Il commento di Fiamma Nirenstein
Fiamma Nirenstein
E' un fatto più unico che raro, che un israeliano, se ebreo, usi la parola Shoah fuori del contesto. La Shoah è ritenuta incomparabile per antonomasia da gran parte del pensiero occidentale e per mille ragioni che non staremo qui ad esaminare adesso. Basti invece dire che in questi giorni la parola Shoah è stata usata anche alla radio da personaggi pubblici (per esempio dall’ex ministro “Fuad” Ben Eliezer) quando è giunta la notizia che più di mille siriani, fra cui donne e bambini, erano stati eliminati con il gas Sarin alla periferia di Damasco.
Perchè? Non tanto perchè ci sia un’effettiva comparabilità storica fra i due eventi, sia nel numero degli uccisi (pure ormai enorme, più di centomila prima dell’uso del Sarin) che nelle cause e nello svolgersi degli eventi. L’orrore più grande è stato generato in Israele dall’atteggiamento dell’Occidente, e in generale di tutta la sua leadership. Eppure un eccidio si sta volgendo sotto i suoi occhi senza che nessuno senta il bisogno di andare oltre blande formule di condanna: qui sta lo scandalo che porta a usare la parola proibita. Obama aveva già da più di un anno promesso che gli Stati Uniti avrebbero esercitato il loro ruolo di leader mondiale quando fosse stata superata la “linea rossa” (così l’aveva chiamata) dell’uso di armi chimiche e biologiche. Quella linea rappresentava il limite, aveva detto, che la nostra civiltà non deve oltrepassare mai, e questa non si può considerare un’opzione: è un obbligo. E nonostante le sue mollezze nel trattare con il mondo Medio Orientale, i suoi inchini al re dell’Arabia Saudita, il famoso discorso di appeasement all’università di Al El Azar, nonostante avesse nel frattempo accolto i Fratelli Musulmani al governo dell’Egitto come fossero una forza moderata, pure il mondo lo aveva preso sul serio: e’ vero che l’America vuole essere ormai secondo la dottrina Obamiana, primus inter pares, dove l’accento è sul “pares” per quello che riguarda il presidente che odia il ruolo speciale del suo Paese identificandolo con la sua preminenza politica nel mondo, è vero che la sua considerazione della civiltà giudaico cristiana è sempre stata bassa e il suo atteggiamento terzomondista sconfinante nel relativismo, ma c’è un punto morale che non può essere messo da parte: la seconda guerra mondiale ha lasciato in eredità al mondo, e per questo l’ONU (bei tempi) era stata fondata, il divieto di compiere stragi di innocenti, di sterminare i civili, di intraprendere genocidi. L’America può aver fatto nella sua storia molti errori e molte prepotenze, ma l’idealismo americano, e quindi occidentale, ha suggerito al mondo il dovere di andare a combattere contro la dittatura, come è accaduto ormai per più di un secolo, di correre a salvare il mondo quando l’ingiustizia diventa troppo grande. Noi europei abbiamo questa memoria storica, questa percezione del ruolo degli Stati Uniti. Adesso, però, una grande rivoluzione ha avuto luogo. Se Obama avesse realizzato le sue promesse, avesse mantenuto la sua “linea rossa”, avrebbe di nuovo confermato la primogenitura americana, ma in generale avrebbe di nuovo garantito qualcosa di molto importante: che il genocidio è proibito. Adesso non ne siamo più sicuri. Certo non possiamo contare sull’Europa che non ha nessuna politica estera e che attraversa un periodo di confusione e di depressione senile. Ma di più, faremo bene a preoccuparci sulle “linee rosse” segnate da Obama. Quella più importante,lo sappiamo tutti, riguarda la sua promessa che all’Iran non sarà mai promesso di raggiungere la bomba atomica. Adesso sappiamo, ancor più che qualche mese fa, che vale ben poco. Qui per Obama si pone il dilemma se voglia passare alla storia come il presidente che ha permesso che la minaccia degli Ayatollah, con i loro amici Hezbollah e Assad di Siria, diventi la più potente del mondo.