Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/08/2013, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Rapiti due piloti turchi a Beirut. L’ombra lunga del conflitto siriano ". Dal GIORNALE, a pag. 12, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Al Qusayr, l’inferno che ha inghiottito Domenico Quirico ".
Ecco i due articoli:
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Rapiti due piloti turchi a Beirut. L’ombra lunga del conflitto siriano "
Guido Olimpio
Traffici, trame, terrorismo. La crisi siriana continua nel suo contagio. L’ultimo episodio in Libano. Due piloti delle Turkish Airlines sono stati rapiti nella notte a Beirut da un commando. Un gruppo sconosciuto, Zuwar Al Imam Reda, si è assunto la responsabilità del sequestro ed ha chiesto in cambio la liberazione di alcuni sciiti libanesi presi in ostaggio nel 2012 in Siria. Un ulteriore segnale di come i due Paesi siano legati dallo scontro in atto.
Sono da poco passate le 3, un pullmino ha lasciato lo scalo di Beirut diretto in un hotel del centro. A bordo nove persone, l’equipaggio di un Airbus turco appena atterrato nella capitale libanese. Il mezzo è però bloccato da alcuni uomini armati e mascherati che costringono il pilota, Murat Apkinar, e il copilota, Murat Agca, a seguirli. Qualche ora dopo i terroristi inviano un messaggio alla tv Al Jadeed con il quale precisano: «Annunciamo che il capitano e il suo assistente sono nostri ospiti fintanto che non saranno rilasciati i nostri fratelli catturati nell’Azaz». Un’indicazione precisa. I terroristi si riferiscono a nove libanesi sciiti che sono da più di un anno nelle mani di una fazione ribelle siriana, Asifar Al Shamal. Per gli insorti gli ostaggi non sono pellegrini — come affermano le famiglie — ma si tratterebbe di «consiglieri» inviati per aiutare il regime di Assad. Una storia che ha portato ad una lunga trattativa, contrassegnata da minacce, prove di forza, contatti segreti e la liberazione di almeno due rapiti. Ma perché prendere di mira la Turchia? Gli estremisti libanesi sono convinti che il governo di Ankara abbia una certa influenza sui guerriglieri di Al Shamal, tanto che già nel 2012 due turchi erano stati «trattenuti» sempre da uomini armati a Beirut.
Il nuovo atto di violenza ha avuto immediate ripercussioni. Le autorità turche hanno invitato i propri cittadini a lasciare il Libano e sconsigliato viaggi nel Paese. Il timore è che l’assalto al pullmino possa essere l’inizio di una nuova campagna di pressione. Quanto è avvenuto sembra rafforzare la visione allarmata degli Usa sulla Siria. Un recente rapporto della Cia ha sostenuto che il vero pericolo per la sicurezza nazionale americana arriva da quanto accade nel Paese arabo devastato dal conflitto civile. A inquietare l’intelligence statunitense la presenza — massiccia — di jihadisti venuti dall’estero. Un flusso continuo che ha permesso alla fazione che più si richiama al qaedismo, Al Nusra, di accrescere il proprio prestigio e di cooperare, sia pure con qualche contrasto, con i militanti iracheni dell’Isi.
I volontari stranieri sono stimati in almeno 6 mila, un numero però che continua a crescere. A Washington, e non è la prima volta, si continua a ripetere che il rischio è di un nuovo «santuario» per gli estremisti. Oggi sono impegnati nella lotta contro il regime di Assad, ma domani possono «dedicarsi» ad altri avversari. Gli americani hanno cercato di bilanciare il peso degli estremisti aiutando «brigate» ritenute moderate, tuttavia l’iniziativa è stata poco ampia e molto lenta. Un’indecisione sfruttata dai qaedisti che oggi controllano una zona piuttosto ampia in Siria e mantengono rapporti con organizzazioni regionali. Non solo. Sempre l’intelligence avrebbe le prove che Ayman Al Zawahiri, il medico egiziano che ha preso il posto di Osama, ha contatti stabili con i mujahedin di Al Nusra. Rapporti sempre difficili da valutare nella loro interezza. Le fazioni tendono sempre a privilegiare l’agenda locale, anche se il recente allarme terrorismo avrebbe mostrato che se ne hanno l’occasione sono pronte ad ampliare il fronte d’attacco colpendo anche al di fuori dei confini.
L’altro risvolto riguarda i veterani. Alcuni dei combattenti arrivati dal Nord Africa e dall’Europa possono rientrare nei rispettivi Paesi, pronti a compiere azioni destabilizzanti. Un pericolo emerso in modo evidente in Tunisia, in Libia e di recente in Giordania. I servizi di sicurezza hanno arrestato un nucleo estremista che aveva contrabbandato armi nel territorio giordano.
Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Al Qusayr, l’inferno che ha inghiottito Domenico Quirico "
Gian Micalessin Domenico Quirico
La strada è una linea d’asfalto martoriata dai colpi di mortaio e dalle voragini dei missili. Corre tra case sbriciolate, alberi inceneriti, rottami di carri, carcasse di auto contorte. Lì, 15 chilometri a sud ovest, oltre la linea delle devastazioni, passa il confine libanese. Homs, la terza citta siriana è 22 chilometri più a sud. Qui invece è l’epicentro di un terremoto chiamato guerra. L’auto di Shaza si ferma in uno slargo indefinito tra abitazioni sventrate, saracinesche divelte, resti di mobilia precipitati in strada. Intorno non c’è anima. Un vento rovente urla tra le rovine, trascina stracci e cartacce, fa sbattere i teli di plastica appesi a finestre e porte crivellate. Nel cerchio desolato s’inchina uno scheletro di torre azzannato da proiettili e granate. «Era la piazza di Al Qusayr, ma ora stento a riconoscerla - sospira Shaza – la torre dell’orologio era il simbolo della città. Qua intorno vivevano 50mila persone… guarda cos’è rimasto». Shaza Murad, 32 anni, è il sindaco sunnita di queste macerie. Sunnita come i ribelli che le occupavano dal luglio del 2012 . Ma con idee un po’ diverse.«Qusayr è caduta nella follia, i nostri ragazzi si sono fatti ammaliare dagli estremisti e la fine eccola qua…». La fine, la scossa fatale arriva tra l’inizio di aprile e il 5 giugno. In quei 60 giorni di guerra, orrore e morte l’esercito siriano e le milizie sciite di Hezbollah riconquistano la città diventata la rampa di lancio per i musallahin , gli armati anti-Assad provenienti dal Libano e diretti verso i fronti di Homs e Damasco. Da qui passa anche l’inviatodella Stampa Domenico Quirico. E qui, stando ad alcune fonti siriane del Giornale , si chiude la sua avventura mentre tenta di rientrare in Libano. Bloccato dai combattimenti, sballottato tra i marosi della ritirata ribelle perde i contatti con il gruppo che l’accompagna, finisce nelle mani di alcuni sbandati vicini alle formazioni più estremiste, viene venduto ad una formazione di delinquenti. Una versione in linea con quella fornita giovedì dal direttore del Dis, Giampiero Massolo che nel corso di un audizione al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, attribuisce il sequestro a gruppi criminali pronti a trattare il prezzo della liberazione. Un’ipotesi rafforzata ieri dal ministro degli Esteri Emma Bonino che parla di «passaggi di mano» in «un'atmosfera grigia, molto variabile».
La nebbia grigia che avvolge la sorte di Quirico non si dirada neanche tra queste rovine. Quando la foto del giornalista compare sul nostro telefonino il sindaco Shaza Murad scuote la testa. «Sono arrivata in città solo il 9 maggio.E a tutt’oggi sono rientrate solo 700 famiglie. Per sapere qualcosa del vostro collega dovete parlare con quelli rimasti qui durante tutti i combattimenti. In fondo sono una trentina di persone». Ma anche tra i sopravvissuti di Qusayr la nebbia non si dirada. Abu Ani, un cristiano 54enne impegnato a dar di malta e cazzuola alle mura sforacchiate della sua abitazione, scuote la testa non appena sente la parola «sahafi»,giornalista. Poi - mentre fa segno di no con una mano-si passa il palmo dell’altra a mo’ di lama sotto la gola. «Durante l’occupazione i musallahin – traduce la donna sindaco- gli hanno rapito il figlio e adesso continuano a mandargli messaggi di minaccia. Li ricevo anch’io,arrivano sui telefonini di molti di noi, promettono di uccidere chiunque torni in città e collabori con il governo ».
Elias Abid, un altro sopravvissuto all’apocalisse, è più disponibile. Guarda la foto di Quirico, la gira, la volta, la ingrandisce, ma alla fine scuote la testa. «Con i ribelli passavano tanti di voi, ma noi civili non li vedevamo e in ogni caso ci tenevamo il più possibile alla larga. Se era con loro durante l’attacco finale è molto probabile che si sia perduto. Quando i ribelli si sono ritirati qui è stato il disastro. I loro comandanti non sapevano dove dirigersi, molti gruppi allo sbando hanno finito addirittura per spararsi tra loro. È stato un vero inferno, abbiamo fatto fatica a salvarci noi, figuriamoci uno arrivato da fuori che non conosceva il posto e non parlava la lingua». «Comunque se era qui ed è vivo – commenta il sindaco Shaza- è già fortunato. Dalle macerie dalle case e dai tunnel dei musallahin continuano a saltar fuori cadaveri. Nessuno sa quanta gente sia morta, ma di sicuro sono migliaia».
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