Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 26/08/2013, a pag. 11, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Qualcuno fermi l’attacco alla Siria. Sarebbe il suicidio dell’Occidente ". Da REPUBBLICA, a pag. 15, l'intervista di Alix Van Buren a Charles Kupchan dal titolo " Il regime non può restare impunito però il modello Kosovo non funziona ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'intervista di Monica Ricci Sargentini a Carlo Scognamiglio dal titolo "Questo non è il Kosovo. Servono le Nazioni Unite". Dalla STAMPA, a pag. 11, l'intervista di Paolo Mastrolilli a Edward Luttwak dal titolo "Chiunque prevalga perde l’America. È meglio lo stallo".
Non siamo d'accordo con le analisi di Allam, Scognamiglio, Luttwak, Kupchan, in quanto prive di una fondamentale osservazione, l'intervento alleato USA/GB sarebbe di monito all'Iran, un avviso che, se la sua minaccia nucleare non si ferma, l'Occidente è pronto a impedire che ne venga in possesso. In più la sconfitta di Assad rappresenta una sconfitta anche per lran ed Hezbollah, i suoi due stretti alleati. Questo è anche il pensiero espresso da Bibi Netanyahu nella conferenza stampa di ieri, della quale riferiamo in altra pagina (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=40&id=50441).
Invitiamo, inoltre, a leggere la 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=50442).
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Magdi C. Allam : " Qualcuno fermi l’attacco alla Siria. Sarebbe il suicidio dell’Occidente "
Magdi C. Allam
Speriamo che non succeda mai. Più che una guerra sarebbe il suicidio dell'Occidente in Siria. Quali paradossi, ipocrisie e assurdità! A cominciare dal fatto che a scatenarla sarebbe il primo Premio Nobel alle intenzioni, un attestato di uomo della pace conferito a Obama a soli 9 mesi dalla sua elezione a prescindere dalle sue azioni. Poi la motivazione alquanto dubbia, visto che esistono le prove che le testate chimiche sarebbero state lanciate dai terroristi islamici e non dall'Esercito che, piaccia o meno, rappresenta la legalità e ha il dovere di difendere lo Stato. Infine lo scopo: come è possibile che dopo aver toccato con mano in Tunisia, Libia e Egitto le conseguenze tragiche dell'avvento al potere dei Fratelli Musulmani sostenuti dai Salafiti e fiancheggiati da Al Qaida, l'Occidente in Siria si ostini a voler portare al potere la stessa triade di fanatici islamici che in due anni hanno provocato la distruzione del Paese, oltre 80 mila morti ( di cui la metà soldati) e 2 milioni di sfollati (di cui la metà bambini)?
Per fortuna che c'è la Russia di Putin che, a differenza dei governanti liquidatori della civiltà occidentale, ha chiaro in testa che la priorità deve essere la sconfitta del terrorismo islamico ovunque nel mondo, così come ha una ferma concezione sulla stabilità e la sicurezza della Siria e del Medio Oriente. Persino Israele tentenna sul da farsi presa nella morsa tra il nemico storico, la dittatura laica di Assad che ha partecipato alle guerre anche se successivamente ha garantito la tregua alla frontiera, e il nemico dichiarato, il terrorismo islamico che proclama pubblicamente la volontà di cancellare lo Stato ebraico dalla carta geografica.
Obama è riuscito a far odiare gli Stati Uniti sia dai laici sia dagli islamici. È incredibile come, da un lato, dopo aver aiutato finanziariamente, politicamente e talvolta anche militarmente sia i governi al potere sia gli oppositori interni, oggi gli americani vengano additati dagli uni e dagli altri come i nemici della democrazia e i sostenitori dei terroristi o dei dittatori.
La verità è che l'Occidente non è più credibile né come autorità politica, per il venir meno della bontà del suo modello di civiltà di fronte alla sfida della globalizzazione, né come autorità morale per il comportamento assunto nelle guerre dei Balcani, in Afghanistan, Iraq e Libia, dove è stato accertato l'uso di testate a uranio impoverito che anche in Italia ha provocato, secondo l'Associazione Vittime Uranio, la morte di 216 nostri soldati per tumore e la contaminazione di altri 2500.
Speriamo che in extremis prevalgano la ragione e il sano amor proprio! Questo è il momento in cui l'Occidente potrebbe imporre delle severe condizioni a Assad in cambio della salvaguardia dello Stato laico, favorendo l'inclusione solo degli oppositori che rispettano i diritti fondamentali della persona e condividono i valori che sostanziano la democrazia a partire dalla pacifica alternanza al potere, il che esclude tutti coloro che strumentalizzano la democrazia per imprre la sharia, la legge coranica. Se viceversa Obama, Cameron e la Ashton dovessero commettere la follia dell'intervento armato, significherebbe che hanno deciso di gettare nel baratro la Siria, così come è già successo in Iraq, per favorire l'interesse delle multinazionali delle armi, del petrolio, della finanza speculativa e della ricostruzione.
Tra parentesi che fine hanno fatto i pacifinti che hanno gremito le piazzed'Italia per dire no alle guerre nei Balcani, in Afghanistan e in Iraq, quando si trattava di denunciare gli «sporchi interessi dei guerrafondai a stelle e strisce»,mentre risultano latitanti da quando si è dato in pasto all' opinione pubblica la menzogna mediatica della «Primavera araba »? Se sono ancora in ferie beati loro, ma qualcuno li avvisi che gli stessi odiatissimi guerrafondai si apprestano ad attaccare la Siria. Ebbene se non assisteremo a manifestazioni oceaniche dovremo prendere atto che i pacifinti che hanno sostituito il tricolore con la bandiera arcobaleno del globalismo, multiculturalismo, immigrazionismo e relativismo, sposano anche la causa dell'islamismo.
La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " Il regime non può restare impunito però il modello Kosovo non funziona "
Charles Kupchan
«Certe volte non far nulla, l’astenersi dall’azione, è la scelta politica migliore. Questo potrebbe applicarsi alla Siria, per quanto sia frustrante alla luce di tanta sofferenza ».
Charles Kupchan, docente di Affari internazionali alla Georgetown University, esperto di strategia e di politica estera americana al Council on Foreign Relations, non bada troppo al frastuono dei tamburi di guerra. Trova ragionevole il postulato di Obama: “Non si deve esagerare la capacità dell’America nel risolvere i complessi problemi in Siria”. Professore Kupchan, neppure l’uso delle armi chimiche spingerebbe l’America a intervenire?
«Prima c’è una questione più immediata da affrontare: sapere se effettivamente il governo siriano ha impiegato quelle armi. Soltanto allora sarebbe necessaria una risposta militare degli Stati Uniti, con o senza alleati, per affermare che l’uso degli agenti chimici è inaccettabile».
Secondo lei, quante probabilità ci sono che scatti un’azione militare?
«Direi il 50 per cento. E per due motivi: primo, non si parlerebbe tanto dell’uso della forza se l’Amministrazione Obama non stesse contemplandola. La seconda ragione è che il presidente è sotto pressione da parte di chi gli chiede una risposta più energica al protrarsi delle morti in Siria, agli eventi in Egitto».
Lei, che tipo di intervento militare si aspetta?
«Ci sono due scelte: una rappresaglia “leggera”, contro obiettivi legati al lancio delle armi chimiche — installazioni di missili, unità militari, senza però colpire i depositi di agenti tossici. Questo invierebbe un messaggio al regime di Damasco, che non può agire con impunità».
E il secondo tipo di rappresaglia? «È quella “pesante”, che prende a modello l’operazione in Kosovo. Sotto il profilo diplomatico è un’alternativa efficace: permette di bypassare l’Onu e il veto russo. Permetterebbe di colpire l’intera infrastruttura militare del regime, la catena di comando, l’aviazione, gli aeroporti. Precipiterebbe l’inizio della fine del regime. Però, comporterebbe gravi rischi e in più sul terreno non funzionerebbe ».
Quali rischi?
«L’America verrebbe coinvolta più pesantemente nel conflitto, si espanderebbero il caos e la perdita di vite umane. Inoltre, a differenza del Kosovo, o della Libia e dell’Afghanistan dove la Nato poteva coordinarsi con una forza locale organizzata a terra, in Siria questo non c’è. L’opposizione è frammentata. Peggio: se Assad cadrà, nessuno sa chi né che cosa lo sostituirà».
Il bilancio del conflitto in Siria, dopo due anni e mezzo, è di miliardi spesi in armi, 130 mila morti, un Paese che va spopolandosi con il 40 per cento della popolazione resa profuga, mentre Assad è ancora al potere. Si poteva intervenire prima? Oppure, indebolire la Siria è un obiettivo strategico?
«Proprio così, è un disastro umanitario. E l’indebolimento della Siria è un risultato che la comunità internazionale è pronta ad accettare. Alla base c’è il timore che le conseguenze di un intervento militare in una guerra civile prolungata possano rivelarsi ancora peggiori. In Iraq, Afghanistan, Libia molte vite sono state perse, con scarsi risultati positivi. Bengasi era la base dell’opposizione sostenuta dall’America, e proprio lì sono stati assassinati i nostri diplomatici».
L’America perde influenza?
«Niente affatto. La riluttanza di Obama non deriva da un’incapacità di intervenire. Al contrario, rispecchia la precisa volontà di non farlo. Volendo, lui potrebbe agire oggi stesso. Non è escluso che entro l’anno lo faccia in Iran. Riguardo alla Siria, manca una risposta alla domanda del “cosa possiamo fare?”. Perciò, anziché far peggio, a volte è meglio far niente».
CORRIERE della SERA - Monica Ricci Sargentini : " Questo non è il Kosovo. Servono le Nazioni Unite "
Carlo Scognamiglio
«La strada maestra rimane quella delle Nazioni Unite. Non sempre le ragioni morali possono tradursi in un’azione di polizia internazionale». Carlo Scognamiglio, ministro della Difesa nel 1999 ai tempi dell’intervento Nato in Kosovo, esprime le sue perplessità sulla possibilità di un intervento armato in Siria senza il placet dell’Onu.
In queste ore, di fronte all’uso quasi certo di armi chimiche da parte di Bashar Assad, il premier britannico David Cameron e il presidente degli Stati Uniti Barack Obama stanno esaminando anche questa opzione.
Professor Scognamiglio quali sono le analogie con l’intervento Nato in Kosovo?
«In entrambi i Paesi un leader, nel caso del Kosovo Milosevic, nel caso della Siria Assad, usa violenza contro i suoi stessi cittadini. E la comunità internazionale si pone il problema di fermarlo. C’è però una grossa diversità».
Quale ?
«Quella geografica, il Kosovo era un nostro vicino di casa e quindi rientrava certamente nel concetto all’interno e nei dintorni dell’Europa che permise alla Nato di agire senza una legittimazione dell’Onu. Questo fatto fu riconosciuto dagli altri Paesi, né i cinesi né i russi contestarono il ragionamento. Qui, invece, siamo un po’ distanti dai confini dell’Europa, dire che il Medio Oriente è un territorio di competenza della Nato mi sembra un po’ difficile».
Quindi, secondo lei, un intervento del genere è sconsigliabile?
«Una decisione unilaterale della Nato, anche se giustificata da motivi umanitari, senza l’accordo di altri Paesi presenti nella regione potrebbe avere delle conseguenze drammatiche in presenza di altre tensioni nella zona come quelle tra l’Iran e Israele».
Cosa dovrebbero fare i Paesi occidentali?
«Cercare l’alleanza di altri Paesi non facenti parte della Nato. Se ci fosse l’accordo della Russia questo potrebbe cambiare le cose. La Nato ha le forze e le competenze per portare avanti una missione del genere. La mia perplessità nasce da un’azione unilaterale in un territorio non di nostra pertinenza».
Ma non è disumano che la comunità internazionale resti a guardare come ha fatto finora?
«Non sempre le ragioni morali possono tradursi in un’azione di polizia internazionale. In questo caso la strada maestra rimane quella dell’Onu. Anche se le posizioni sono distanti il negoziato serve a convincere delle proprie ragioni anche gli altri. Non vedo scorciatoie all’orizzonte, si rischiano situazioni ancora più pericolose».
La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Chiunque prevalga perde l’America. È meglio lo stallo "
Edward Luttwak
«Obama sta facendo la cosa giusta in Siria: resistere agli stupidi che cercano di spingerlo all’intervento». Edward Luttwak ha scritto un provocatorio editoriale sul «New York Times», in cui sostiene che gli Stati Uniti perderebbero in ogni caso, se una delle due parti vincesse la guerra. Quindi devono puntare al «pareggio permanente», che logorerebbe nemici dell’America come l’Iran, Hezbollah, Assad e al Qaeda.
Perché la vittoria di Assad sarebbe un disastro?
«Vorrebbe dire il successo di Iran, Hezbollah e gli sciiti più estremisti. Nemici giurati degli Usa, a cui non possiamo consegnare la Siria».
Perché non sarebbe utile neppure il successo dei ribelli?
«Sono una miriade di gruppi diversi, tra cui i fanatici islamici legati ad Al Qaeda, i talebani e i salafisti stanno prendendo il sopravvento. È gente che ammazza i cristiani, anche solo perché la loro squadra ha perso una partita di calcio. Se prendono la Siria, diventa una base per il terrorismo internazionale».
Se l’attacco chimico di mercoledì scorso verrà confermato, Obama potrà resistere ancora all’intervento?
«Certo. Finora sono state ammazzate oltre centomila persone con i proiettili convenzionali, e non siamo intervenuti; adesso dovremmo farlo, perché mille vittime sono state uccise dalle armi chimiche?».
Non le pare un ragionamento cinico, nei confronti dei civili che vengono massacrati?
«Al contrario, è un ragionamento realistico in loro difesa. Se una delle due parti vince, l’altra viene massacrata: i sunniti in caso di successo da parte di Assad; gli sciiti se vincono i gruppi estremisti legati ad al Qaeda. È vero che la gente sto morendo, ma la carneficina diventerebbe ancora più grave se qualcuno prendesse il sopravvento».
Molti criticano Obama, accusandolo di non aver avuto mai una strategia in Siria e Medio Oriente.
«Dicono una fesseria. La strategia di Obama era puntare sull’aiuto della Turchia, per appoggiare gli elementi moderati che all’inizio si erano rivoltati contro il regime, in modo da far cadere Assad e sostituirlo con un governo più amico. È la strategia che ha cercato di realizzare in tutto il Medio Oriente, appoggiando i musulmani moderati per dividerli da quelli più estremisti. Non ha funzionato perché la Turchia non è stata all’altezza, e i moderati siriani si sono dimostrati incapaci».
Ma il «pareggio permanente» a quale soluzione porta?
«Dobbiamo aiutare i ribelli quando Assad sta per vincere, e frenarli quando stanno vincendo loro. Così il regime siriano, l’Iran, Hezbollah, gli sciiti più estremisti, i salafisti, e i fanatici sunniti vicini ad al Qaeda e ai talebani, si logoreranno in una lunga guerra tra di loro, senza avere tempo e risorse per attaccare l’Occidente. Quando non avranno più forza, forse potremo riprendere il controllo. Quella zona del mondo, però, è un inutile covo di serpenti, dove non c’è neppure il petrolio. Non esiste alcuna ragione per cui agli americani convenga di metterci i piedi. Fra tre o quattro secoli, forse, quando torneranno a essere la grande civiltà che sono stati in passato».
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