Siria: i contrari all'intervento le motivazioni poco condivisibili di Gian Micalessin, Carlo Panella. Intervista di Nathan Gardels ad Hans Blix
Testata:Il Giornale - Libero - La Stampa Autore: Gian Micalessin - Carlo Panella - Nathan Gardels Titolo: «Fine degli affari Italia-Siria. Ecco quanto ci costa la guerra - Rappresaglia perché? Il gas non è stato usato contro gli Usa o l’Europa»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 29/08/2013, a pag. 15, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Fine degli affari Italia-Siria. Ecco quanto ci costa la guerra ". Da LIBERO, a pag. 15, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " L’attacco ad Assad guasterà i frutti della guerra a Saddam ". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'articolo di Nathan Gardels ad Hans Blix dal titolo "Rappresaglia perché? Il gas non è stato usato contro gli Usa o l’Europa".
I due giornali che continuano a seguire la linea del no all'intervento o guidato da Usa o comunque approvato dall'Onu sono Giornale e Libero. Libero con un articolo di Carlo Panella che oppone valutazioni di tipo storico politico condivisibili solo in minima parte. Riflettono la sua posizione. Più curioso è l'atteggiamento del Giornale sul quale è scomparsa oggi la firma di Fiamma Nirenstein che, oltre a tutto, vive a Gerusalemme. Un fatto inusitato che il Giornale si privi dell'opinione di una così illustre collaboratrice, il cui giudizio sarebbe stato estremamente interessante per avere ulteriori documentazioni su quanto sta avvenendo. Del tutto inaccettabili sono invece le motivazioni al no contenute nell'articolo di Gian Micalessin. E' vero che in caso di partecipazione italiana ad un eventuale attacco in Siria ci potranno essere problemi di tipo commerciale per lòe aziende italiane che esportano in Siria, ma se valesse allora questo criterio, ci chiediamo qual è il vero contenuto delle parole Stato, politica, civiltà. Le imprese italiane riprenderanno i loo affari soprattutto quando la vita tornerà normale in Siria con un governo che non sarà sicuramente democratico, cosa impossibile in qualunque Paese arabo musulmano . Siamo stupiti che un quotidiano possa presentare queste valutazioni per sostenere l'attacco a un Paese responsabile di genocidio. Mettiamo insieme l'intervista di Nathan Gardels ad Hans Blix, anche lui contrario all'intervento, per motivazioni di uno sconcertante cinismo. Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Fine degli affari Italia-Siria. Ecco quanto ci costa la guerra "
Gian Micalessin
Dalla Libia in poi è stata una corsa al baratro. Fin qui siamo sopravvissuti, ma l’intervento in Siria rischia di paralizzare gli scambi commerciali con il Medioriente e trascinare al collasso l’Italia e la sua economia. E mentre noi andiamo in malora Francia, Turchia, Cina e Qatar aspettano solo di prendere il nostro posto. Per capire perché soffriamo e quanto rischiamo basta fare un passo indietro al 15 novembre 2011 quando l’Unione Europea vieta ai paesi membri di acquistare, importare o trasportare greggio e prodotti petroliferi siriani. La principale vittima di quel primo embargo è l’Italia. Fino a quel momento la metà dei 110.521 barili di petrolio esportati giornalmente dalla Siria viaggiano verso i porti italiani e vengono raffinati da Eni, Saras e Italiana Energia e Servizi Spa. A quei 55mila barili di greggio giornalieri si aggiungono prodotti bituminosi e altri derivati per un valore di circa 1,04 miliardi all'anno. Grazie a quel diktat Ue impostoci durante la transizione Berlusconi-Monti, cioè all’apice della crisi italiana, le nostre aziende sono costrette a un costoso riposizionamento. Un riposizionamento ancor più doloroso visto che i prodotti siriani rimpiazzavano i buchi di approvvigionamento frutto della crisi libica. Il peggio arriva a giugno 2012 quando il governo Monti accetta le nuove sanzioni Ue che impongono di azzerare i rapporti economici e diplomatici con Damasco. Con quella capitolazione l'Italia rinuncia ad un interscambio commerciale da 2,3 miliardi di euro, equamente divisi tra importazioni (1,13 miliardi di euro) ed esportazioni (1,16 miliardi di euro). E rinuncia pure al ruolo di principale partner economico europeo e di terzo partner mondiale ( dopo Cina e Arabia Saudita) acquisito grazie agli accordi bilaterali siglati da Bashar Assad e Silvio Berlusconi nel vertice del 20 febbraio 2002. Grazie a quegli accordi l'Italia giocava un ruolo da protagonista nell’estrazione del petrolio e delle materie prime e garantiva alle proprie aziende ruoli di primo piano nella realizzazione di infrastrutture collegate. La Saipem, ad esempio, prevedeva di chiudere nel 2012 una commessa da 94 milioni di euro per la realizzazione degli impianti del pozzo petrolifero di Khurbet East. In Siria però il «made in Italy» spazzava ben oltre gli idrocarburi. Nel 2010 i prodotti alimentari garantivano alle nostre aziende un fatturato da 13 milioni di euro. E altri 5 milioni e mezzo di euro entravano grazie alle esportazioni di abbigliamento. Un intervento e un cambio di regime oltre a far svanire definitivamente quelle entrate ci precluderanno anche eventuali compartecipazioni in un settore energetico tutto da sviluppare. Davanti alle coste siriane arriva una porzione del cosiddetto Bacino del Levante un giacimento di gas esteso sotto le acque di Siria, Israele e Libano considerato - grazie ai suoi 3,4 trilioni di metri cubici di gas e ad oltre 1,7 miliardi di barili di petrolio - una delle più importanti riserve del mondo. A prenderseli, a guerra fatta, ci penseranno la Bp inglese e la Total francese oltre al Qatar, la Turchia,l’Arabia Saudita e gli altri paesi che foraggiano con armi e munizioni le fazioni della rivolta islamista. La difficile partita dell'Italia non si ferma però alle porte di Damasco. L'intervento in Siria con tutta probabilità trascinerà alla guerra civile anche il Libano, un altro partner fondamentale per la nostra economia. Grazie a una costante crescita delle esportazioni salite nel 2012 ad 1,83 miliardi di dollari l’Italia è diventata il terzo partner commerciale del paese dei Cedri dopo Stati Uniti e Cina superando di un bel po’ Francia e Germania. Ma la guerra a Damasco rischia di coinvolgere anche Iran e Russia mettendo in crisi altri due mercati fondamentali per i nostri scambi commerciali e trascinando l’Italia al definitivo tracollo.
LIBERO - Carlo Panella : " L’attacco ad Assad guasterà i frutti della guerra a Saddam "
Carlo Panella
La guerra di Obama contro Assad è sbagliata, quanto lo era quella contro Gheddafi, mentre era giusta quella di George W. Bush contro Saddam Hussein. A prima vista l’af - fermazione pare azzardata, illogica. Ma invece è vera, e non soltanto perché Obama non scende affatto in guerra contro il regime di Damasco, ma si limiterà - come indicano tutte le fonti - a un blitz di pochi giorni con i missili Cruise. Poi basta. Una sorta di “bellum interruptum” che la dice lunga sull’ignavia di un presidente ormai in lizza per la qualifica di peggiore, in politica estera, da un secolo in qua. Troppo poco, troppo tardi e senza alcuna strategia, solo tattica, buona per i media: sono queste le caratteristiche dell’imminente avventuretta siriana che rischia di essere più dannosa che altro, anche per i ribelli siriani. Per non parlare del rischio di contrattaccolpi su Israele. Pure, in Siria, si presentavano 20 mesi fa delle caratteristiche uniche, che avrebbero permesso all’Occidente, senza alcun intervento militare esterno, di favorire in maniera determinante l’abbattimento rapido del regime assassino. Già nell’autunno del 2011 decine di migliaia di disertori dell’eserci - to siriano combattevano infatti nelle città insorte contro le truppe di Assad, ma erano disperatamente a corto di armi. Sarebbe bastato che Stati Uniti ed Europa fornissero ai disertori - di elevata capacità professionale - un centinaio di autoblindo, di missili Rpg, carri armati e munizioni e le battaglie di Homs, Aleppo, Deraa e Damasco sarebbero state facilmente vinte da loro. Nulla di tutto ciò ha fatto un Obama che per due anni ha deciso di vincolare ogni intervento all’impos - sibile consenso di Russia e Cina in sede Onu (che ora, all’im - provviso, senza ragione logica, spregia). Questa ignavia di Obama - e dell’Europa - ha lasciato sul campo un enorme vuoto, che è stato poi riempito dall’afflusso dall’esterno di migliaia di terroristi islamici di al Nusra e al Qaida (totalmente assenti sino allora), che hanno sostituito l’im - piego dei blindati e dei tanks con l’impiego dei kamikaze (che dal punto di vista militare ha effetti simili), radicandosi ovunque e ottenendo anche consenso tra la popolazione dei quartieri che così difendevano. Nel frattempo, Assad ha avuto agio di fare entrare in Siria 5- 6.000 pasdaran iraniani e miliziani di Hezbollah, che hanno ribaltato a suo favore i combattimenti. La crisi siriana si è così incancrenita, tanto che ovunque i ribelli, i disertori e i curdi in rivolta si scontrano con i terroristi di al Nusra, in un caos incontrollabile. È la ripetizione, in peggio, della sciagurata guerra in Libia, in cui la mancanza di una strategia e di una visione da parte di Obama (e dell’Europa) ha sì eliminato Gheddafi, ma al prezzo di una destabilizzazione totale, scatenando grandi forze terroristiche che hanno contagiato il Sahel e il Maghreb. La Libia oggi è in mano a incontrollabili “Signori della Guerra”, in un caos ingestibile. All’opposto, nel 2003 George W. Bush invase l’Iraq all’interno di una strategia lungimirante, che ha dato frutti, checché se ne dica. «Esportare il modello della democrazia turca in Medio Oriente» era il suo nucleo, enunciato da Paul Wolfowitz. Nonostante molti errori, la caduta del regime di Saddam Hussein ha così innescato un processo virtuoso, che solo chi è in mala fede può negare. In Iraq si è avviato un pur difficile processo di democrazia reale (il Kurdistan iracheno è la regione più libera del Medio Oriente islamico), in cui si è incistato il terrorismo solo a causa della troppo precipitosa ritirata totale delle truppe americane voluta da Obama nel 2009 (il Surge di Bush e del generale Petraeus del 2007, contro cui Obama aveva votato in Senato, lo aveva invece debellato). Gli storici di domani dovranno constatare che caduta di Saddam Hussein ha distrutto l’equilibrio del terrore dei regimi arabi determinato dalla Guerra Fredda, ha innescato l’Onda Verde iraniana che a sua volta ha innescato le primavere arabe, di cui si può pensare quel che si vuole, ma che sono un primo passo verso la democrazia, le cui storture sono unicamente dovute al contesto islamico in cui obbligatoriamente crescono. Quanto a Obama, gli storici dovranno al contrario essere impietosi.
La STAMPA - Nathan Gardels : " Rappresaglia perché? Il gas non è stato usato contro gli Usa o l’Europa "
Hans Blix
Mr Blix, basandosi sulla sua esperienza di capo ispettore Onu per le armi nucleari in Iraq tra il 2000 e il 2003 e su quanto ha sentito in questi giorni, lei ritiene credibile e affidabile il verdetto dell’intelligence occidentale, secondo il quale Assad ha usato armi chimiche?
«Le indicazioni vanno certamente nella direzione di un uso di armi chimiche. E la prova indiziaria porta al regime di Assad. Ciò detto, siccome le potenze occidentali hanno chiesto le ispezioni, la Siria le ha accettate e gli ispettori sono sul campo, dovremmo aspettare di vedere il rapporto prima di agire. Invece, come abbiamo già visto in passato, le dinamiche politiche corrono più veloci».
Un’eco dell’Iraq sotto l’amministrazione Bush?
«In un certo senso sì. Anche allora gli americani e i loro alleati chiesero ispezioni per le armi di distruzione di massa. E anche allora dissero: “Scordatevele, abbiamo di nostro prove sufficienti per agire. Siamo i gendarmi del mondo. I nostri popoli chiedono un’azione immediata!”. Non sono d’accordo con la dichiarazione americana che “è troppo tardi” perché la Siria collabori. È una scusa modesta per intraprendere un’azione militare. Solo lo scorso marzo l’Occidente era soddisfatto con le ispezioni sull’uso delle armi chimiche. Perché adesso non può aspettare? Nel giro di un mese, ultimati i test sui campioni di tessuti, si conoscerà con certezza che tipo di armi chimiche sono state usate e chi le possiede».
E adesso è il presidente Obama, non George Bush, ad assumersi il ruolo di gendarme del mondo...
«Sì. È stato l’unico, tempo fa, a parlare di legalità internazionale. Mi aveva rincuorato. Ma adesso ho paura che la politica lo spinga in una direzione che abbiamo già visto prima. Anche il premier britannico non sembra badare troppo alla legalità internazionale. E così la Francia. Secondo loro, è stato commesso un atto criminale e adesso loro devono impegnarsi in quella che chiamano “rappresaglia”. Non li capisco. Le armi non sono state usate contro di loro. Dovrebbero essere i ribelli a volere la rappresaglia. Se il loro scopo è fermare la violazione della legge internazionale, un’azione militare senza aver prima aspettato il rapporto degli ispettori Onu non è il modo giusto di procedere. È polizia, non legge mondiale».
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