martedi` 22 ottobre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Informazione Corretta Rassegna Stampa
20.08.2013 Sette pilastri di invenzione
di Efraim Karsh

Testata: Informazione Corretta
Data: 20 agosto 2013
Pagina: 1
Autore: Efraim Karsh
Titolo: «Sette pilastri di invenzione»

“ I sette pilastri della saggezza” di T.E.Lawrence è stato  per molti la lettura che negli anni giovanili ha fatto conoscere il lato avventuroso del Medio Oriente, ripreso poi dal film di David Lean, con Peter O’Toole nella parte di Lawrence. Sono storie ormai passate in archivio, ma il libro e poi il film conservano tutto il fascino di una vita avventurosa come è stata quella di Lawrence. Una vita anche misteriosa, se ogni tanto, soprattutto in Inghiltterra, escono biografie, scritti, commenti basati sulle sue relazioni diplomatiche, dalle quali esce anche un Lawrence sì innamorato della rivolta contro l’impero ottomano, ma anche favorevole alla presenza ebraica in Palestina.
Riprendiamo questo articolo di Ephraim Karsh, non benevolo nei confronti di T.E.Lawrence, che però ha il merito di risvegliare l’interesse verso una parte di storia mediorientale minore, ma non per questo meno interessante. Libro e film, non hanno perso nulla del fascino che avevano quando sono apparsi.


Peter O'Toole nel film Lawrence d'Arabia

Sette pilastri di invenzione
di Efraim Karsh

The Wall Street Journal, 9 agosto 2013

(Traduzione di Yehudit Weisz)

Il moderno Medio Oriente ebbe origine quando le potenze europee approfittando dell’entrata nella Prima Guerra Mondiale dell’impero ottomano ormai in declino, s’impadronirono delle sue terre; con l’inganno avevano spinto gli ingenui nazionalisti arabi a insorgere contro il loro sovrano ottomano per poi appropriarsi con la frode dei risultati della loro rivolta.

Questa è la leggenda popolare all’origine dei problemi della regione. E’ una storia emotivamente attraente, ma è anche il contrario della verità. Non furono i funzionari inglesi ma un sovrano della Mecca, Sharif Hussein ibn Ali della famiglia Hashemita, che nell’estate del 1915 ordì il piano per rovesciare l’impero ottomano. Spinto dalle promesse di Hussein che avrebbe fatto insorgere gli arabi sudditi dell’impero ottomano, Sir Arthur Henry McMahon, l’Alto Commissario inglese in Egitto, con esitazione accettò la visione di Hussein per un successivo impero arabo ed agevolò la rivolta che era iniziata nel giugno del 1916.

Hussein non riuscì  mai a vedere la realizzazione del suo progetto. La maggior parte della popolazione che parlava arabo rimase fedele ai turchi sino alla fine ingloriosa , considerando la rivolta hashemita con disprezzo. Persino nella propria città, La Mecca, Hussein non ottenne una lealtà assoluta. Se fosse stato lasciato solo e se non fosse stato armato e rifornito dalla Gran Bretagna (e in parte minore dalla Francia),  dotato di truppe, guida militare e di generose quantità di oro per comprare la lealtà dei beduini, Hussein non sarebbe mai stato in grado di lanciare e proseguire l’insurrezione.

Questo atto di insubordinazione in un teatro secondario della Grande Guerra, ebbe una parte trascurabile nella caduta dell’impero ottomano. Immediatamente fu immortalata come la “Grande Rivolta Araba”e fece ottenere dopo la guerra agli hashemiti  territori svariate volte più grandi delle Isole Britanniche: l’Emirato di Transgiordania (più tardi  Regno di Giordania) fu creato nel 1921 per soddisfare le ambizioni del secondo figlio di Hussein, Abdullah, mentre nello stesso anno fu creato il moderno stato dell’Irak guidato da Faisal, il fratello più giovane. Hussein stesso divenne re di Hijaz, luogo di origine dell’islam, per esserne spossessato alcuni anni più tardi da Abdul Aziz ibn Saud, il padre fondatore dell’Arabia Saudita.


Thomas Edward Lawrence
(Lawrence d'Arabia)

Fu un giovane ufficiale inglese a parteciparvi, Thomas Edward Lawrence (1888-1935) che inscenò da solo questa impresa di inganno storico. Sebbene non considerasse la rivolta che “un episodio secondario di un evento secondario” come scrisse nelle sue ingegnose memorie del 1922  “ I sette pilastri della saggezza: un trionfo” , Lawrence non ebbe scrupoli nel mitizzarla in grande stile. Nell’azione  catapultò se stesso come “Lawrence d’Arabia” e divenne forse la prima grande celebrità dei tempi moderni. La sua leggenda fu amplificata da generazioni di seguaci, tra cui Lowell Thomas, le cui conferenze - “L’ultima Crociata” - che parlavano di Lawrence furono recitate nel 1919 a teatri esauriti a New York e a Londra; il regista inglese David Lean, che nel 1962  vinse il premio Oscar con l’epico “Lawrence d’Arabia”,  e una lunga fila di biografi entusiasti.

Figlio illegittimo di un decaduto aristocratico anglo-irlandese  e della governante dei suoi figli, Lawrence aveva studiato archeologia ad Oxford e passato gli anni prima della guerra negli scavi in Siria e Palestina. Quando gli ottomani presero la disastrosa decisione di entrare nella Prima Guerra Mondiale a fianco della Triplice Alleanza nel novembre del 1914, Lawrence venne reclutato in una nuova unità di intelligence al Cairo, quartier generale delle Forze Armate Britanniche in Medio Oriente. Due anni più tardi, nell’ottobre del 1916, si unì ad un ufficiale superiore inglese per andare a Hijaz a ispezionare lo stato della rivolta hashemita che era iniziata qualche mese prima. Stando nelle retrovie per fare il rapporto sulla situazione,  si fece benvolere da Faisal, e fu lì che gli si aprì la strada verso la creazione della mitica rivolta.

Come riuscì un archeologo privo di studi militari a spacciarsi in seguito come un’autorità mondiale sulla guerriglia con un notevole impatto sulla futura configurazione del Medio Oriente? La risposta che Scott Anderson include nel suo resoconto della rivolta del deserto, espressa con grande arte ma alla fine invalidata, è la seguente: “Lawrence fu capace di diventare ‘Lawrence d’Arabia’ perché nessuno ci fece caso”.  Allora, dice l’autore, i superiori di Lawrence si accorsero che sarebbe stato un investimento a basso costo e con alti profitti, permettere ad un giovane operatore coraggioso di dirigere gli arabi distraendo i turchi da un fronte molto più sanguinoso e pieno di conseguenze per l’Europa.

Il problema con questa teoria è che in realtà Londra durante la guerra impegnò imponenti risorse e notevoli sforzi in Medio Oriente. A iniziare dal disastroso sbarco a Gallipoli nel 1915, alla tortuosa ma felicemente conclusa campagna in Mesopotamia (1915-1916), fino alla conquista del Levante da parte delle Forze di Spedizione Egiziane comandate dal Generale Edmund Allenby (1917-1918).  Quando la guerra nel 1918 ebbe fine, non meno di un milione di inglesi e di truppe del Commonwealth erano state schierate nella regione,  il che contrasta fortemente con lo “scarso interesse che gli strateghi militari inglesi rivolgevano agli eventi in Medio Oriente”, come afferma  Anderson.

La rivolta hashemita, fu certamente un episodio minore nel vasto quadro degli eventi, non fu  mai l’operazione ruspante suggerita dall’autore. Piuttosto è stata parte integrante degli sforzi anglo-francesi (Parigi aveva inviato per appoggiare la rivolta una missione militare capeggiata da un colonnello) al comando di ufficiali esperti, come il Colonnello Cyril Wilson e il Luogotenente Pierce Joyce, ma mai al comando di Lawrence. Come lo stesso Lawrence ammette “Non mi è mai stato conferito un incarico tra gli arabi: non fui mai un incaricato degli inglesi presso di loro. Wilson, Joyce, Newcombe, Dawnay e Davenport erano tutti miei superiori”.

Anderson racconta la vita di Lawrence in modo cronologico, attingendo ad alcune fonti del tempo, corrispondenze ufficiali e così via. Ma è troppo desideroso di valutare il suo personaggio per quel che dice, anche se riconosce che “ prima di molti altri, Lawrence sembrava abbracciare il moderno concetto secondo cui la storia è manipolabile, che la verità era quello che la gente voleva credere.”

Per dare fondamento  alla versione molto avventurosa di Lawrence alle proprie imprese,  Anderson le paragona a quelle di tre contemporanei, personaggi che l’autore ritiene abbiano vissuto vite parallele a quella di Lawrence. Attraverso le pagine del libro le loro storie  s’intrecciano con il racconto centrale sulla vita di Lawrence: William Yale, un giovane industriale del petrolio “che, come unico ufficiale dell’intelligence della base americana in Medio Oriente durante la Prima Guerra Mondiale, avrebbe profondamente influenzato la politica post bellica del suo Paese nella regione”; il tedesco Curt Prüfer, studioso di antichità “che, indossando abiti arabi per camuffarsi, avrebbe tentato di fomentare una jihad islamica contro le potenze coloniali occidentali”; e Aaron Aaronsohn, “uno scienziato ebreo che, con  la copertura di lavorare per il governo ottomano, avrebbe organizzato una complessa attività  di spionaggio  in funzione anti ottomana, avendo un ruolo decisivo nel creare una patria per gli ebrei in Palestina”.

Romanzare gli eventi storici è una tecnica attraente che rende “Lawrence in Arabia” una lettura avvincente. Tuttavia la retorica e il colore non possono rendere autentico un argomento discutibile dal punto di vista storico.  Prüfer non è niente più di una curiosità, da notare solo per le sue future simpatie naziste. Yale non era nella posizione di poter influenzare lo scoppio della guerra a cui  il suo Paese partecipò all’ultimo momento e anche dopo non prese mai parte alle guerre del Medio Oriente. Il ruolo minore che Yale ebbe come consulente alla Conferenza di Parigi dopo la guerra, non apportò alcuna differenza e, come scrive Anderson,  “abbandonò disgustato la delegazione americana di pace e s’imbarcò per New York”. Mentre Aaronsohn,  rese all’intelligence inglese un servizio vitale che permise ad Allenby di sconfiggere l’esercito turco in Palestina, ma  “non ebbe alcun ruolo decisivo” nella creazione di una patria per gli ebrei in Palestina. Piuttosto, la scoperta della sua organizzazione di spie nell’autunno del 1917 provocò una reazione fortissima  da parte turca, con Djemal Pasha, che  ammonì i leaders sionisti che se i turchi fossero stati scacciati dalla Palestina, nessun ebreo sarebbe sopravvissuto per salutare l’esercito inglese.

Lawrence invece ebbe un’importante influenza sulla creazione del moderno Medio Oriente, ma ciò non ha nulla a che vedere con la reale vicenda della guerra raccontata  nel suo libro. La rivolta fu un vero fiasco. Con tutti gli sforzi degli inglesi e dei francesi, i beduini rimasero irrimediabilmente immuni da qualsiasi concetto di regole di guerra. Nel bel mezzo della battaglia se ne andavano per un caffè e ogni tanto sparivano per andare a visitare le famiglie; spesso un intero clan si stancava di combattere e si concedeva una pausa. Attaccavano piccole guarnigioni turche armate di armi leggere ma erano presi dal panico se messi a confronto con forze importanti, o persino udendo gli spari dell’artiglieria. Non c’è da meravigliarsi se non riuscirono a vincere le deboli forze turche a Hijaz, con la città (anche santa) di Medina che resistette fino alla fine della guerra. Fu solo nel luglio del 1917 , più di un anno dall’inizio della rivolta, che i ribelli riuscirono a vincere la scarna resistenza ottomana e a conquistare la piccola città portuale di Aqaba, all’estremo nord ovest della Penisola arabica. La loro avanzata successiva che li avrebbe portati a Damasco alla fine della guerra, fu soltanto una conseguenza dell’offensiva di Allenby in Palestina, e la conquista di Damasco fu raggiunta  da forze semiregolari prese tra i prigionieri di guerra organizzate dagli inglesi  e trasportati in Arabia.

Come Lawrence fosse riuscito a spacciare questa  presa del potere da parte di un potentato locale per una eroica rivolta nazionale contro l’oppressore imperialista, Anderson non ce lo racconta. Egli descrive Lawrence come un tipo “penosamente timido” e “un uomo assolutamente riservato e introverso” con “un forte desiderio di anonimità”. Ma gli uomini penosamente timidi, specialmente ai livelli più bassi della gerarchia rigorosamente disciplinata, come è quella militare, non trattano i propri superiori come dei loro pari, e non s’impegnano in intrighi politici ad alto livello, e lasciati soli non sbandierano le proprie opinioni più profonde al mondo intero con best seller internazionali; solo gli egocentrici e coloro che vogliono essere al centro dell’attenzione a tutti i costi, si comportano così.

Lawrence fu un avventuriero  eccezionalmente dotato con un talento naturale per l’autopromozione, che con successo affascinò i suoi contemporanei molto più esperti e abili, come Allenby e Winston Churchill, che riposero nelle sue capacità di segretario coloniale gli ultimi ritocchi del sistema dello stato post ottomano. Come Lawrence ammise, con ironia, in un raro momento di candore ne ”I sette pilastri”: “La mia parte fu veramente modesta, ma grazie ad una penna fluente, ad una facilità di parola e ad un cervello fino, mi sono arrogato, come descritto, il primato della finzione”.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT