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Il Foglio Rassegna Stampa
29.08.2013 Siria: sostenere i diritti umani, ma fischiettare di fronte alla loro violazione
la politica estera disastrosa di Emma Bonino

Testata: Il Foglio
Data: 29 agosto 2013
Pagina: 3
Autore: Editoriale del Foglio
Titolo: «Bonino e le basi della politica estera»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/08/2013, a pag. 3, l'editoriale dal titolo "Bonino e le basi della politica estera".


Emma Bonino

Prendere una posizione senza prendere nessuna posizione. Non avere una linea e poi fingere di averne una solidissima. Sostenere i diritti umani e fischiettare di fronte alla violazione dei diritti umani. Promuovere la necessaria unità dell’Europa e poi romperne l’unità. Declinare l’atlantismo per una vita e poi fare gli atlantisti con i droni degli altri. Da qualsiasi punto di vista la si voglia osservare, la decisione del governo italiano, e del ministro degli Esteri Emma Bonino, di non intervenire in Siria, di subordinare l’azione militare al sì delle Nazioni Unite, di non mettere a disposizione le proprie basi militari, di rimanere neutrali di fronte alla scelta degli Stati Uniti, della Francia, dell’Inghilterra e persino della Turchia di agire in Siria per fermare il massacro portato avanti dal presidente Assad non è soltanto un bluff strategico, da struzzo che di fronte alle decisioni importanti infila la testa sotto la sabbia, ma è anche, senza volere esagerare, un formidabile suicidio politico. La questione è semplice, ed è inutile girarci attorno: condannare genericamente i crimini di guerra di un regime nascondendosi dietro le decisioni dell’Onu e rinunciando ad avere un peso e un ruolo all’interno di un’operazione militare che riguarda un teatro di crimini di guerra che per di più si trova a duemila km dal nostro paese è sintomo di un analfabetismo politico che risulta essere ancora più sorprendente se a esplicitarlo è un tenace difensore dei diritti umani come il ministro Bonino – che appena qualche anno fa, di fronte all’intervento italiano in Kosovo, ricordava ai neutralisti e ai pacifisti che voler “professare la pace dinanzi a un macellaio ha lo stesso spessore politico-culturale del famoso facciamo l’amore non la guerra degli anni Sessanta”. Intendiamoci: il profilo dell’intervento che gli Stati Uniti guideranno nelle prossime ore all’interno della Siria di Assad ha molti punti di debolezza, è privo di un disegno utile a tracciare una strategia di lungo termine e presenta differenze con l’esperienza kosovara (l’esercito dei ribelli siriani, si sa, non è esattamente il Kosovo Liberation Army). Per questo, infatti, il vero problema oggi non è “se” intervenire in Siria ma è “come” e “quando” farlo. “Doing nothing – ha detto ieri Tony Blair – would mean Syria’s disintegration, divided in blood, with the countries around it destabilized and waves of terrorism rolling over the region”. Intervenire senza un progetto, ovvio, rischia di essere inutile. Ma non fare nulla, nascondersi dietro l’Onu, dissimulare la propria incertezza dietro la parola “condanna” è vile, direbbe Blair, significa uccidere la Siria, e mettere in pericolo la sicurezza del nostro paese più ancora di quanto potrebbe fare una guerra combattuta per provare a cambiare e ad abbattare un regime sanguinario.

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