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La Stampa Rassegna Stampa
26.08.2013 La tournée in Italia del cantante israeliano Asaf Avidan
cronaca di Bruno Ruffilli

Testata: La Stampa
Data: 26 agosto 2013
Pagina: 26
Autore: Bruno Ruffilli
Titolo: «Avidan: un falsetto blues che smuove sentimenti»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/08/2013, a pag. 26, l'articolo di Bruno Ruffilli dal titolo "Avidan: un falsetto blues che smuove sentimenti".


Asaf Avidan

Gli italiani lo ricordano per l’ultimo Sanremo, dove ha partecipato come ospite. Ha cantato One Day/Reckogning Song , un brano del 2008 diventato famoso lo scorso anno nella versione del deejay tedesco Wankelmut. «Non ero convinto dell’operazione -, racconta Asaf Avidan – ma quel remix mi ha fatto conoscere in tutto il mondo». Sul palco dell’Ariston il suo falsetto straziato ha conquistato il pubblico, e One Day sarà ovviamente il momento clou delle prossime date italiane (29 agosto Verona, 31 agosto Locorotondo, 2 settembre Grugliasco): «Gli spettatori aspettano questa canzone, però apprezzano anche le altre, sono curiosi di scoprire il mio mondo musicale». Un mondo che con l’ultimo album Different Pulses si è aperto all’elettronica, lasciando in secondo piano le influenze folkeggianti dei primi lavori. E i Mojos, la band con cui Avidan aveva inciso i tre dischi precedenti: «Non potevo sperimentare, sentivo sulle mie spalle la responsabilità del gruppo, invece stavolta ho provato tutto quello che avevo in mente».

Il risultato è un disco non perfetto, ma originale e intrigante, con mille influenze che vanno dal blues a Leonard Cohen, e qua e là perfino qualche curiosa somiglianza con i Radiohead: «Loro sono un esempio di creatività e di onestà intellettuale - commenta -. Una volta ho incontrato il cantante, Thom Yorke, a un festival dove suonavo anch’io. Gli ho chiesto se voleva venirmi a sentire, ma allora ero un perfetto sconosciuto: non credo che alla fine abbia assistito al concerto, anzi lo spero perché per l’emozione quella sera ho cantato peggio del solito».

Trentatré anni, israeliano, Avidan è magrissimo, il volto spigoloso, la cresta da calciatore. Ma il suo modo di cantare ricorda le grandi interpreti del blues, da Billie Holiday a Nina Simone, fino ad Amy Winehouse (e si nota ad esempio in The Disciple , dall’ultimo disco). Un po’ come Antony, che pure si è esibito a Sanremo quest’anno. «Nelle voci più interessanti spesso c’è un tocco dell’altro sesso - riflette - ma per me non deve diventare il tratto distintivo di un cantante. Antony racconta il suo mondo, io il mio. Non abbiamo nulla in comune, eppure il pubblico capisce che la nostra è musica vera perché viene da una relazione onesta con noi stessi, nasce dalla stessa voglia di guardarsi dentro e cercare di capire chi siamo».

E chi è Asaf Avidan? «Non lo so bene, ma certo uno cui è toccata una grande fortuna». Che è anche un gran lavoro: è in tour da quasi quattro anni, e sarà di nuovo in Italia a novembre per altre quattro date, in Israele è regolarmente in cima alle classifiche, a Parigi riempie teatri prestigiosi come l’Olympia. Tutto cominciò nel 2006, con un amore spezzato e un disco con sei brani: «Decisi di cambiare vita, lasciai il corso di animazione alla Bezalel Academy of Arts & Design di Gerusalemme e provai a scrivere musica. Era una terapia, dovevo trovare un modo per sfogare il malessere e ricominciare». Le grandi canzoni nascono solo dal dolore? «No, sono sicuro che anche la felicità possa ispirare dei capolavori, ma a me non è successo ancora».

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