Guerra al terrorismo: droni americani in Yemen, un drone israeliano in Sinai cronache di Daniele Raineri
Testata: Il Foglio Data: 10 agosto 2013 Pagina: 1 Autore: Daniele Raineri Titolo: «Escalation di droni in Yemen. Ma Obama non aveva detto 'basta'? - Effetto Bengasi»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/08/2013, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Escalation di droni in Yemen. Ma Obama non aveva detto “basta”? ", in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Effetto Bengasi ". Ecco i due articoli:
" Escalation di droni in Yemen. Ma Obama non aveva detto “basta”? "
Roma. L’Amministrazione Obama ha ordinato una escalation dei bombardamenti con i droni nello Yemen: sono stati nove negli ultimi tredici giorni. Fonti dell’esercito yemenita, che combatte in collaborazione con Washington, confermano prontamente l’uccisione di 34 “sospetti appartenenti di al Qaida nella penisola arabica” – ma non c’è la certezza piena perché in alcuni casi i missili hanno colpito automobili, i corpi sono bruciati e nemmeno le autorità locali sono riuscite a dare loro un’identità. Gli ultimi due strike sono arrivati giovedì e hanno ucciso 12 “sospetti militanti” – a Wadi Ubaidah nel vasto deserto a est della capitale e nella grande regione dell’Hadramawt, nel sud del paese. Gli attacchi americani con i droni sono diventati quasi una routine quotidiana in Yemen e per ora hanno toccato zone montagnose e poco accessibili, dove sono rifugiati i cinque leader più importanti dell’organizzazione – senza ottenere risultati. Questa settimana anche la capitale Sana’a è stata sorvolata da un traffico fittissimo di droni, secondo numerosi testimoni che ne hanno descritto il caratteristico ronzio. Forse i voli dovevano proteggere l’evacuazione del personale diplomatico americano e inglese – portato via su due grandi aerei da trasporto – dopo che da Washington e Londra è arrivato l’ordine di abbandonare le ambasciate. Dieci giorni fa il dipartimento di stato americano ha annunciato la chiusura al pubblico di 22 sedi diplomatiche in medio oriente e Africa causa di un’allerta terrorismo scattata dopo l’intercettazione di messaggi tra la leadership centrale di al Qaida, nascosta in Pakistan, e la fazione yemenita del gruppo. Secondo alcuni queste intercettazioni sono la ragione per l’improvviso aumento della frequenza dei bombardamenti americani, guidati da informazioni fresche. Secondo altri, l’incremento degli attacchi con i droni si spiega con l’annuncio in settimana da parte del governo yemenita dell’esistenza di un piano di al Qaida (diverso dall’allerta ambasciate) per attaccare il porto di al Mukalla, due terminal per l’export di petrolio e gas e gli uffici di una compagnia mineraria canadese. Il piano però è stato sventato in tempo – così dice il governo di Sana’a – e invece i bombardamenti americani sono proseguiti anche dopo. L’escalation dei bombardamenti in Yemen contraddice un discorso importante sulla lotta al terrorismo fatto dal presidente americano, Barack Obama, a maggio. Le sue parole erano state interpretate come l’inizio di una nuova fase, caratterizzata dalla necessità di non creare nuovi nemici per l’America con un uso troppo frequente degli strike con i droni e dall’applicazione di nuovi standard più restrittivi. L’Amministrazione inoltre sta spostando il programma di operazioni clandestine con i droni – che ora è sotto la responsabilità della Cia – sotto l’ala del Pentagono, nella speranza di rendere il processo più trasparente, più burocratico e meno indigesto ai numerosi critici. C’è chi sostiene che le uccisioni con i droni sono controproducenti perché sono un formidabile strumento di propaganda e reclutamento per i gruppi terroristici e c’è chi le assimila a esecuzioni ordinate dal governo senza prima un processo. Le operazioni di questi giorni in Yemen, però, smentiscono il presunto ingresso dell’Amministrazione Obama in una nuova fase della sua lotta al terrorismo: l’uso di droni resta, più massiccio di prima. Anche il passaggio di responsabilità da Cia a Pentagono non sembra ancora cominciato – almeno a giudicare da quello che si sa con certezza. I bombardamenti contro al Qaida nello Yemen sono ancora gestiti dalla Cia, che ha una base specializzata nella vicina Arabia Saudita, e dal Comando per le operazioni speciali del Pentagono, che però lavora in collaborazione con l’intelligence. Dall’Egitto arriva una notizia che se confermata apre una collaborazione inedita tra Israele e l’Egitto. Un drone israeliano ha colpito una postazione per il lancio di razzi di una fazione estremista nella penisola del Sinai, uccidendo cinque militanti, secondo alcuni ufficiali egiziani. Il bombardamento sarebbe stato compiuto con il pieno consenso del governo del Cairo. L’ascesa al potere del generale Abdou Fattah al Sisi riporta ai tempi della collaborazione discreta tra il presidente Hosni Mubarak e Gerusalemme, che era stata interrotta dalla parentesi durata un anno del governo dei Fratelli musulmani.
" Effetto Bengasi "
Daniele Raineri L'ambasciatore Chris Stevens morto
Roma. Ieri il consolato americano a Lahore, in Pakistan, è stato chiuso al pubblico per ragioni di sicurezza. A pochi chilometri, intanto, Hafiz Saeed, che è il leader carismatico del gruppo terrorista Lashkar e Taiba (responsabile della strage di Mumbai nel 2008), guidava la preghiera rituale di Eid al Fitr – per la fine del Ramadan – davanti a centinaia di sostenitori. Saeed ha sul capo una taglia da dieci milioni di dollari del governo americano, ma la cosa non lo ha turbato. Consolato chiuso e ricercato che prega in pubblico: ci può essere una rappresentazione più vivida di quanto l’America si senta sulla difensiva davanti al rischio estremista? Questa settimana è stata occupata dal dibattito sull’overreacting, sull’eccesso di reazione da parte del governo americano davanti alla minaccia terroristica, dopo la chiusura di 22 ambasciate in tutto il mondo causata da alcune intercettazioni tra leader di al Qaida. Ted Kopper scrive sul Wall Street Journal che “la sfida che ci aspetta è come noi saremo in grado di convivere con la minaccia terroristica. Abbiamo creato un’economia della paura, un’industria della paura e una psicologia nazionale della paura. Al Qaida non ci sarebbe mai riuscita da sola. Ci siamo inflitti tutto questo da soli”. Fox News cita come causa di questo atteggiamento della Casa Bianca la strage di Bengasi – dove l’11 settembre 2012 gli estremisti uccisero l’ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens, assieme ad altri tre americani. Dice un ex agente della Cia, Mike Baker: “Sanno cosa vorrebbe dire dal punto di vista politico qui negli Stati Uniti se ci fosse un altro attacco all’estero e fossero perdute altre vite americane”. Il risultato però è che le decisioni drastiche – come la chiusura delle ambasciate – sembrano incomprensibili. “Abbiamo sempre ricevuto allerte terrorismo – dice a Fox News John Price, ex ambasciatore alle isole Mauritius – ma non siamo mai andati a raccontarle ai media e non le abbiamo affrontate così come succede oggi. Quella chiusura a caso di ambasciate in Africa non ha alcun senso per me”.
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