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Il Foglio Rassegna Stampa
21.08.2013 Salisburgo, la roccaforte culturale antinazista
commento di Andrea Affaticati

Testata: Il Foglio
Data: 21 agosto 2013
Pagina: 2
Autore: Andrea Affaticati
Titolo: «Il Festival anti Hitler»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/08/2013, a pag. 2, l'articolo di Andrea Affaticati dal titolo "Il Festival anti Hitler".


Arturo Toscanini, direttore d'orchestra al Festival di Salisburgo durante gli anni del nazismo

I nazisti volevano fare terra bruciata attorno al Festival di Salisburgo e invece ottennero l’esatto opposto. Al posto di Furtwängler arrivò Toscanini, al posto di un pubblico colto ma non elitario arrivò la crème de la crème, e da oltreoceano addirittura la divina Marlene. Questo racconta lo storico austriaco Robert Kriechbaumer nel suo recente “Zwischen Österreich und Großdeutschland – eine politische Geschichte der Salzburger Festspiele 1933-1944” (Tra l’Austria e la Grande Germania – una storia politica del Festival di Salisburgo tra il 1933 e il 1944, Böhlau Vlg.). L’idea di usare la strumentalizzazione del festival da parte della politica permette di spiegare una relazione, quella tedesco-austriaca, mai facile e spesso resa ancora più problematica da malintesi o furberie (così, i tedeschi non hanno mai perdonato agli austriaci di aver rifilato loro Hitler ed essersi presi in cambio Beethoven). Il festival era stato da sempre una spina nel fianco per i nazisti. Non solo l’aveva fondato, nel 1920, Max Reinhardt, il più geniale e amato regista e produttore teatrale della capitale, che al secolo si chiamava Maximilian Goldmann ed era ebreo. Anche Hugo von Hofmannsthal, uno dei cofondatori, aveva radici ebraiche (per quanto la famiglia si fosse successivamente convertita al cattolicesimo), così come Alexander Moissi, l’attore più acclamato degli inizi, interprete del protagonista di “Jedermann” (la piece teatrale di Hofmansthal, che fino a oggi è parte integrante del festival). E poi c’erano le feste che Reinhardt dava ogni estate nella sua tenuta del castello di Leopoldskron. Vi partecipavano i vari Zweig, Zuckerkandl, e altri rappresentanti della borghesia e dell’intellighenzia ebraica di Vienna. Per i nazisti quelle feste erano dei sabba, con gli ebrei al posto delle streghe. Ma nel 1933, con l’arrivo di Hitler, i nazisti poterono finalmente intervenire.
Berlino aveva emesso un’ordinanza che prevedeva per i tedeschi che volevano andare in Austria l’obbligo di pagare una somma di 1.000 marchi (che equivarrebbe oggi a 4.000 euro circa). Non si trattava di una disposizione ad hoc contro Salisburgo, ma di una ritorsione contro l’Austria, che allora non ne voleva sapere di un Anschluss, ma danneggiava ovviamente anche il festival. La campagna anti Salisburgo ebbe però, lì per lì, l’effetto contrario: la città si era addirittura trasformata in una roccaforte culturale antinazista. E sì che Salisburgo era tutt’altro che impermeabile “alla più ingegnosa delle perfidie umane” come usava definire Stefan Zweig l’antisemitismo, e che delle camicie brune a Salisburgo parla anche nel suo “Il mondo di ieri”. Insomma, grazie alle restrizioni naziste, Salisburgo fece il salto di qualità. Da “succursale artistica dell’alta borghesia viennese dalla forte connotazione ebraica, diventa meta di un pubblico molto più elitario, facoltoso, cosmopolita, e che in alcuni casi arrivava anche da oltreoceano. Come Marlene Dietrich, che assistette ai concerti per due anni di seguito, nel 1936 e 1937, insieme al marito Rudolf Sieber. Allora alla divina piaceva farsi vedere con un cappellino alla tirolese. Chissà se anche la mise di Dietrich aveva indotto un anno dopo, ad Anschluss avvenuto, a vietare ai “Lebanon-Tiroler” (uno dei tanti appellativi spregiativi per gli ebrei) di portare tipici indumenti tirolesi (originali o meno che fossero). Un altro errore strategico dei nazisti era stato quello di interdire agli artisti tedeschi di partecipare al festival austriaco.
Per Salisburgo, a ben vedere, non era stato un dramma. Al posto del rinomatissimo direttore d’orchestra (molto apprezzato anche da Hitler) Wilhelm Furtwängler che aveva dato forfait, era arrivato, nel 1934 Arturo Toscanini. E l’italiano, come ricorda Kriechbaum, non era solo il direttore d’orchestra per eccellenza, era anche un convinto e coraggioso antifascista, tanto da dirigere proprio a Salisburgo le opere di Wagner. Furono tre anni di grandi rappresentazioni, tre anni in cui pur muovendosi già sull’orlo del baratro, tutti preferivano far finta di non capire. Hitler non ebbe mai alcun interesse per Salisburgo, innamorato com’era di Bayreuth, di Wagner. Ma se il Führer lo snobbava, c’era il suo ministro della propaganda Goebbels che aveva deciso di fare di Salisburgo il suo palcoscenico: Furtwängler avrebbe diretto sia Bayreuth che Salisburgo (per diventarne dopo la guerra il direttore artistico) mentre Goebbels stesso avrebbe preso dimora nel Schloss Leopoldskron.

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