Dilemmi siriani
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
a destra, nucleare iraniano, il vero nemico da combattere
Cari amici,
naturalmente anch'io come tutti, ho letto le notizie dalla Siria e sono rimasto orripilato per le fotografie dei bambini uccisi dai gas. E come tutti sono in attesa di quel che accadrà, se ci sarà un attacco americano e quali ne saranno le conseguenze. Dato però che non posso fare nulla, come voi del resto, penso che sia l'occasione buona per riflettere.
La prima considerazione è che non è chiaro chi abbia usato questi gas sulla propria popolazione - non sappiamo se sia stato davvero Assad, com'è più probabile, o bande di ribelli che si sono impadroniti di qualche deposito del regime. In ogni caso ci sono forte indizi che entrambi nel corso della guerra abbiano fatto ricorso ad armi proibite cent'anni fa, dopo le stragi della prima guerra mondiale. Ed entrambi se la sono presa certamente spesso con la popolazione civile, con i gas o in altro modo. Le stragi in una guerra di questo tipo riguardano soprattutto le persone normali che si trovano in mezzo ai combattenti, ostaggi o scudi umani involontari, e che sono sacrificati senza esitazione. Soprattutto se sono individuati come "nemici collettivi", per esempio i cristiani per i ribelli legati ad Al Queida e i sunniti per i governativi. Ed è chiaro che chi ha commesso questi orrori non avrà nessuna difficoltà in futuro a ripeterli con altri: contro Israele, naturalmente, in Europa dove siamo tutti infedeli e attendiamo di essere conquistati, nel prossimo fronte dello scontro di civiltà che si aprirà dopo l'Afghanistan, la Cecenia, la Libia, l'Iraq e naturalmente la "Palestina".
La seconda considerazione, che vi ho fatto tante volte ma vale la pena di ripetere, è che questi orrori non hanno nulla a che fare con Israele, col conflitto fra Israele e palestinesi, con l'eventuale pace che improbabilmente saltasse fuori dal cappello delle trattative. In Siria negli ultimi due anni ci sono stati più morti che in tutte le guerre e il terrorismo che si è scatenato nell'ultimo secolo contro l'insediamento ebraico in Israele. E naturalmente in questa storia c'entra pochissimo anche l'"imperialismo", il "colonialismo", l'America. E' una guerra civile araba, come ce n'è state tante. Tutto sommato, vista dopo tre anni, anche la cosiddetta "primavera araba" appare oggi soprattutto come un'esplosione di guerre civili arabe. Da sempre, dai tempi di Maometto, il mondo islamico ha fatto scorrere molto più sangue nelle lotte intestine che nelle conquiste.
La terza considerazione è la più difficile, forse vi darà fastidio. Ma secondo me è importante. Com'è accaduto in Libia con le foto delle "fosse comuni" di Gheddafi, che poi si è visto erano immagini di normali cimiteri (la stessa truffa del resto che funzionò a Timsoara per Ceaucescu), sembra che l'Occidente si muova oggi sulla base della notizia della strage coi gas. Badate, non sto dicendo che non sia vera. Il punto non è questo. E' che nella percezione comune e anche nelle motivazioni ufficiali dei governanti, sembra che la politica estera degli Stati sia mossa non da un principio politico, ma da una logica di polizia. Qual è la differenza? La politica è tutela di interessi parziali (parziali ma legittimi, in una concezione liberale), che si giustifica con ragioni generali e si incontra con altri interessi parziali, accordandosi o scontrandosi con essi. Far politica vuol dire questo: trovare il modo, con la propria forza e con le alleanze, di promuovere quel che appare utile alla nostra parte. Per farlo con successo bisogna formulare delle ragioni generali che raccolgano l'adesione anche di altre parti e costruire così un blocco maggioritario. Questo modo di vedere la politica è comune non solo al "cattivo" Machiavelli e ai pensatori liberali, ma anche al marxismo classico. E' stato Gramsci a teorizzare come "egemonia" la capacità di un gruppo sociale di fare percepire il proprio interesse come giusto per tutti. La politica, interna e soprattutto internazionale, che segue a una concezione del genere individua obiettivi, alleanze, strategie e cerca di attuarli sulla base dei rapporti di forze. Così accadde alle "grandi strategie" dell'Impero Romano e di quello bizantino studiate da Luttwark, per la restaurazione descritta da Kissinger, per il nostro Risorgimento, per la politica dell'Impero britannico. E diciamolo pure, anche di Israele, che si è trovato ad allearsi con regimi che non somigliavano affatto con la democrazia ebraica, per esempio la Turchia, la Persia dello Scià ecc. per rompere l'accerchiamento arabo e cercare di sopravvivere.
Di recente si è imposta un'altra idea della politica, soprattutto estera: quella per cui gli attori politici e soprattutto gli stati dovrebbero ignorare i propri interessi e badare soprattutto alla dimensione umanitaria, magari dei singoli episodi. Almeno nel dibattito pubblico non ci si è chiesti se intervenire in Kosovo, in Libia, in Iraq, in Afghanistan eccetera fosse nell'interesse dell'Occidente, cioè detto in termini generali aiutasse la democrazia e l'economia libera su cui ci fondiamo; l'azione è sempre stata motivata da ragioni che mi permetto di definire "di polizia": che si stessero cioè commettendo in questi paesi dei crimini contro l'umanità particolarmente ripugnanti.
Bisogna dire che dal punto di vista delle popolazioni interessate la cura è stata spesso peggiore del male e che il risultato finale di solito non ha corrisposto alle aspettative, nel senso che una dittatura è stata sostituita con un'altra, un sistema criminale con altri e che le ragioni di fondo del disordine non sono state affatto eliminate. Ma questo non conta: anche nel recentissimo caso dell'Egitto non ci si è chiesti, almeno nel dibattito pubblico dei paesi occidentali, chi fossero i possibili nemici ed avversari, quale schieramento fosse più vicino o meno nemico dei nostri valori, che cosa fosse conveniente fare o non fare. Si è posto il problema in termini di "giustizia" ed eventualmente di "umanità": era "giusto" deporre un presidente eletto come Morsi (ma per Mubarak nessuno aveva posto la domanda); avevano i militari violato le regole umanitarie con la violenta repressione dei Fratelli Musulmani (e dato che la repressione esercitata da questi non era stata così massiccia, ma diluita e continua, per loro il problema non si poneva). Lo stesso oggi per la Siria. Sotto l'impressione della notizia del crimine clamoroso dei gas, si impone un'azione di polizia, non un progetto politico con scopi precisi e un calcolo lucido di costi e benefici.
Barack Obama
Badate che non sto affatto dicendo che tutti gli interventi umanitari siano sbagliati. Per esempio se gli alleati avessero considerato nella seconda guerra mondiale l'opportunità di disarticolare con qualche bombardamento il sistema di trasporti che serviva i campi di sterminio, avrebbero salvato molte vittime della Shoah. Quel che dico è che anche questi interventi vanno calcolati lucidamente, non fatti sulla base dell'emozione giornalistica della notizia, e che bisogna calcolare le loro conseguenze sugli interessi generali. Per esempio, nel caso della Siria, così come si sono messe oggi le cose, dopo gli infiniti errori che hanno portato a questa situazione (vi ricordo che sia Erdogan che Obama fino a tre anni fa, ostentavano amicizia e fiducia per Assad; Obama fece addirittura una battaglia politica per riaprire i rapporti diplomatici, sospesi dal tempo della guerra del Golfo), che cosa bisogna fare? Non è certo possibile appoggiare un regime terrorista e guerrafondaio; ma i ribelli sono ormai Al Qaeda, hanno fatto anche di recente una specie di sottoguerra civile per eliminare l'autonomia curda non sufficientemente islamizzata. Possiamo appoggiare un emirato islamista a Damasco? Ci sono altre forze in gioco, meno nemiche dell'Occidente? Dove si vuole arrivare, oltre a punire i criminali (secondo la logica della polizia, non della politica)? E, per inciso: vale la pena correre il rischio di uno scontro con i russi, ben presenti in Siria? Si sono fatti i conti col pericolo strategico vero, che è l'atomica iraniana? Ci sono quelli che dicono che l'America vuole il petrolio siriano (peraltro molto scarso), come voleva quello iracheno (che peraltro ora non controlla). Fosse così, ci sarebbe una logica razionale, anche se meschina. Ma non pare proprio.
Ancora una volta Israele è molto lucido in questa storia, forse anche perché esclusi dai piani americani (negli incontri previsti in Giordania per programmare l'azione ci sono i sauditi, i turchi, i francesi, gli italiani, ma non gli israeliani). Israele cerca di difendere i propri interessi vitali: non ha paura a intervenire, quando vede dei trasferimenti di armi che sembrano dirette contro di lui, o viene violata la frontiera. E' una possibile "vittima collaterale" dell'intervento americano (perché la tentazione di Assad di reagire bombardando Israele come fece Saddam, e presentandosi alle masse arabe come un eroe vittima del sionismo dev'essere fortissima). Ma bada a difendersi, a costruire la propria deterrenza, ragiona cioè in una logica politica. La mia speranza - lo capisco, piuttosto impopolare - è che per una volta anche Obama esca dalla sua strana ciclotimia politica (grandi promesse e grande inazione) e provi a fare un calcolo strategico. Si accorgerebbe allora che il nemico è l'Iran e da questo punto di vista affronterebbe i dilemmi siriani.
Ugo Volli