Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/08/2013, a pag. 49, l'articolo di Luigi Offeddu dal titolo "In una città polacca Hitler e Stalin sono ancora cittadini onorari".


Adolf Hitler Stalin
Sono ombre, certo. Ma «Baffino» e «Baffone» sono ancora qui, nel cuore d'Europa. E non è del tutto una battuta: proprio ieri «Baffino», Adolf Hitler, è stato confermato cittadino onorario di Szczecin o Stettino, 400 mila abitanti, una delle città più antiche e gloriose della Polonia e di tutto il continente; mentre manteneva lo stesso onore a Wroclaw, quarta metropoli del Paese, un tempo la Breslau dei tedeschi. Le associazioni che volevano consegnare per sempre il Führer alla raccolta differenziata (o no) della Ue si sono sentite rispondere da giudici e amministratori locali: nel 1933 o subito dopo, quando il Führer ricevette quegli onori, Szczecin era sotto il Terzo Reich tedesco, dunque obbediva a leggi tedesche e i polacchi non c'entravano nulla. Né c'entrano oggi, almeno tecnicamente. Conclusione: come potrebbero annullare un provvedimento amministrativo di diritto straniero?
La burocrazia avrà le sue ragioni. In fondo, la vecchia Stettino ha concesso la cittadinanza onoraria anche ad altri tedeschi come Joseph Goebbels, o Hermann Goering. E però, qui c'è un altro problema con i mustacchi: «Baffone», Josif Stalin, anch'egli cittadino onorario di Wroclaw nel dopoguerra inoltrato, come pure di altre città d'Europa (a Budapest è stato scalzato solo da Elvis Presley e solo 3 anni fa). Stalin era georgiano sovietico, come noto, non tedesco. E non obbediva alle leggi tedesche, neppure a quelle sovietiche: obbediva entusiasticamente a se stesso. E allora, si chiede per esempio Anna Wojda sul giornale polacco Rzeczpospolita: «Perché nessuno si è dato la pena di regolare i conti con i demoni stalinisti? In questo caso, per farlo non dovreste immischiarvi con le leggi di altri Paesi…».
Bersaglio centrato. Una strana «timidezza» sembra frenare la mano di sindaci, assessori e primi ministri davanti a qualche pergamena ingiallita, sia per «Baffone» che per «Baffino»: ma forse è solo il ricordo, la consapevolezza delle forche condivise fra i due imperi, là dove pochi poterono dire «non c'ero, non ho capito».
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