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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.08.2013 Due visioni differenti sulle aperture di Francesco I all'islam
di Magdi Cristiano Allam, Luigi Accattoli

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Magdi Cristiano Allam - Luigi Accattoli
Titolo: «Gli islamici uccidono i cristiani e Francesco li chiama fratelli - Papa Francesco e i musulmani. La scelta di chiamarli 'Fratelli'»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 12/08/2013, a pag. 1-15, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Gli islamici uccidono i cristiani e Francesco li chiama fratelli  ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 23, l'articolo di Luigi Accattoli dal titolo "  Papa Francesco e i musulmani. La scelta di chiamarli 'Fratelli' ".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Magdi C. Allam : " Gli islamici uccidono i cristiani e Francesco li chiama fratelli  "


Magdi C. Allam       

Dopo Giovanni Paolo II che abbatté il muro di un millenario pregiudi­zio definendo gli ebrei «nostri fratelli maggiori» nel corso del­la sua storica visita alla Sinago­ga di Roma il 13 aprile 1986, ieri Papa Francesco ha definito i musulmani «nostri fratelli» nell'Angelus a Piazza San Pietro rivolgendo loro un messaggio in occasio­ne della festa della fine del Ra­madan, il mese del digiuno isla­mico. Ebbene, se è indubbio il legame teologico tra ebraismo e cristianesimo dato che Gesù era ebreo e il cristianesimo fa proprio l'Antico Testamento, all'opposto l'islam- affermato­si 7 secoli dopo - si fonda sulla negazione della verità divina dell'ebraismo e del cristianesi­mo concependosi come la reli­gione che rettifi­cherebbe le loro devianze, com­pletando la rive­lazione e suggel­lando la profe­zia. Se «nostri fra­telli » fosse usato in senso lato rife­rito alla nostra comune umani­tà le parole del Papa sarebbero ineccepibili. Ma se «nostri fratelli» è calato in un contesto teologico allora si scade nel relativismo religio­so che annacqua l'assolutezza della verità cristiana metten­dola sullo stesso piano dell' ideologia islamica che è fisiolo­gicamente violenta al punto da non concepire Allah come «padre» e i fedeli come «figli», bensì come un'entità talmen­te trascendente da non poter neppure essere rappresentata e nei cui confronti dobbiamo esclusivamente totale sotto­missione. Solo nell'ebraismo e soprattutto nel cristianesimo, la religione del Dio che si è fat­to uomo e dell'uomo concepi­to a immagine e somiglianza di Dio, Dio è padre, noi tutti sia­mo suoi figli e tra noi siamo fra­telli. Papa Francesco all'Angelus dopo aver sostenuto che il cri­stiano «è uno che porta dentro di sé un deside­rio grande, pro­fondo: quello di incontrarsi con il suo Signore in­sieme ai fratelli, ai compagni di strada», ha rivol­to «un saluto ai musulmani del mondo intero, nostri fratelli, che da poco han­no celebrato la conclusione del mese di Ramadan, dedica­to in modo particolare al digiu­no, alla preghiera e all'elemosi­na ». Se i musulmani sono «no­stri fratelli» e se la missione del cristiano è «incontrarsi con il suo Signore insieme ai fratel­li », ci troviamo di fronte a un quadro teologico che mette sullo stesso piano cristianesi­mo e islam, considerandoli co­me due percorsi diversi ma che conducono entrambi allo stesso Dio. Nel suo messaggio ai «musul­mani del mondo intero » del 10 luglio, il Papa ha scritto: «Ve­nendo ora al mutuo rispetto nei rapporti interreligiosi, spe­cialmente tra cristiani e musul­mani, siamo chiamati a rispet­tare la religione dell'altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori», specificando «senza fa­re riferimento al contenuto del­le loro convinzioni religiose». Francesco aggiunge: «Uno spe­ciale rispetto è dovuto ai capi religiosi e ai luoghi di culto. Quanto dolore arrecano gli at­tacchi all'uno o all'altro di que­sti! ». Ebbene se si mette sullo stesso piano cristianesimo e islam concependole come reli­gioni di pari valenza e dignità senza però entrare nel merito dei loro contenuti, così come se si denuncia la violenza che si abbatte contro i capi religio­si­e i luoghi di culto senza speci­ficare che si tratta della violen­za islamica ai danni dei cristia­ni, il risultato è che il Papa da un lato legittima l'islam che si concepisce come l'unica vera religione e, dall'altro, mostra arrendevolezza nei confronti del terrorismo e dell'invasione islamica che dopo aver sotto­messo all'islam le sponde meri­dionale e orientale del Medi­terra­neo stanno ora aggreden­do la nostra sponda settentrio­nale. Il relativismo religioso è evi­dente anche nel messaggio ri­volto dal cardinale Angelo Sco­la ai musulmani lo scorso 8 ago­sto in cui si legge: «La fedeltà ai precetti delle nostre rispettive tradizioni religiose, quali la preghiera e specialmente il di­giuno da voi osservato nel me­se di Ramadan, ci infonda fidu­cia e coraggio nel promuovere il dialogo e la collaborazione intesi come frutto necessario dell'amore di Dio e del prossi­mo, i due pilastri biblici e cora­nici di ogni autentica spirituali­tà ». Concepire una continuità e un raccordo teologico tra ebraismo, cristianesimo e islam fondato sull'amore di Dio e del prossimo, è solo un auspicio contraddetto giorno dopo giorno dai fatti. Il caso di padre Paolo Dall' Oglio, gesuita come il Papa, ac­ceso relativista che ha a tal pun­to sostenuto la causa dell'isla­mizzazione della Siria da esse­re stato cacciato dal governo di Assad ma che ciononostante è stato sequestrato dai terroristi islamici siriani, ci conferma che gli islamici non rinunce­ranno mai a sottomettere i cri­stiani, gli ebrei, gli infedeli all' islam così come impongono lo­ro Allah nel Corano e Maomet­to. Proprio ieri, mentre il Papa a Roma definiva i musulmani «nostri fratelli», i musulmani in Egitto hanno bruciato una chiesa e 17 case di cristiani. Mentre la fine del Ramadan in Irak è stata festeggiata dai ter­roristi islamici sunniti con 10 autobombe causando la mor­te di 70 persone. Certamente il cristianesimo e la nostra comune umanità ci portano ad amare il prossimo a prescindere dalla sua fede, ideologia, cultura o etnia, ma l'adozione del relativismo reli­gioso si traduce nel suicidio del cristianesimo e della no­stra civiltà che ha generato i di­ritti fondamentali della perso­na e la democrazia.

CORRIERE della SERA - Luigi Accattoli : " Papa Francesco e i musulmani. La scelta di chiamarli «Fratelli» "


Luigi Accattoli               Francesco I

«Vorrei rivolgere un saluto ai musulmani del mondo intero, nostri fratelli, che da poco hanno celebrato la conclusione del mese di Ramadan»: così Francesco ieri all'Angelus ed è il secondo Papa, dopo Wojtyla, a chiamare «fratelli» i musulmani, un appellativo che la tradizione del linguaggio papale riservava ai cristiani.
Ma il Papa polacco ampliò la categoria dei «fratelli» includendovi gli ebrei — che chiamò «fratelli maggiori» — e i musulmani, con riferimento alla «famiglia di Abramo», cioè agli appartenenti alle tre religioni monoteistiche che si richiamano al Patriarca narrato dal libro della Genesi.
La prima volta che Giovanni Paolo II chiamò fratelli i musulmani fu il 10 dicembre del 1978, quand'era Papa da soli due mesi: «Sappiamo che la Madre di Dio è circondata da grande venerazione anche da parte dei nostri fratelli musulmani», disse durante un appello per la pace nel Libano. Nell'insieme del Pontificato usò quell'appellativo una decina di volte.
Wojtyla fu innovatore sull'intera frontiera con l'Islam: invitò i musulmani a incontri di preghiera (nelle tre giornate di Assisi del 1986, del 1993, del 2002) e anche questo non si era mai visto, e riconobbe come meno «consono al Vangelo» il metodo delle Crociate «per la difesa della fede» (12 febbraio 1995). La sua mano tesa all'Islam fu denunciata come un «cedimento» dal mondo tradizionalista ma egli non tornò sui suoi passi e fu anche il primo Papa a entrare in una moschea, a Damasco nel 2001.
Nel visitare «santuari» musulmani fu poi superato da Benedetto, che ne visitò tre e nella Moschea Blu di Istanbul persino si «raccolse in preghiera», come poi egli stesso raccontò il 6 dicembre 2006.
In attesa di vedere che farà mai Papa Francesco con le moschee, abbiamo questo primo passo di chiamare «fratelli» i seguaci di Maometto e vedremo che ne diranno lefebvriani e compagni.

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