Egitto: sarà scarcerato oggi Hosni Mubarak cronaca di Giuseppe Sarcina, intervista a Oran Pamuk di Marco Ansaldo
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica Autore: Giuseppe Sarcina - Marco Ansaldo Titolo: «Mubarak già oggi a Sharm. Ma resterà ai domiciliari - Questo è un golpe di stampo cileno ma l’Occidente guarda dall’altra parte»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/08/2013, a pag. 13, l'articolo di Giuseppe Sarcina dal titolo " Mubarak già oggi a Sharm. Ma resterà ai domiciliari ". Da REPUBBLICA, a pag. 15, l'intervista di Marco Ansaldo a Oran Pamuk dal titolo " Questo è un golpe di stampo cileno ma l’Occidente guarda dall’altra parte ", preceduta dal nostro commento. Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Giuseppe Sarcina : " Mubarak già oggi a Sharm. Ma resterà ai domiciliari "
Hosni Mubarak
IL CAIRO — Già oggi Hosni Mubarak, 85 anni, tornerà, pur rimanendo agli arresti domiciliari, nella sua villa tutta bianca di Sharm el Sheik. La corte penale del Cairo ha disposto ieri la scarcerazione dell’ex presidente, deposto dalla rivoluzione del gennaio-febbraio 2011. La città blindata ha accolto la notizia senza il furore che solo qualche mese fa sarebbe stato inevitabile attendersi. I militanti dei Fratelli musulmani hanno semplicemente aggiunto uno slogan «No a Mubarak libero» a quelli degli ultimi giorni - «al-Sisi vattene», «Morsi è il presidente» - ma i cortei sono rimasti confinati nelle aree periferiche, per esempio a Giza — la zona delle università e delle Piramidi. Sul fronte opposto, quello di Tamarod, la coalizione che ha appoggiato la cacciata di Morsi per mano dei militari, si è vissuto un pomeriggio di imbarazzo politico, terminato con un comunicato ambivalente. Da una parte il fronte anti Morsi dichiara di voler rispettare le decisioni della magistratura; dall’altra sollecita il governo provvisorio a trovare il modo di trattenere l’ex rais dietro le sbarre. La procura, però, avrebbe già fatto sapere che non ricorrerà in appello, nonostante avesse 48 ore di tempo per valutare il caso. La lettura politica della vicenda, dunque, appare semplice. Il colpo di stato militar-popolare del 3 luglio è in piena evoluzione. Il generale al-Sisi — formalmente solo ministro della Difesa — sta imponendo una specie di coprifuoco non solo per le strade, ma anche nello spazio giuridico dello Stato. La magistratura si è adeguata. Si vedrà nei prossimi giorni se lo farà anche lo schieramento dei partiti liberali. La nota di ieri segnala indubbiamente un ripiegamento: Tamarod preferisce tutelare l’alleanza con i militari per mettere fuori gioco i Fratelli musulmani, piuttosto che precipitarsi in piazza rispolverando gli slogan contro Mubarak di due anni fa. È un calcolo politico rischioso e anche amaro. «Che tristezza» commentano diverse personalità dell’opposizione, con la garanzia dell’anonimato. Restano in campo solo gli islamisti che hanno annunciato per domani altre proteste, un’altra «giornata dei martiri»: forse, dopo la preghiera dell’una, si potrà capire quale forza d’urto sono ancora in grado di sprigionare. Il dossier Mubarak potrebbe, invece, ritrovarsi in un mondo parallelo, lontano dall’attualità, tra codicilli e tecnicismi. Il leader che ha dominato l’Egitto dal 1981 al 2011 è imputato in quattro procedimenti. L’udienza di ieri, tenuta nel carcere di Tora, riguarda un’accusa di corruzione: Mubarak e i suoi due figli Gamal e Ala avevano incamerato fondi dal quotidiano statale al-Ahram. I denari, poi, sono stati restituiti. Nel frattempo sono scaduti i termini della custodia. Può sembrare incredibile, ma non ci sono altri motivi, così ha stabilito la corte, per trattenere l’ex presidente nel penitenziario. Eppure il vecchio padrone non ha ancora regolato i conti con la giustizia e con il popolo egiziano. È stato condannato all’ergastolo nel giugno 2012 come responsabile della morte di circa 900 manifestanti nei giorni di piazza Tahrir. Poi, il 12 gennaio 2013, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza, disponendo la ripetizione del processo. Risultato: Mubarak se ne va dal carcere di Tora, dove invece resta Morsi, e torna ad ammirare il mare di Sharm el Sheik.
La REPUBBLICA - Marco Ansaldo : " Questo è un golpe di stampo cileno ma l’Occidente guarda dall’altra parte "
Oran Pamuk
I media, non solo italiani, ma internazionali, sin dal giorno dell'arresto di Morsi si sono schierati dalla sua parte, ignorando che 10 milioni di egiziani avevano firmato per il suo allontanamento dal potere. E' bastato un anno per capire le reali intenzioni dei Fratelli Musulmani, per altro arcinote anche a chi aveva un minimo di informazione sulla Fratellanza. Tutti tranne gli "esperti" Occidentali che, invece, continuano a parlare di colpo di Stato quando si tratta di una legittima difesa contro un governo teocratico che vuole imporre la shari'a. Va compreso, però, il povero Pamuk, il quale, vivendo in Turchia, deve tenersi buono Erdogan e quindi, al pari di molti altri intellettuali non solo turchi, liscia il pelo al partito islamico che è al governo in Turchia e stretto alleato di Morsi in Egitto. Ecco l'intervista:
«Promuovere colpi di stato militari è una brutta abitudine. Soprattutto contro governi eletti in modo democratico, solo perché non servono gli interessi dell’Occidente. I putsch non restaurano la democrazia, peggiorano le cose. È stato così in passato in Turchia. Lo vediamo oggi in Egitto. E l’esempio che mi viene ora in mente è quello di 40 anni fa esatti, il golpe in Cile contro Salvador Allende». Orhan Pamuk non si trincera dietro alla stesura del suo nuovo libro, e non si esime dall’esprimersi liberamente in materia politica. E analizza anzi il golpe egiziano con lucidità spietata. Chiuso nella sua casa estiva di Buyukada, l’isola a poco più di un’ora da Istanbul, il premio Nobel turco sta lavorando duramente («come un asino», dice lui) al prossimo romanzo, che uscirà a inizio 2014. Ma confessa di «vagare fra il tavolo dove scrivo, e il computer o la tv per seguire quello che ac- cade al Cairo». L’Egitto è un Paese che gli è molto caro. I suoi libri laggiù sono apprezzati, spesso è invitato a tenere conferenze e conosce bene scrittori come Neguib Mahfouz e la letteratura egiziana. Pamuk, ma che cosa dovrebbe fare l’Occidente di fronte alla situazione che si è creata al Cairo? «Io dico che promuovere colpi di stato contro governi che sono stati eletti in modo democratico, solo perché non servono agli interessi occidentali, è una cattiva abitudine ». Le viene in mente un esempio? «Giusto 40 anni fa, nel 1973, gli Stati Uniti promossero un golpe in Cile contro il governo di Allende. Che danneggiò profondamente, per molto tempo, l’immagine della democrazia all’occidentale. Non solo. Finì per stimolare politiche ancora più radicali e fondamentaliste contro gli ideali della democrazia e della libertà di espressione». Torniamo alla domanda iniziale, allora: che cosa dovrebbe fare l’Occidente? «L’Ue dovrebbe rifiutare in maniera definitiva, e con molta chiarezza, certe politiche se vuole costituire un modello per i Paesi vicini». Paesi vicini come la Turchia. Sembra quasi che lei stia richiamando le tematiche del suo romanzo più politico, “Neve”. «In quel libro, ambientato nella Turchia più lontana, la problematica sollevata era quella dell’etica di tollerare una democrazia dove i vincitori non sono i filo-occidentali, ma piuttosto gli islamici e le classi più povere...». Abbiamo ancora negli occhi i massacri di giugno a Istanbul, in Piazza Taksim e al Gezi Park. Vede analogie tra la situazione attuale al Cairo e future instabilità in Turchia? «Fino ancora a pochi anni fa le elite al potere nel mio Paese hanno promosso colpi di stato militari per disfarsi di governi di tipo conservatore eletti democraticamente. Ma questi golpe, invece che “restaurare la democrazia”, portavano le cose ad andare persino peggio e servivano solo a danneggiare l’economia della Turchia e la libertà di espressione». Seguendo le notizie alla tv che idea si è fatto di quel che accade in Egitto? «Due giorni prima che l’esercito prendesse il potere, il comandante dell’esercito, al-Sisi, ha fatto una cosa che mi ha subito ricordato il titolo del romanzo di Garcia Marquez, Cronaca di una morte annunciata. Ha cioè annunciato il suo putsch a tutto il mondo. E tutto il mondo ha voltato la testa dall’altra parte. In particolare l’Occidente. Anche adesso che l’esercito egiziano continua a uccidere, non solo i governi degli Usa e della Ue, ma anche l’opinione pubblica nei Paesi occidentali si comportano come se non avessero alcuna responsabilità». Che cosa bisognava fare, per lei? «Dire un “no”, forte e chiaro. Questo è il punto. Perché un golpe non può mai essere il centro di un cambiamento politico».
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