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La Repubblica Rassegna Stampa
11.08.2013 Egitto sempre nel caos
cronache di Alberto Stabile, Bernardo Valli

Testata: La Repubblica
Data: 11 agosto 2013
Pagina: 13
Autore: Alberto Stabile - Bernardo Valli
Titolo: «Il Cairo, generali pronti all’attacco. ‘Ora via gli islamisti dalle piazze’ - Ultimatum dei generali nell’Egitto sotto assedio»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/08/2013, a pag. 13, l'articolo di Alberto Stabile dal titolo " Il Cairo, generali pronti all’attacco. ‘Ora via gli islamisti dalle piazze’ ", a pag. 1-13, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo " Ultimatum dei generali nell’Egitto sotto assedio ".
Ecco i due articoli:

Alberto Stabile - " Il Cairo, generali pronti all’attacco. ‘Ora via gli islamisti dalle piazze’ "


Alberto Stabile         sostenitori di Morsi

GERUSALEMME — Il braccio di ferro tra i seguaci di Mohammed Morsi, il presidente deposto, e il governo installato dai militari egiziani sta per arrivare al culmine. Oggi si concludono i tre giorni dell’Eid el Fitr, la festa che celebra la fine del Ramadan, e con essi si consuma la tregua spontanea stabilita dai due schieramenti. C’è chi dice che già da ieri i generali hanno preparato i piani per sgomberare le due piazze diventate il simbolo della protesta dei Fratelli musulmani, bloccando con i blindati e le forze speciali le strade nei dintorni. L’area è continuamente sorvolata da elicotteri, e in alcune vie circostanti ci sono decide di pullman, presumibilmente portati lì dai militari per evacuare i dimostranti pro-Morsi. E tutto, secondo un ex capo dei servizi di sicurezza, il generale Sawat Gouda, dovrebbe risolversi «in 24 ore». Ma c’è chi, come il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, teme un bagno di sangue, e lancia un ultimo appello alla ragione e alla riconciliazione, dicendosi disposto ad intervenire personalmente a sostegno di una soluzione non violenta della crisi. Anche ieri, come succede quotidianamente oramai da più d’un mese, le due centrali della rivolta a favore del deposto presidente Morsi, la piazza Rabaa nel quartiere Nassercity e la piazza al Nahda, a Giza, hanno offerto il consueto spettacolo di mobilitazione e di militanza. A parte i discorsi infuocati, gli slogan oltranzisti, le oceaniche preghiere all’aperto, le veglie all’addiaccio, le cucine da campo capaci di nutrire decine di migliaia di persone, e i chioschi di bibite a caccia dei piccoli guadagni della rivoluzione, muretti di sacchetti di sabbia e l’accuratissimo servizio d’ordine, dimostrano che i manifestanti si preparano al peggio. Ma quel che è peggio è la mancanza di qualsiasi serio tentativo di indurre un compromesso fra le parti. Anche Mohammed el-Baradei, il laico vicepresidente difensore dei diritti umani, che si era opposto allo sgombero forzato delle piazze, ha convenuto ieri che «il momento è critico», ma la rivoluzione deve continuare con una nova sfida, «quella di soffocare la tirannia e l’autoritarismo in tutte le sue forme». Lo scontro tra le due metà dell’Egitto appare dunque inevitabile.

Bernardo Valli - " Ultimatum dei generali nell’Egitto sotto assedio"


Bernardo Valli       Abdel Fatah el Sisi

Cacciati dal governo dell’Egitto i Fratelli musulmani hanno preso in ostaggio il Cairo, la capitale. Ed ora chiedono che Mohamed Morsi, il presidente destituito e imprigionato dai militari, venga non solo liberato. Ma anche reintegrato nella carica alla quale è stato eletto al suffragio universale diretto un anno fa. Negli ultimi giorni si sono formati due bastioni nella metropoli sul Nilo. Uno vasto, simile a un campo trincerato, attorno alla moschea di Rabaa Al-Adawiya, nel quartiere di Medinet Nasr; e un altro sulla piazza Al-Nahda, in prossimità dell’Università del Cairo. Più che due enormi sit-in di protesta, sono due aree autonome, dissidenti, popolate da decine di migliaia di uomini e donne. Intere famiglie con vecchi e bambini arrivate dai sobborghi della capitale o da lontane province dell’Egitto rurale. Sono ormai comunità organizzate, con mercati, ospedali d’emergenza, vigili che regolano il traffico e servizio di sicurezza. L’accesso ai due accampamenti, delimitati in più punti da sacchi di sabbia, è regolato come se si trattasse di isole territoriali indipendenti. I barbuti militanti della confraternita, con camice color arancione, casco e manganelli, controllano i documenti dei visitatori e distribuiscono lasciapassare. Senza l’apparato della confraternita dei Fratelli musulmani, che da decenni gestisce servizi sanitari, scuole e centri di educazione religiosa, in numerosi angoli del paese, non sarebbe stato possibile mobilitare e disciplinare tanta gente in cosi breve tempo. E quindi lanciare una sfida tanto azzardata al potere militar— tecnocratico che governa l’Egitto, dalla destituzione del presidente Mohammed Morsi, il 3 luglio scorso. La sfida è aperta: i Fratelli musulmani non si muoveranno dai loro bastioni di Nasr e di piazza Al-Nahda fino a quando Mohammed Morsi non sarà reintegrato nella carica di presidente della Repubblica. Fino a quel momento le decine di migliaia di suoi sostenitori continueranno a tenere in ostaggio la capitale, promuovendo manifestazioni a partire dai due accampamenti. E quindi cercando di paralizzarla. L’impresa è ardua. Non facile da realizzare. Ma può creare un fastidio molto serio alla vita dei cairoti. Comunque è destinata a tener viva la protesta. La sfida è chiara ed è rivolta all’esercito, e in particolare al generale Abdel Fattah Al-Sisi, l’uomo forte del momento: vice primo ministro, ministro della difesa e soprattutto capo del Consiglio supremo delle forze armate. Il generale Sisi appare a molti come il “ nuovo Nasser”. È lui che in un primo tempo ha favorito la difficile installazione alla presidenza di Mohammed Morsi, dopo la sua elezione, ed è sempre lui che l’ha poi destituito e che adesso lo tiene prigioniero in una località sconosciuta. Il destino del “nuovo Nasser” si preciserà nei prossimi giorni. Pur non avendo più il sostegno della maggioranza del paese e pur non disponendo di una forza armata da opporre all’esercito, i Fratelli musulmani hanno lanciato una sfida che mette in serio imbarazzo il generale Sisi, e con lui Adli Mansour, il capo dello Stato provvisorio, e Hazem Al—Beblawi, il primo ministro. Militari e tecnocrati laici, in parte liberali, appaiono in queste ore impotenti di fronte alle decine di migliaia di uomini e donne accampati al Cairo. Stando alle fonti ufficiali tutte le trattative sono fallite. A nulla sarebbero serviti gli interventi degli inviati occidentali, europei e americani. E gli ordini di sgombero emessi dal primo ministro sono caduti nel vuoto. La stessa fine potrebbe fare l’ultimatum di 24 ore appena lanciato dai generali. Sia pure con variabile fermezza, la gente arroccata nei due accampamenti si dichiara pronta ad affrontare un intervento dell’esercito. Ma il generale Sisi non può impegnare tanto facilmente i suoi soldati in un’operazione che metterebbe a repentaglio la vita di migliaia di donne e bambini. E comunque di decine di migliaia di persone che si presume siano disarmate. Non mancherebbero le provocazioni di estremisti, come è già accaduto di recente, e il bagno di sangue sarebbe inevitabile. Per abbattere le barricate sarebbe necessario l’impiego di mezzi pesanti. Ma ancor più difficile da superare sarebbe il fervore religioso creatosi tra i sostenitori di Morsi nelle ultime settimane durante il digiuno del ramadan. Non pochi pensano tuttavia che conclusa tra poche ore la festa dell’Eid, la più importante ricorrenza musulmana, qualcosa debba accadere. C’è chi non esclude che si arrivi a privare d’acqua ed elettricità i due accampamenti. Una soluzione estrema che appare improbabile. Un liberale come il vice presidente Mohammed El-Baradei, e tanti altri esponenti dell’esecutivo, non autorizzerebbero un’azione del genere. Lo stesso vale per l’esercito, che si dichiara “del popolo”. Le reazioni dei soldati, in larga parte coscritti e non insensibili ai richiami religiosi, sarebbero del resto imprevedibili. I Fratelli musulmani sono frustrati dalla pessima prova data nei mesi di governo, e dalla conseguente cacciata dal potere. Un potere conquistato per la prima volta, ottant’anni dopo la nascita della loro confraternita, e perduto per incapacità. L’imponente manifestazione popolare del 30 giugno, alimentata anche da molti elettori che un anno prima avevano votato per Morsi, è stato un clamoroso segnale di fallimento. Non un semplice fallimento politico, ma qualcosa di molto più importante, perché annunciava che la religione non garantiva il successo nel governo della cosa pubblica. Era il crollo di un dogma. Il decisivo intervento dei militari nella destituzione di Mohammed Morsi e nella dispersione dei suoi ministri offre tuttavia un alibi ai Fratelli musulmani. Consente di attribuire a un classico golpe dei generali il loro fallimento, e di basare la protesta sulla violata legittimità democratica, poiché il loro presidente fu eletto dal primo libero voto nella storia dell’Egitto. Al Cairo, in queste ore, i Fratelli musulmani tentano una disperata, rischiosa rivincita. Catherine Ashton e John Kerry, responsabili delle diplomazie europea e americana, hanno tentato invano di riaccendere il dialogo tra gli opposti schieramenti egiziani. E a conclusione dei loro falliti interventi si sono detti “profondamente inquieti” per l’avvenire immediato del paese.

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