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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
20.08.2013 Egitto: l'inettitudine di Obama ha permesso all'Arabia Saudita di allungarsi
cronache di Giuseppe Sarcina, Paolo Mastrolilli

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Giuseppe Sarcina - Paolo Mastrolilli
Titolo: «L’ipoteca dei sauditi sul futuro dell’Egitto - Dall’America primo stop agli aiuti: Non mettete al bando i Fratelli»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/08/2013, a pag. 10, l'articolo di Giuseppe Sarcina dal titolo " L’ipoteca dei sauditi sul futuro dell’Egitto ". Dalla STAMPA, a pag. 7, l'articolo di Paolo Mastrolilli dal titolo " Dall’America primo stop agli aiuti: Non mettete al bando i Fratelli ".

CORRIERE della SERA - Giuseppe Sarcina : " L’ipoteca dei sauditi sul futuro dell’Egitto "


Giuseppe Sarcina       Egitto, Arabia Saudita

Il CAIRO — L’Arabia Saudita ci mette i soldi. Quelli che servono e forse anche di più. Mobilita i servizi segreti, la diplomazia, l’esercito, la televisione, Al Arabiya. Tutto quello che occorre pur di non «perdere» l’Egitto. I risultati, per ora, si vedono. Nel discorso di domenica scorsa il generale Abd al Fattah al-Sisi non ha mai citato un partner occidentale, nemmeno l’alleato chiave, gli Stati Uniti. Il nuovo rais del Paese, invece, si è soffermato a lungo sui rapporti con l’Arabia Saudita, ringraziando il re Abdullah per il suo sostegno. In effetti il sovrano del «caveau» petrolifero del mondo si è esposto con parole insolitamente nette. Due i passaggi da riprendere nel suo messaggio. Primo: «Faccio appello agli uomini onesti dell’Egitto e delle nazioni arabe e musulmane a unirsi come un sol uomo e un solo cuore di fronte al tentativo di destabilizzare un Paese che rappresenta la parte più importante della storia araba e musulmana». Secondo: «Tutti coloro che interferiscono nelle vicende dell’Egitto devono sapere che stanno alimentando la sedizione e appoggiando quel terrorismo che dicono di voler combattere». Un segnale, dunque, all’intero mondo arabo e un altro agli americani con i loro alleati europei. Il calore di queste dichiarazioni, però, non deve trarre in inganno. La politica estera saudita si ispira al pragmatismo più impermeabile alle emozioni e agli umori del momento. Per trent’anni il regno saudita ha appoggiato il regime autoritario di Hosni Mubarak. Poi stava trovando un accomodamento con il presidente candidato dal fronte islamico, Mohammed Morsi e ora, come se niente fosse, ecco il re Abdullah schierato con al-Sisi. Pragmatismo, almeno in questo caso, non significa opportunismo. E non serve alla comprensione degli ultimi sviluppi ripercorrere il tortuoso percorso delle relazioni bilaterali tra il Cairo e Riad. Solo un anno fa, per esempio, l’ambasciatore saudita, Hisham Nazer, era stato costretto a lasciare la capitale sul Nilo perché i funzionari dell’aeroporto saudita di Gedda erano accusati di aver maltrattato i fedeli egiziani in pellegrinaggio nei luoghi sacri dell’Islam. Incidenti di percorso, già dimenticati. Ma c’è da dubitare che al re Abdullah prema davvero salvaguardare la culla della storia araba e islamica. Per spiegare il nuovo corso tra Egitto e Arabia Saudita è sufficiente osservare quello che in questi giorni è sotto gli occhi di tutti. Ahmed Abizaid, direttore delle ricerche nell’International Institute for culture diplomacy, con sede ad Abu Dhabi, prova a mettere ordine: «L’Arabia Saudita teme che la destabilizzazione dell’Egitto possa portare all’esportazione del movimentismo dei Fratelli musulmani nella regione, alla crescita del terrorismo, ma soprattutto alla domanda di partecipazione da parte delle folle finora rimaste in sonno nei Paesi del Golfo». Se è così non importa quale sia l’interlocutore (Mubarak, Morsi o al-Sisi) purché sia disponibile a contenere, o meglio ancora, annientare i fermenti «sovversivi», da qualunque parte provengono (Fratelli musulmani o i più radicali Salafiti). Ecco perché il pericolo evocato dal re Abdullah si riassume nel verbo «destabilizzare». Poi (ma solo poi) vengono gli equilibri internazionali. I sauditi non si sentono in concorrenza con gli americani. Anzi l’alleanza con Washington è un affare sostanzialmente militare. Al Cairo molti osservatori sono convinti che, alla fine, la lobby petrolifera e quella filo esercito, indurranno il presidente Barack Obama a temperare la polemica con al-Sisi. Naturalmente a condizione che il generale riesca a garantire, in tempi relativamente brevi, la sicurezza in Egitto, creando le condizioni per rimettere in moto l’economia e lasciare il campo alla politica. Un programma che ha bisogno di risorse: almeno 9 miliardi di dollari, secondo le stime più accreditate. Gli Stati Uniti ne versano 1,5 miliardi all’anno (e quelli del 2013 sono già arrivati). Con Morsi nel palazzo presidenziale i sauditi avevano promesso aiuti per 3,2 miliardi di dollari. Pochi giorni dopo il suo defenestramento (3 luglio 2013) hanno rilanciato: 12 miliardi di dollari (con il contributo degli Emirati Arabi e del Kuwait). Ora al-Sisi, dopo le belle parole di appoggio, aspetta anche il denaro del re Abdullah. Nel frattempo dovrà misurarsi con l’imprevedibilità della piazza. Un’incognita che potrebbe vanificare i calcoli dei sauditi.

La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Dall’America primo stop agli aiuti: Non mettete al bando i Fratelli "


Paolo Mastrolilli     sostenitori di Morsi

Gli Stati Uniti hanno cominciato i primi passi formali per bloccare gli aiuti economici all’Egitto, ma per ora si tratta solo dei finanziamenti destinati ai progetti civili, non il grosso dei soldi che va invece ai militari. È un passo che aumenta la pressione, in un contesto interno e internazionale che però resta molto diviso su come procedere per fermare le violenze.

Washington manda al Cairo 1,55 miliardi di dollari ogni anno, dall’epoca della firma della pace con Israele a Camp David. Di questa somma, 250 milioni vengono distribuiti dall’Agency for International Development allo scopo di finanziare iniziative come l’istruzione e l’addestramento professionale; il resto va alle forze armate, che poi acquistano armi, mezzi e pezzi di ricambio dagli Usa. Il governo americano, secondo il «New York Times», sta pensando di fermare la prima voce degli aiuti, anche se il dipartimento di Stato ha detto che non sono state prese decisioni e ha invitato Il Cairo a «non mettere al bando i Fratelli musulmani». Dello stesso tenore le dichiarazioni del capo del Pentagono, Chuck Hagel, che ha esortato a «politiche più inclusive».

Il governo, però, non ha ancora deciso cosa fare dei 585 milioni di dollari che restano ancora da consegnare ai militari, come ultima rata dell’anno, anche se ha sospeso la consegna di 4 caccia F-16, ha annullato un’esercitazione congiunta e sta valutando il rinvio della spedizione di elicotteri Apache.

L’amministrazione Obama continua a muoversi con prudenza, evitando la rottura frontale, per una serie di motivi interni ed esterni. Sul fronte domestico, sono soprattutto alcuni parlamentari repubblicani come i senatori McCain e Graham a spingere per lo stop completo degli aiuti. I due colleghi sono appena stati insieme al Cairo, e si sono convinti che il generale Abdul-Fattah el-Sisi è «intossicato dal potere» e vuole solo consolidarlo. I media stanno con loro, ma il resto dei repubblicani e i democratici frenano. Il motivo è che considerano ancora l’esercito come un alleato da non perdere, per la stabilità dell’Egitto e dell’intera regione.

Gli americani poi temono di perdere l’accesso al canale di Suez, da cui passano il 7% del petrolio e il 13% del gas liquefatto trasportati via mare in tutto il mondo. Chiuderlo vorrebbe dire aggiungere 2.700 miglia di navigazione, per doppiare il Capo di Buona Speranza. Non a caso, giovedì il prezzo del Brent è salito al livello record degli ultimi quattro mesi, con 111,23 dollari al barile. Il Cairo, inoltre, controlla le rotte aeree che consentono al Pentagono di raggiungere l’Afghanistan e l’intera regione mediorientale.

Sul piano internazionale ci sono anche altre resistenze che frenano gli Usa. L’Arabia Saudita ha ribadito per bocca del ministro degli Esteri Saud alFaisal che sta dalla parte dei militari, rimproverando ai Paesi occidentali di fomentare le violenze con le loro critiche, e avvertendo di essere pronta a colmare qualunque buco si dovesse aprire negli aiuti economici. Israele è su posizioni simili.

Il problema adesso sta diventando proprio l’atteggiamento del Cairo. Forte di questi sostegni, infatti, il governo militare ha fatto sapere che ora sarà lui a rivedere i rapporti con i Paesi occidentali, partendo dall’Unione Europea, ma minacciando anche l’alleanza con gli Stati Uniti. La Russia, infatti, osserva il caos quasi con soddisfazione, pronta a infilare di nuovo il suo piede nella porta.

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