La capitale è una e indivisibile
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
Gerusalemme, capitale di Israele
I colloqui di pace israelo-palestinesi si stanno svolgendo nel più assoluto silenzio stampa, ed è bene che sia così, essendo già complicati i problemi da risolvere, viene a mancare un fattore di disturbo non indifferente. Un sondaggio dello scorso venerdì conferma che l’80% degli israeliani è convinto che non porteranno alla fine del conflitto, e la motivazione va cercata non nel pessimismo, quanto piuttosto nella analisi realista dei fatti.
Se gli Stati arabi prima, e i cosiddetti auto-nominatesi palestinesi poi, avessero veramente avuto l’intenzione di arrivare alla pace, non avrebbero scartato per principio ogni proposta di compromesso che veniva da Israele. Persino dopo il cessate il fuoco del 1949 avrebbero potuto arrivare a un accordo, hanno invece sempre scelto la guerra, che nelle loro intenzioni avrebbe dovuto cancellare lo Stato ebraico. Non essendoci riusciti con gli eserciti, hanno dato vita a un movimento, l’Olp, che fin dall’inizio ha posto condizioni che soltanto la buona volontà di Israele ha consentito di esaminare.
Tralasciamo in questa sede quelle richieste prive di senso, come il ritorno dei rifugiati a partire dal 1948, che rimane attuale in tutte le trattative grazie all’azione politicamente e umanamente vergognosa esercitata dall’Unrra, una agenzia dell’Onu creata apposta per impedire la soluzione del problema rifugiati.
Affrontiamo, anche se brevemente, la questione di Gerusalemme capitale di due Stati, richiesta che fa parte delle trattative di questi giorni. Senza rievocare quanto Gerusalemme non abbia mai rappresentato nulla nella storia dell’islam, religioso e politico, ci chiediamo in base a quale analisi storica questa richiesta possa ancora venire avanzata.
Non essendo mai esistito né un popolo palestinese né di conseguenza uno Stato dallo stesso nome, cade la rivendicazione del richiamo storico. Gli arabi-palestinesi, a differenza degli ebrei-palestinesi sono sempre stati una popolazione stanziata su un territorio che non ha mai dato vita a nessun tipo di riconoscimento giuridico, mentre lo Stato di Israele è vissuto come tale fino alla distruzione operata dall’impero romano nel 70 e.v. Con il movimento risorgimentale sionista, gli ebrei sono ritornati a popolare quelle terre dalle quali erano stati cacciati duemila anni prima, e che comunque avevano continuato a viverci come dimostrano, oltre alle fonti storiche, tutti i ritrovamenti archeologici. Con quale diritto, oggi, gli arabi-palestinesi rivendicano Gerusalemme quale loro capitale, quando nella loro storia non ha mai avuto alcuna parte ? E’ vero che oggi, un intero quartiere della città a est è abitato da una maggioranza araba, ma è un quartiere, non giustifica la richiesta di dividere in due la città, semmai una base accettabile di discussione potrebbe essere quella sull’aspetto amministrativo, ma non certo su quello politico.
Un altro aspetto dovrebbe escludere , e non da oggi, la richiesta di Gerusalemme capitale di un non ancora esistente Stato arabo-palestinese, e cioè il rifiuto dalla spartizione decisa dall’Onu nel novembre 1947, che sanciva la nascita, su quello che era stato il Mandato inglese, di due stati, uno ebraico e uno arabo-palestinese, attribuendo così la qualifica di palestinese, che fino ad allora definiva gli ebrei che vivevano nella Terra d’Israele non ancora Stato indipendente, agli arabi. Che però, non ancora palestinesi, rifiutarono la spartizione – che prevedeva tra l’altro Gerusalemme governata da una forza internazionale, quindi una soluzione più favorevole agli arabi che non agli ebrei- e iniziarono nel maggio 1948 la prima di una serie di guerre, tutte perdute.
Da allora sono passati molti treni, ma gli arabi non sono voluti salire su nessuno, avendo scelto invece di distruggere la ferrovia. Solo quando si sono resi conto che non ce l’avrebbero mai fatta a sradicare Israele dal suo diritto di esistere, cambiarono tattica, scegliendo quella che con un esempio, poco raffinato ma molto comprensibile, è stato chiamato la “ guerra del salame”, nel senso di paragonare Israele a un salame che va affettato fetta dopo fetta fino a consumarlo tutto. Da Arafat in poi questa tecnica ha funzionato, anche e soprattutto perché sostenuta dalle democrazie occidentali alle quali non è parso vero di poter esprimere di nuovo il proprio anti-semitismo con una parola nuova, che non conteneva riferimenti alla Shoah, l’anti-sionismo. Non si combattevano più nemmeno gli ebrei – Israele in fondo è il loro Stato – a qualcuno poteva venire in mente che la storia si ripeteva con nomi scambiati, no, la tecnica che rendeva pulito il nuovo-antico odio era quella di sostenere i nemici di Israele, il lavoro sporco l’avrebbero fatto loro.
Finora ha funzionato, Ue, Onu, hanno fatto di tutto per indebolire la capacità di difesa israeliana sia sul piano diplomatico che economico.
Forse è anche in base a queste valutazioni che l’80% degli israeliani non crede che da queste trattative potrà venire una pace giusta con chi, ancora oggi, non riconosce neppure a Israele la legittimità di essere lo Stato degli ebrei.
Angelo Pezzana