumature culturali, religiose, ed etniche, con il bagaglio di accuse che queste ultime si portano inevitabilmente dietro, a torto o a ragione (razzismo, discriminazione ecc). In un contesto di governo di coalizione, qual era quello olandese, la questione venne affidata a un’apposita commissione speciale; come tutte le commissioni di questo tipo, secondo Hirsi Ali, un espediente per togliere definitivamente la FGM dall’agenda politica. E da allora, in dieci anni, non un solo caso di FGM è apparso davanti ai giudici olandesi.
In Gran Bretagna, come in altri Paesi, la strategia scelta a livello politico è quella di sensibilizzare i gruppi sociali coinvolti, e da molto tempo esistono programmi finanziati con fondi statali per la prevenzione della FGM. Si tratta di iniziative lodevoli e meritevoli di sostegno, ma per i motivi sopra illustrati non c’è modo di verificare quanto siano efficaci – e spesso sono anche un modo per non affrontare direttamente la questione e le reazioni delle comunità etniche coinvolte. Inoltre, questi programmi pongono quasi sempre l’accento sulle conseguenze della FGM a livello medico e psicologico, piuttosto che sulle ragioni che spingono le famiglie a farvi ricorso – ossia il fatto che altrimenti le figlie non troveranno marito, e l’ossessione della purezza prematrimoniale. Ragioni che in un modo o nell’altro sono anche alla base di altri abusi nei confronti delle ragazze, quali i matrimoni forzati, i matrimoni delle minorenni, e gli omicidi per questioni d’onore.
Non si tratta di usi consolidati nell’ignoranza e nella povertà. Parecchi di questi genitori sono laureati e benestanti, e perfettamente in grado di recepire l’idea della salvaguardia dei minori e dell’autonomia della donna (adulta) per quanto riguarda la propria salute e la scelta del proprio compagno; idee che però rimangono appunto tali, pura teoria.
Le categorie che più di altre potrebbero occuparsi di monitorare le bambine a scopo di prevenzione, cioè insegnanti e pediatri, sono riluttanti ad essere coinvolte, in quanto la materia è spinosa ed esula dai loro compiti primari. L’eventuale segnalazione di casi sarebbe inoltre a posteriori piuttosto che a priori.
La proposta di Hirsi Ali (http://www.thesundaytimes.co.uk/sto/newsreview/features/article1286938.ece) prevede l’identificazione delle comunità nelle quali la FGM è prevalente e l’introduzione di un programma di screening promosso congiuntamente dai ministri della Salute e della Giustizia, che dovrebbero inviare una lettera in proposito alle famiglie, con tutte le spiegazioni del caso. Lo screening dovrebbe essere condotto da infermiere addestrate, in grado di valutare la presenza di mutilazioni: ne risulterebbero due liste, una per le bambine già sottoposte a FGM, e una per le bambine che non lo sono ancora state. Queste ultime verrebbero registrate per un ulteriore programma di screening su base annuale, presumibilmente all’inizio delle scuole, dopo l’estate. Sarebbe così possibile avere dati concreti, e accertare le responsabilità dei genitori, con le conseguenze penali che queste comportano.
Hirsi Ali è consapevole delle difficoltà pratiche della proposta. Ad esempio, come agire nei confronti dei genitori delle bambine che risultano già mutilate al primo screening; come, in nome dell’uguaglianza, non estendere il programma a tutte le bambine del Regno Unito, indipendentemente dal loro gruppo etnico. E soprattutto come evitare un’ondata di mutilazioni “preventive” prima che lo screening venga reso obbligatorio.
Tuttavia, l’autrice ed ex deputata è convinta che si possano e si debbano superare queste difficoltà, per giungere a una legislazione che protegga queste bambine e chiami a rispondere penalmente coloro che ne compromettono la salute e l’integrità fisica e psicologica. Altrimenti le leggi già in vigore (leggi che non vengono mai applicate, per crimini per i quali nessuno viene mai perseguito) non sono altro che vuota, codarda retorica che serve solo a far sentire meglio i benpensanti dell’Occidente.
Ayaan Hirsi Ali sa di che cosa parla. Oltre ad aver subito la mutilazione rituale da bambina, è stata messa al bando dalla sua comunità per avere denunciato queste pratiche, e il ruolo giocato da certe tradizioni o convinzioni religiose nell’oppressione della donna. Ha ricevuto minacce di morte, ha dovuto servirsi di guardie del corpo, e infine ha dovuto lasciare i Paesi Bassi perché questi ultimi non volevano o non potevano più farsi carico della sua protezione. Ha scelto di parlare di tutto questo, in libri come “Infidel” e “Nomad”. Senza l’appoggio del femminismo internazionale, ormai in larghissima parte riluttante ad andare anch’esso oltre una vuota e codarda retorica che serve solo a far sentir bene le sue spesso famose aderenti.