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La Stampa Rassegna Stampa
08.08.2013 Diffondere la propaganda degli ayatollah
ci riesce Lapo Pistelli intervistato da Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 08 agosto 2013
Pagina: 15
Autore: Francesca Paci
Titolo: «In Iran si è aperta una finestra, negoziamo prima che si richiuda»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 08/08/2013, a pag. 15, l'intervista di Francesca Paci a Lapo Pistelli dal titolo " In Iran si è aperta una finestra, negoziamo prima che si richiuda ".


Francesca Paci               Lapo Pistelli

Lapo Pistelli diffonde via telefono direttamente da Teheran la propaganda degli ayatollah.
Rohani sarebbe un interlocutore moderato? E le sue parole su Israele cancro da estirpare? Sono indice di moderazione anche quelle?
Rohani, come tutti i suoi predecessori, dichiara vagamente di voler negoziare sull'Iran. Intanto il programma avanza, mentre l'Occidente (nella figura di Lapo Pistelli, oggi) si fa prendere per il naso senza opporre nessuna resistenza.
E' questa la politica estera italiana per i prossimi anni con il ministro Bonino? Sorrisi e moine a dittatori islamici come Erdogan e Rohani?
Per quanto riguarda le speranze di Pistelli su Rohani, invitiamo a rileggere la lettera di Naor Gilon pubblicata sul Foglio e ripresa da IC di ieri, insieme al commento di Costantino Pistilli. Ecco il link:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999930&sez=120&id=50194

Oggi in Iran c’è un interlocutore e la politica ha il dovere di tentare il dialogo, anche perché la finestra aperta dalle ultime elezioni non resterà tale all’infinito».

Al telefono da Teheran il vice ministro degli Esteri italiano Lapo Pistelli tira le somme della maratona di incontri avuti nella Repubblica islamica all’indomani del giuramento del presidente Rohani, una missione voluta fortemente dalla Farnesina che mette a segno la prima visita ufficiale di un governo occidentale nel paese post Ahmadinejad.

Di che umore è l’Iran?

«Mi sembra che trasudi soddisfazione per la scelta del nuovo presidente. Anche dai colloqui con diplomatici e politici che hanno lavorato con Ahmadinejad emerge la speranza di un mutamento nei rapporti tra Iran e comunità internazionale. Per entrambi la vittoria inattesa di Rohani, un candidato dell’establishment ma non certo tra i favoriti, rappresenta la chance di uscire dalla griglia bloccata delle reciproche narrazioni canagliesche».

Ha avvertito un ammorbidimento anche nella posizione di Teheran sulla Siria, finora rigidamente filo Assad?

«Come ha sempre ripetuto Emma Bonino l’Iran, essendo parte del problema siriano, dev’essere parte della soluzione. Solo che la conferenza di pace Ginevra II è lontana, anche perché tanto il regime di Damasco quanto i suoi avversari pensano ancora di poter vincere. Rispetto a un anno fa però, ho percepito un certo realismo da parte di Teheran, la duplice consapevolezza che non si possono spostare all’indietro le lancette dell’orologio rimettendo in sella Assad e che nessuno può vincere la guerra sul terreno. Gli iraniani insistono nell’ammonirci dal sostenere dei ribelli jihadisti che poi ci si rivolteranno contro come in Afghanistan, ma paiono più realisti».

Sono più realisti anche sul nucleare?

«Per avendo sempre avuto ottimi rapporti con l’Iran, l’Italia non è parte del gruppo negoziale 5 più 1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu più la Germania, ndr). Ovviamente però abbiamo parlato del nucleare. Intuisco da entrambe le parti la volontà di avviare un negoziato serio e sostanziale e credo sia il momento buono. Certo, noi siamo incagliati nel meccanismo delle sanzioni che non è semplice da modificare e loro devono liberarsi di una retorica insopportabile e sedimentata. Ma l’elezione di Rohani, un moderato centrista che dialoga con la destra e con la sinistra, ci porta un messaggio politico: Teheran chiede il riconoscimento del diritto all’uso pacifico del nucleare ma non chiude la porta ai controlli. La volontà di dialogare esiste, è un inizio, il tango si balla in due...».

In Medioriente in realtà i ballerini di tango non sono mai solo due. Sul nucleare iraniano c’è Teheran, la comunità internazionale ma c’è anche Israele, che ieri ha denunciato 7mila nuove centrifughe. Che passi muovere?

«Giusto, più che un tango è una mazurca. Ma proprio per evitare che ogni partita diplomatica naufraghi sulla propria complessità, bisogna cercare i punti di reciproco interesse. Sulla stabilizzazione dell’Afghanistan per esempio, le esigenze europee, americane e iraniane convergono perché Teheran con mille km di confine e 3 milioni di profughi combatte quanto noi il traffico di droga e il terrorismo. Per Israele Ahmadinejad era il nemico perfetto ma la sua retorica oltranzista è finita: bocciando tutti i candidati radicali il paese ha dichiarato di voler voltare pagina e gli Usa ascoltano con attenzione».

Si aspetta un cambio di passo anche sui diritti umani, buco nero dell’Iran?

«Il voto è stato trasparente ma soprattutto ho colto la volontà nuova di avviare un dialogo critico anche sui diritti umani. Confido che ci si possa aspettare qualcosa, Teheran è consapevole di dover dare segnali anche su quel fronte. Dobbiamo cogliere l’opportunità: l’Iran ci offre la possibilità di collaborare presentandosi come uno dei pochi punti stabili della regione e a noi oggi non servono certo altri focolai in Medioriente».

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