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Il Giornale - Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
27.08.2013 Siria: gli Usa si preparano a intervenire contro Assad per l'uso di armi chimiche
cronache e commenti di Fiamma Nirenstein, Guido Olimpio, Marco Zatterin, Massimo Vincenzi, Renaud Girard

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica
Autore: Fiamma Nirenstein - Guido Olimpio - Marco Zatterin - Massimo Vincenzi - Renaud Girard
Titolo: «Attacco già deciso, Obama sta cercando soci - La sottile linea dell’intervento - L’Italia: superato il limite ma agire in ambito Onu - L’America pronta a punire Damasco. Osceno l’attacco con armi chimiche - 'Dall'Iraq alla Libia troppi fallimenti alle nos»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 27/08/2013, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Attacco già deciso, Obama sta cercando soci ". Dal CORRIERE della SERA, in prima pagina, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " La sottile linea dell’intervento ", a pag. 14, l'articolo di Renaud Girard dal titolo "Dall'Iraq alla Libia troppi fallimenti alle nostre spalle", preceduto dal nostro commento. Dalla STAMPA, a pag. 11, l'articolo di Marco Zatterin dal titolo " L’Italia: superato il limite ma agire in ambito Onu ". Da REPUBBLICA, a pag. 2, l'articolo di Massimo Vincenzi dal titolo " L’America pronta a punire Damasco. Osceno l’attacco con armi chimiche".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Attacco già deciso, Obama sta cercando soci "


Fiamma Nirenstein

Dispiace che le auto del gruppo degli ispettori ONU  diretti al sito presso Damasco dove dovrebbero trovare tracce del gas nervino che ha ucciso oltre 1300 civili, sia stato preso di mira dai cecchini. Potevano risparmiargli quella paura, perché le decisioni che già vengono prese in queste ore hanno poco a che fare con ciò che gli ispettori troveranno: il gas Sarin vola via dopo cinque giorni, e comunque William Hague, ministro degli esteri inglese, ha detto semplicemente che la decisione è presa perché “non vogliamo che i vari dittatori pensino che possano usare armi chimiche in giro”. Ban Ki Moon segretario generale delle Nazioni Unite, ha detto gli ispettori devono fare presto, che ogni ora conta.

Ma se l’ONU voleva prendere decisioni importanti aveva già da due anni a disposizione il Consiglio di Sicurezza per farlo, ed esso è stato, come sempre completamente immobilizzato dalla spaccatura Usa-Russia che ha reso le Nazioni Unite un inutile corpaccione. Così sarà anche stavolta: Obama è ormai in pieno movimento, spinto da buona parte dell’Europa. Si sta ormai disegnando una coalizione che nel giro di un paio di giorni, qualsiasi cosa diranno gli ispettori, salvo eventi drammatici, attaccherà Assad. Al centro della coalizione sarà un asse Obama-Cameron- Hollande, mentre la Germania resta tiepida. Con i suoi eventuali alleati, Obama intesse in queste ore intense conversazioni telefoniche, mentre John Kerry compie anche lui maratone telefoniche. La Turchia è della partita. Martin Dempsey il capo di stato maggiore americano si trova in Giordania per tutta la rilevante e significativa parte araba anti-Assad.

Le ragioni dell’eventuale attacco americano, certamente problematico a causa dei ribelli, che lungi dal dare una garanzia di moderazione sono un’autentica promessa di islamismo estremista,  le ha spiegate bene Hague: non si può pensare che nel 21esimo secolo si possano impunemente usare armi chimiche, ancor peggio contro la propria popolazione, senza che una reazione che dimostri come questo sia proibito dal resto del mondo.  Ieri a Gerusalemme ci illustrava questo punto Yuval Steinitz, ministro delle relazioni internazionali e strategiche, rompendo il riserbo di Israele che non vuole essere tirato dentro gli scontri dei suoi vicini: “Non può esserci niente di peggio dell’uso di armi di distruzioni di massa, se si dà la luce verde una volta è la fine, e occorre anche pensare che l’Iran, che ha soldati e consiglieri strategici in Siria, è implicato in questa vicenda. Che programmi possono fare gli Ayatollah, che costruiscono la peggiore di tutte le armi di distruzione di massa, l’atomica, se nessuno fa niente per fermare il gas Sarin?

Che le responsabilità siano di Assad, tutti i servizi segreti  lo danno per certo. Solo la Russia seguita a dichiararsi contraria a ogni intervento, il “giorno dopo” di Obama implica un pericoloso peggioramento delle relazioni con il grande orso Putin. Di certo la coalizione si terrà lontana dalle immagini dell’invasione dell’Iraq, ovvero niente “stivali sul terreno” e quindi uso di aerei e delle navi Usa Destroyer già nel Mediterraneo. Escluse anche le scene selvagge tipo Libia. Obama e gli europei studiano un’impresa quanto più circoscritta, forse senza puntare alla destituzione di Assad. Gli obiettivi sono i depositi di armi chimiche, i centri di potere che abbiano a che fare col loro uso: questa è la giustificazione, della scelta che scavalca l’ONU e cerca l’appoggio della Nato come al tempo dell’intervento di Clinton in Kosovo.

Assad reagisce con tono anodino, risponde alle domande dell’Izvestya, giornale russo molto popolare: è irragionevole, dice, pensare che abbia usato le armi di distruzione di massa perchè avrebbe colpito anche i suoi. Avverte gli USA che si infilano in una trappola tipo Vietnam. Un suo ministro spiega che Israele sarà ritenuto responsabile di tutto, e chi ne dubitava. Ovvero, minaccia il lancio di gas anche su Israele. Che infatti distribuisce maschere antigas, e rinfresca i rifugi. Senza emozionarsi troppo. 
www.fiammanirenstein.com

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " La sottile linea dell’intervento "


Guido Olimpio

Il segretario di Stato John Kerry ha definito la cornice morale per un possibile intervento militare statunitense in Medio Oriente, un'azione contro la Siria. Siamo lontani dalla provetta esibita da Colin Powell al Palazzo di Vetro per denunciare le armi di distruzione di massa (inesistenti) di Saddam. Qui non ci sono ampolle e non c'è neppure l'Onu. Obama ne deve fare a meno, però è costretto ad agire camminando su una strada piuttosto stretta e senza troppo entusiasmo. Tanto è vero che il portavoce della Casa Bianca sottolinea che il presidente «non ha ancora deciso come rispondere». Con i cittadini americani restii a nuove avventure militari e lo stesso Pentagono riluttante, Washington ha dovuto puntare sull'orrore della guerra siriana. Dopo due anni sono centinaia di migliaia le vittime, milioni i profughi. Sangue su sangue. Quasi un genocidio. Ecco perché Kerry ha citato i bambini piangenti dopo l'attacco chimico e le immagini che «rappresentano un urlo nei nostri confronti». Un linguaggio duro e inusuale, per sottolineare l'impossibilità di restare inerti. Per provare a scuotere un'opinione pubblica poco convinta che sia necessario, o utile, agire a Damasco. Rispetto alla tragedia irachena — ancora aperta, ricordiamolo — non c'è stato bisogno di formare alcuna coalizione. Al fianco di Washington un pugno di alleati. Alcuni fedeli, come la Gran Bretagna. Altri interessati, come la Turchia e l'Arabia Saudita. Quindi la Francia. Spettatore più che coinvolto Israele, che appoggia gli Usa pur consapevole che c'è il pericolo di essere trascinato nella partita da un'ipotetica ritorsione. Si parla di garanzie, che in Medio Oriente contano fino ad un certo punto. Manca poi una copertura dell'Onu, invocata tra gli altri dalla Farnesina. La verità è che non ci sarebbe mai potuta essere. È un limite, certo. Ma al tempo stesso è il segnale — e l'auspicio — che si tratti di un intervento limitato, nei numeri e nello spazio temporale. Obama non vuole altri impegni bellici a lunga scadenza, che dissanguino uomini ed economia. Era restio ad agire in Libia, figuriamoci che effetto gli fa un ginepraio qual è la Siria. Per questo ha dato spazio a forze speciali e droni. Ora spera di «punire» Assad senza rimanere intrappolato in uno scacchiere che sinora gli ha procurato solo guai. Ha provato a tenersi lontano dal Medio Oriente, ma le questioni regionali hanno finito per risucchiarlo. E poi, facendo l'errore di invocare le famose linee rosse sull'uso delle armi chimiche, si è spinto nell'angolo da solo. Una volta che hai tracciato il limite invalicabile, non puoi far finta che non esista. Al Congresso, dove pure ci sono degli interventisti, aspettano spiegazioni dal presidente. Le hanno sollecitate. Ci si preoccupa per i rischi dell'operazione ma anche del dopo. Se la Casa Bianca ha tardato così tanto a reagire alla repressione feroce in Siria è a causa dell'incertezza sul futuro. Mancano gli interlocutori sicuri, c'è il rischio di un Paese diviso in cantoni, quelli che sono gli alleati di oggi — i ribelli — possono diventare i nemici di domani. Specie quelli che innalzano le bandiere nere qaediste, estremisti con agenda e obiettivi ben lontani da quelli occidentali. A Washington ancora brucia la ferita di Bengasi. Il sacrificio dell'ambasciatore Chris Stevens e dei suoi collaboratori resta un monito doloroso: a non fidarsi.

La STAMPA - Marco Zatterin : " L’Italia: superato il limite ma agire in ambito Onu "


Marco Zatterin

Silenzio e assenza. Man mano che sale il tono delle minacce occidentali contro il regime di Assad, l’Unione europea scivola ai margini del palcoscenico della diplomazia. Parlano poco le istituzioni di Bruxelles, evitano commenti su «indiscrezioni per lo più non attribuite» a proposito dell’imminenza d’una svolta militare in Siria. I Trattati non attribuiscono all’Ue poteri in materia di Difesa e così la strategia estera che dovrebbe avere sostanza appare un latitante da giudicare in contumacia. Dall’Estonia l’alto rappresentante Cathy Ashton reitera l’adesione al primato della soluzione politica. Le capitali che contano, però, coltivano orientamenti parecchio diversi.

Più voci dicono che a Washington sono tentati dalla scelta militare. «Nessuna opzione è esclusa», recita la formula di rito. Sulla nostra sponda dell’Atlantico i britannici, fedeli alleati degli americani, affermano per bocca del ministro degli esteri William Hague che «la ricerca di una soluzione diplomatica è fallita». Conta sull’appoggio francese, mentre Italia e Germania raccomandano cautela. Prima di assumere qualunque tipo di iniziativa in Siria «bisogna pensarci mille volte», ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino a Radio Radicale: «Le ripercussioni potrebbero essere drammatiche».

Ieri sera il dossier siriano è stato al centro di un vertice convocato dal premier Enrico Letta con Bonino, Mauro (ministro della Difesa) e Alfano (Interni). Palazzo Chigi ritiene che un intervento possa essere deciso solo «con una base giuridica solida» e auspica «uno sforzo di condivisione e legittimazione internazionale», pur reputandola difficile. Le fonti governative rivelano che «ci sono stati e ci saranno nelle prossime ore contatti con gli alleati europei e statunitensi». Secondo la signora Bonino con una posizione «unanime» nel Consiglio Onu «si potrebbero percorrere strade non necessariamente militari», per esempio il deferimento di Assad alla Corte internazionale. A differenza di americani, britannici e francesi, Roma non ritiene praticabile un’azione senza l’egida del Palazzo di Vetro.

L’Italia invita ad andare avanti con le ispezioni e attenderne l’esito. Il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle è in sintonia. Ha messo in guardia contro le «fantasie di onnipotenza» suscitate in taluni dalla crisi siriana. Come la Ashton, la cancelliera Merkel in campagna elettorale vuole una soluzione politica e in casa Onu, coerentemente con la linea che la Germania ha sempre tenuto in ambito Nato. L’alleanza, tuttavia, fa capire che si può decidere anche senza le Nazioni Unite, all’occorrenza. È un elemento su cui il presidente Obama risulta contare molto. Ci attendono ore di fuoco. Forse anche fuori di metafora.

Il primo ministro britannico David Cameron ha interrotto le vacanza per seguire il caso e da stamane sarà in servizio attivo nell’ufficio di Downing Street. «Qualunque cosa faremo sarà nel pieno rispetto del diritto internazionale con l’assistenza Onu», ha detto ieri Hague, citando il precedente libico. Ciò non toglie, però, che a suo avviso le Nazioni Unite «non siano state sinora all’altezza delle responsabilità».

Londra guarda a Parigi, come successo contro Gheddafi. Un piano occidentale «sarà concordato nei prossimi giorni» ha puntualizzato il ministro degli Esteri Laurent Fabius, persuaso che «in certe circostanze si possa anche decidere senza il parere dell’Onu». Non è previsto, al momento. «Il Consiglio di sicurezza si riunirà, non possiamo lasciar passare questo crimine contro l’umanità», ha sottolineato il premier JeanMarc Ayrault.

«I tre gendarmi occidentali sono pronti», riassume un osservatore comunitario. Sono i «Volenterosi» libici che tornano. Hanno il sostegno polacco e sono rinfrancati dai segnali che arrivano dalla Turchia, disposta a partecipare a un’eventuale operazione che organizzata contro Assad, anche fuori dall’Onu. «È il modo con cui Erdogan può rifarsi la verginità nel contesto Nato dopo i fatti di maggio e giugno», rileva una fonte diplomatica.

Su questo sfondo, si annodano la vicende dei due ostaggi italiani, il padre gesuita Paolo Dall'Oglio, e Domenico Quirico, l’inviato della Stampa rapito in aprile. La Farnesina segue i casi con la massima cura: «Manteniamo alcuni contatti flebili che si annodano e si riannodano», ha riferito la signora Bonino. La liberazione dei due connazionali appare complicata dalla «scarsa linearità di comando» tra i gruppi siriani. Difficile individuare gli interlocutori. L’azione continua, nonostante tutto.

La REPUBBLICA - Massimo Vincenzi : " L’America pronta a punire Damasco. Osceno l’attacco con armi chimiche "


John Kerry

NEW YORK — «L’attacco con i gas ha sconvolto la coscienza del mondo, è un crimine imperdonabile e innegabile. Le immagini di intere famiglie, donne, uomini e bambini uccisi nel sonno dentro le loro case sono un’oscenità morale. Come padre è impossibile guardarle e rimanere insensibile. Gli Stati Uniti hanno la certezza che il regime di Assad ha colpito con armi chimiche»: il Segretario di Stato John Kerry accende così il semaforo verde del conto alla rovescia verso l’intervento militare in Siria. Parla dieci minuti, ma i concetti sono duri e chiari: «Siamo in possesso di molte informazioni sull’uso indiscriminato e su larga scala di armi non convenzionali. E molte altre le stiamo valutando insieme ai nostri alleati. Il presidente Obama è in continuo contatto con i leader delle altre nazioni, ma lui pensa che chi ha fatto questo contro civili innocenti deve risponderne, pagarne le conseguenze ». Frasi che mettono quasi in secondo piano la missione degli ispettori Onu, ieri colpiti da cecchini: «Il via libera di Damasco ai controlli è arrivato troppo tardi per essere credibile. Sono passati cinque giorni e Assad ha avuto tutto il tempo per nascondere le prove. Èchiaro a tutti che il governo siriano ha qualcosa da nascondere », aggiunge infatti Kerry. Poco dopo tocca al portavoce della Casa Bianca Jay Carney confermare che la «linea rossa» è superata. L’aggettivo è lo stesso del Segretario di Stato: «È innegabile che siano state usati armi chimiche e nelle nostre menti ci sono pochissimi dubbi sul fatto che il responsabile sia Assad». A muoversi saranno dunque gli Usa assieme a Inghilterra, Francia e Turchia: tutti schierati sul fronte dell’azione militare. Più prudente la Merkel: «Se l’uso di armi chimiche fosse provato ci dovranno essere delle conseguenze. Mi auguro che l’Onu trovi una soluzione comune». Più o meno la posizione del governo italiano che dopo un vertice a Palazzo Chigi con Letta, Alfano, Mauro e Bonino condanna Damasco, ma invita tutti «a riflettere mille volte sulle azioni da intraprendere che comunque devono essere multilaterali». Difficilmente il Palazzo di Vetro troverà risposte condivise visto l’opposizione della Russia e i colpi di freno della Cina. Mosca è la più dura, nel weekend il ministro degli Esteri Lavrov chiama Kerry e gli esprime l’assoluta contrarietà del Cremlino. Poi ieri in una conferenza stampa convocata d’urgenza dopo le ultime accelerazioni ribadisce: «Se ci fosse un attacco avrebbe conseguenze gravissime. Noi non ci schiereremo con nessuno». Concetti che Putin espone direttamente a Cameron nel corso di una telefonata: «Non ci sono ancora prove evidenti dell’uso di armi non convenzionali». E a Damasco parte male la visita degli ispettori dell’Onu. Passano pochi minuti da quando il convoglio si muove verso i quartieri periferici teatro dell’assalto del 21 agosto e subito colpi di arma da fuoco prendono di mira le automobili. «Cecchini in azione» titola la Cnn e una delle jeep bianche si deve fermare. Assad sostiene che la colpa è dei ribelli, ma questi replicano che gli spari provengono da un posto di blocco dell’esercito. La missione prosegue a fatica e gli uomini dell’Onu arrivano a Muaddamya, lontano dall’epicentro della strage. Sul posto visitano un ospedale, parlano con una ventina di vittime, prelevano campioni e ispezionano l’area circostante. Il capo della missione Ake Sellstrom poi deve ordinare una rapida ritirata. Fonti ufficiose dicono a Sky-News che «sono stati raccolti elementi molti importanti» ma sul piatto della diplomazia sembra ormai aver poca importanza. Il conto alla rovescia è partito.

CORRIERE della SERA - Renaud Girard : " Dall'Iraq alla Libia troppi fallimenti alle nostre spalle "


Non condividiamo la tesi di Renaud Girard, giornalista di Le Figaro.
 Come si può pensare di non intervenire di fronte a un genocidio?
Se non si interviene ora, l'Iran avrà via libera.

I governi dei quattro Paesi Nato più potenti in Medio Oriente —Stati Uniti, Turchia, Inghilterra e Francia — stanno riflettendo in questi giorni sull'idea di un intervento militare in Siria. Le immagini dei bambini gassati a Guta (un'oasi situata a est di Damasco), che tornano a ciclo continuo sui nostri schermi, hanno già preparato moralmente l'opinione pubblica. Nessuna inchiesta indipendente ha accertato finora a chi attribuire le responsabilità di questo infame eccidio, ma il semplice fatto che persino gli iraniani, alleati fedeli del regime di Bashar Assad, abbiano invocato un'ispezione internazionale, indica che è molto improbabile si tratti di una manipolazione da parte dei ribelli. La Francia dovrà fare, in un modo o in un altro, la guerra alla Siria, a fianco dei suoi alleati nella Nato? E questa la domanda scottante del- Il sostegno del Consiglio di Sicurezza Onu per un possibile intervento è estremamente importante Catherine Ashton, Alto rappresentante Ue la nostra politica estera. Negli interventi «umanitari» di questo tipo, si presentano solitamente tre fasi: l'attacco, la stabilizzazione e la ricostruzione. La prima fase non pone mai grosse difficoltà, per l'evidente superiorità tecnologica degli eserciti occidentali in confronto a quello della satrapia siriana. I problemi cominciano invece con la seconda fase. Una volta deposto o eliminato l'odiato tiranno, occorre rimpiazzarlo con un'altra autorità. Ebbene noi, occidentali, non siamo mai stati capaci di stabilizzare un Paese nelle terre dell'Islam. Non che non ci abbiamo provato. I nostri recenti e costosi interventi militari in Somalia, in Iraq, in Afghanistan e in Libia sono forse riusciti anche in minima parte a ristabilire la pace in quelle regioni? Si direbbe quasi che i valori che noi tentiamo di imporre per mezzo dei nostri interventi « umanitari » — democrazia, legalità, tolleranza religiosa, libertà, uguaglianza, fraternità, ecc. — non riescano a scavalcare il muro della civiltà musulmana. Che sia, questa, intrinsecamente assai poco disposta ad accogliere i nostri valori, o si tratti invece di una nostra innata mancanza di accortezza? Entrambe queste ipotesi, non c'è dubbio. Noi francesi, la Siria, la conosciamo bene. L'abbiamo occupata militarmente dal luglio del 192o fino all'aprile del 1946. Dietro mandato della Società delle Nazioni, avevamo il compito di inculcare i valori repubblicani a quell'antica provincia ottomana, per prepararla all'indipendenza. II parlamento da noi messo in piedi e le elezioni da noi organizzate non convinsero però la totalità della popolazione. Ci furono numerose rivolte, da noi soffocate nel sangue. Dal 18 al 20 ottobre del 1925, il governo francese (quello eletto dal «cartello delle sinistre ») ordinò di bombardare Damasco, dove si era propagata l'insurrezione. Precisazione storica: la Francia non fece uso di gas tossici in questa operazione, ma soltanto dei classici obici esplosivi. Il gas mostarda (iprite) venne impiegato dagli inglesi nel Paese vicino, l'Iraq, per reprimere la rivolta delle tribù sciite nel 1921. Fortunatamente per il governo di Londra, all'epoca non esistevano né televisione, né YouTube, né gli smartphone, e pertanto nessuno si commosse davanti all'agonia delle famiglie sciite, accasciate sotto le tende. L'ufficiale britannico che ebbe l'idea di far bombardare dall'aviazione i ribelli iracheni si chiamava maggiore Harris. Generale dell'aviazione vent'anni dopo, fu lui a far radere al suolo Dresda la notte dal 13 al 14 febbraio del 1945. Il suo monumento è nel cuore di Londra. Un altro piccolo bombardamento di Damasco per mano delle nostre truppe il 29 maggio del 1945 non servì a rendere le elite siriane più disposte ad accogliere i nostri valori repubblicani e democratici. Dopo la nostra partenza nel 1946, il regime parlamentare da noi instaurato continuò a funzionare per qualche mese, ma ben presto si succedettero diversi colpi di stato militari, fino a quello del novembre 1970, in cui la famiglia Assad si impadronì definitivamente del potere. Il precedente dell'Iraq (in cui è stata distrutta l'unità del Paese ma l'innesto della democrazia non ha mai attecchito) riuscirà a dissuadere i nostri alleati anglo-americani dalla tentazione di cominciare una lunga guerra «umanitaria » in Siria? Ce lo auguriamo. Nel caso in cui vogliano lanciarsi in una simile avventura, speriamo che la Francia non si lasci coinvolgere, se non altro per consacrarsi con maggior fervore al compito di stabilizzare il Sahel, abbandonato alle katibe (brigate, ndr) islamiste dopo la deposizione di Gheddafi, voluta da Parigi. Sembra probabile che l'America voglia intraprendere un attacco missilistico contro gli obiettivi militari del regime siriano, una bacchettata che forse non sarà inutile, se servirà a rilanciare l'idea di una conferenza di pace a Ginevra, alla quale prenderebbero parte anche Iran e Russia, perché anche i più fedeli alleati di Bashar sembrano stanchi della sua brutale repressione. E solo loro sapranno imporre alla famiglia Assad di lasciare il posto a un governo di transizione. Alla Francia non resta molto da fare, da quando abbiamo scioccamente chiuso la nostra ambasciata a Damasco nel marzo del 2012, dimenticando che la diplomazia serve a parlare non con gli amici, bensì con gli avversari.

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