Lettera aperta a Gianni Riotta
da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
Gianni Riotta
Caro Gianni Riotta,
seguo sempre con interesse, e spesso ne condivido le conclusioni, le sue analisi di politica internazionale. Questa volta, però, ho delle domande da porle, dopo aver letto il suo pezzo su quanto accade in Egitto uscito sul sito online del quotidiano e non nell'edizione cartacea e che riporto qui per intero.
Mi chiedo innanzi tutto, ma questa osservazione è rivolta non solo a lei, che cosa stia succedendo alla ‘mente’ occidentale di fronte alla avanzata, ormai riconosciuta da tutti, del fanatismo religioso islamico che sta travolgendo i paesi musulmani. Ero fra coloro che ritenevano la cultura occidentale ormai immune dal virus del clericalismo cristiano, le nostre società, chi più in fretta, chi più lentamente – quella italiana, per esempio – avevano compiuto grandi passi verso la modernità. Allora mi chiedo come sia possibile questa cecità nei confronti della presa del potere da parte dei Fratelli Musulmani in Egitto e nei paesi del Maghreb, quando la stragrande maggioranza degli egiziani ne ha preso le distanze dopo un solo anno di governo del presidente Morsi. Con 10 milioni di firme, alle quali sono seguite manifestazioni di massa in tutto il paese, ne hanno chiesto la rimozione e nuove elezioni per avere un governo laico e non islamista. Invece di applaudire al vento laico che iniziava a soffiare in un paese che democratico non lo è certo mai stato, l’Occidente ha preso le difese di Morsi, di colui che stava introducendo a legge dello Stato la Shari’a ! I lettori italiani ne sanno ben poco in che cosa consista, i nostri media se ne sono guardati dall’ entrare in merito, preferendo intervistare quel Tariq Ramadan che tanto piace nei salotti mondano-culturali anche nel nostro paese, dove non si sa che è il nipote del fondatore del movimento della Fratellanza e attuale divulgatore della bontà dei suoi programmi. Ma gli egiziani, che hanno capito in che cosa consistevano, si sono ribellati e hanno cacciato Morsi e la sua Fratellanza. Che cosa fa l’Occidente ? Chiede ai militari – che in questa situazione rappresentano l’unica possibile via laica al cambiamento, che non sarà una democrazia, ma è sempre meglio della teocrazia di Morsi – di venire a patti con l’ex presidente spodestato, malgrado le violenze scatenate dai suoi in tutto il paese. Sceglie il teocrate della Shari’a invece di sostenere l’esercito, l’unica alternativa al caos nel quale i Fratelli Musulmani vorrebbero far cadere il paese. Questo comportamento non è una novità, è avvenuto anche in Turchia con il sostegno a-critico verso il governo Erdogan, che ha incarcerato centinaia di ufficiali dell’esercito, giornalisti dell’opposizione, rappresentanti politici di forze liberali e laiche per rafforzare il proprio potere, guarda caso, islamista e chiudere la bocca a quella parte della Turchia che guardava laicamente all’Europa e non all’islam.
Tutto questo è avvenuto – e sta avvenendo – in un quasi totale silenzio stampa nel mondo occidentale, Usa e Ue dettano la linea, i media la seguono.
Come mai ? Perché governi e opinionisti- con rare eccezioni - in Europa e America, sembrano essere ipnotizzati da soluzioni non solo dittatoriali ma aggravate dalla presenza di una religione che politicamente vuole instaurare un califfato dove scompare quella separazione fra Stato e Chiesa, per la quale l’Occidente liberale – sottolineo liberale, non clericale – ha tanto lottato ?
Angelo Pezzana
Ecco l'articolo di Gianni Riotta
Abdel Fatah al Sisi, Mohamed Morsi
La giornata di guerriglia di ieri, in Egitto, ha toccato oltre al Cairo Alessandria, Ismailia, Damietta e le proteste hanno lambito i centri turistici internazionali, dando alla grande crisi del Paese arabo risonanza nelle distratte cronache del mese di vacanze in agosto.
La strage di centinaia di morti, il calcolo delle vittime resterà per sempre incerto, conferma che il regime militare del generale Abdel Fattah al-Sisi ha deciso di portare l’orologio politico egiziano ancora più indietro rispetto ai tempi del presidente Mubarak. Allora i Fratelli Musulmani, per quanto perseguitati e incarcerati, avevano però un margine di manovra sociale, lavorando nei quartieri con la loro vasta rete di solidarietà religiosa. Tollerati, purché non alzassero troppo la testa.
Ora, dopo il golpe che ha abbattuto il presidente islamista Morsi e la feroce repressione, la giunta militare manda un messaggio chiaro: l’ordine deve regnare al Cairo e in tutte le altre città d’Egitto e lo stato di perenne anarchia seguito alla caduta di Mubarak deve cessare, subito. La protesta del presidente Obama, per quanto flebile e limitata, in concreto, a un semplice stop a manovre militari congiunte che avrebbero visto gli americani fianco a fianco ai responsabili delle stragi, è stata irrisa dai generali.
Che hanno spiegato, con sussiego, di dare la caccia agli stessi islamisti che Obama colpisce con i droni in Yemen e Afghanistan. Un’accusa chiara di ipocrisia, tanto più che Washington staccherà puntuale l’assegno annuo di un miliardo di euro, mancia pingue su cui l’esercito basa da decenni il potere.
La denuncia europea della repressione, guidata dalla cancelliera tedesca Merkel, dal presidente francese Hollande e dal premier italiano Letta, benvenuta sul piano diplomatico, non avrà però nessun effetto concreto sulla crisi. Da troppi anni l’Europa agisce in Medio Oriente divisa, ciascuna potenza a rimorchio dei propri interessi locali, e l’assenza di una forza militare accanto alle belle parole sui diritti, farà sì che l’UE, per dirla all’italiana, godrà di «una bella figura» all’Onu, che pure sta muovendo, tardi e male, il Consiglio di Sicurezza, ma senza aiutare l’Egitto a ritrovare pace. Israele, che collabora nel Sinai con l’esercito egiziano contro terroristi infiltrati, sta a guardare, ma il bagno di sangue al Cairo rende i «negoziati di pace» israelo-palestinesi, voluti a tutti i costi dal segretario di Stato Usa Kerry, ancor più vacui e velleitari.
In Egitto la parola è alle armi, in uno scontro di potere dove la forza schiaccia la debolezza, nel senso più crudele dei filosofi Hobbes e Machiavelli, niente diritti, niente dialogo, nessuna carta civile. Il generale al-Sisi legge il governo di Morsi come prova che i Fratelli Musulmani non accetteranno mai non solo la democrazia, ma neppure un equilibrio di stabilità, il vecchio Egitto, più grande Paese arabo, come boa tra le tensioni in Medio Oriente. La giunta accusa Morsi di non avere mediato con i militari, di avere lasciato che la piazza islamista spaventasse e minacciasse i cristiani copti, i liberali, il ceto dei mercanti e degli industriali. Ha deciso che, fino a quando i Fratelli non saranno annichiliti, ridotti alle corde, terrorizzati, l’Egitto non avrà pace e si comporta di conseguenza, certo che alla fine Usa e Europa abbozzeranno, come in Siria davanti alla piramide macabra di 100.000 morti che Assad ha eretto pur di restare al potere.
La noncuranza con cui i militari massacrano i Fratelli Musulmani e fanno spallucce davanti alle proteste occidentali si radica nell’appoggio, sfrontato, immediato e munifico che viene loro dai Sauditi. Terrorizzata dalla cosiddette «Primavere arabe» e dall’insorgenza islamica in Egitto, la Casa Reale saudita è opulento sponsor di al-Sisi. Re Abdullah mobilita con l’Arabia Saudita, il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti per versare 10 miliardi di euro nelle esauste casse del Tesoro egiziano, 10 volte, calcola il quotidiano Financial Times, più dell’obolo americano e del sostegno venuto al presidente Morsi da Qatar e Turchia.
L’azzardo di al-Sisi punta su un’opinione pubblica egiziana stanca di disoccupazione e violenza, poco interessata alla democrazia, determinata a riprendere il lavoro e una qualche forma di convivenza pacifica. A questa stabilità i militari vogliono portare i contadini, i poveri delle città, il ceto medio produttivo e urbano, i cristiani, contando che intellettuali e progressisti accetteranno la mano forte, in cambio di un Egitto laico, odiato da Morsi. Un sondaggio Zogby sembra dare loro ragione, tra la gente comune poca attenzione per i diritti, molto desiderio che il caos finisca presto.
L’incognita della sanguinaria equazione è lo spirito di sacrificio e la forza del fanatismo islamista. Che potrebbe non accettare di tornare nei quartieri come ai tempi di Mubarak, occupare tragicamente le piazze, mentre il terrore filo al Qaeda colpisce le spiagge sul Mar Rosso, distruggendo l’industria del turismo. I libri di storia registreranno come insieme liberali, militari e Fratelli Musulmani abbiano sprecato un’opportunità unica per avviare il loro antico Paese verso il XXI secolo.
Oggi, mentre in Egitto si muore e nel mondo si parla compunti e presto si penserà ad altro, la sola alternativa sembra una vittoria della repressione di al-Sisi o la guerra civile strisciante. Lo «scontro di civiltà», che nella fallace previsione del professor Huntington avrebbe dovuto opporre occidentali a musulmani, continua invece, dal Nord Africa alla Turchia all’Afghanistan, a dilaniare la umma, la gigantesca comunità islamica.