Ho letto il commento di Fiamma Nirenstein, e sono ancora paralizzato dallo sconcerto. Conoscendo il suo ruolo di strenua difenditrice d'Israele, confesso che mai mi sarei aspettato da parte sua un richiamo a valori morali per supportare un'avventura che rischia di prospettarsi piena di catastrofiche incognite per lo stato ebraico. Accantonando il facile moralismo, molto caro a noi occidentali che non abbiamo conosciuto la guerra nell'ultimo mezzo secolo, dovremmo semmai interrogarci sull'opportunità per le parti in questione di rimescolare le carte già estremamente confuse dello sciangai siriano.
Vi sono pochi dubbi sulle ragioni americane. Il presidente più assurdamente idealista della storia americana, peggiore del già molto deprecabile Woodrow Wilson, sembra deciso a sprecare ancora una volta denaro e vite americane sull'altare del suo delirio terzomondista e filo islamico.
C'è poco su cui arrovellarsi quando si pensi alle scelte obamiane, prive di quella lucida comprensione delle ipotetiche soluzioni che rende immortale uno statista. Quel su cui invece m'interrogherei seriamente sono le ragioni dell'improvviso cambio di rotta a Gerusalemme. Un settantennio di costante stato di guerra ha confermato, se mai ce ne fosse bisogno, che le stanze dei bottoni israeliane non sono lasciate alla mercè di elitari sognatori. E le relazioni con la Siria rivestono per Israele un ruolo secondario solo rispetto alla questione "palestinese". Poiché attraversare il valico di Quneitra implicherebbe il rischio di un conflitto su almeno quattro fronti: Siria, Hamasland, Hezbollahland e Teheran.
Se a ciò s'aggiunge la possibilità , quasi matematica, di un'infiltrazione qaedista nel Negev e di una sollevazione in salsa intifada dei "pacifici" abitanti della West Bank, si comprenderà senza ombra di dubbio che, prima di trascinare la nazione in un conflitto potenzialmente immane come quello del 1967, Gerusalemme voglia esigere una contropartita da Washington. Ed è proprio sull'identità dei termini di questo baratto che, a mio modesto avviso, tutti noi amici d'Israele dovremmo interrogarci, lasciando da parte considerazioni umanitarie, risibili nell'arena diplomatica, ed irrilevanti in quella mediorientale.
Che si tratti di un veto alle sanzioni che le filoislamiche ONU ed UE, s'apprestano molto probabilmente a varare contro lo stato ebraico, di una svolta nella posizione americana sui diritti ebraici in relazione a Gerusalemme e la zona C della West Bank, o dell'Ok alla liquidazione della minaccia iraniana, una cosa sembra incontrovertibile.
Se di un baratto si tratterà , è esiziale che il governo israeliano venda al miglior prezzo possibile il suo appoggio. Il richiamo ai valori universali potrà forse essere esaltante per noi europei, ma la vita dei soldati IDF e l'integrità della nazione sono certamente ancor più cari agli occhi degli israeliani.
Giuseppe Gigliotti
Quanto scrive nelle ultime righe ci trova perfettamente d'accordo, il che non contraddice il richiamo ai valori umanitari che la guerra civile siriana dovrebbe imporre a qualsiasi pubblica opinione. E a quei valori che si richiamava Fiamma Nirenstein. In quanto alla politica del governo israeliano giudicheremo dalle sue prossime mosse. Bibi ha ampiamente dimostrato in tutti i suoi interventi in questi giorni, che il paese è pronto ad affrontare qualsiasi evenienza.
IC redazione