Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/08/2013, a pag. 12, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Yemen, parte la controffensiva Usa ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 11, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " L’America: «Via subito dallo Yemen» ". Da REPUBBLICA, a pag. 14, l'intervista di Valeria Fraschetti a Christopher Swift dal titolo " Al Qaeda si è frammentata, ha degli obiettivi più locali ".
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Yemen, parte la controffensiva Usa "
Maurizio Molinari
Attacchi coi droni, evacuazione dei diplomatici e procedure di emergenza nel Mar Rosso: il Pentagono prende le redini delle operazioni anti-terrorismo in Yemen puntando a stanare e colpire le locali cellule di Al Qaeda sospettate di preparare un attentato di grandi dimensioni contro gli Usa.
Superata da boa delle 72 ore dall’inizio dell’allerta-terrorismo, la Casa Bianca cambia marcia. Se finora la priorità è stata l’aumento delle difese passive per proteggere i possibili obiettivi scelti da Al Qaeda - consolati e ambasciate dal Nordafrica al Bangladesh - adesso l’iniziativa passa al Pentagono e la missione autorizzata dal presidente Barack Obama è mettere sotto pressione le cellule che pongono i rischi maggiori.
Alle origini della svolta c’è anzitutto la conferma della genesi del pericolo: le intercettazioni di più comunicazioni di Ayman al-Zawahiri, successore di Osama bin Laden al vertice di Al Qaeda, con lo yemenita Nasir alWuhayshi, comandante di Al Qaeda nella Penisola Arabica con il nome di battaglia di «Abu Basir», per chiedergli di mettere a segno un attacco di «grandi dimensioni». Poiché la richiesta di al-Zawahiri era esplicita nel riferimento a domenica 4 agosto, il fatto che le cellule tardino a colpire fa sospettare all’intelligence Usa che qualcosa si sia inceppato nei piani dei terroristi.
Da qui la scelta di andare al contrattacco, puntando a mettere sulla difensiva e decimare i gruppi di miliziani jihadisti in Yemen perché è qui che la struttura centrale di Al Qaeda sta tentando di riorganizzarsi, facendo leva su personaggi come Ibrahim al-Asiri, l’esperto saudita in mini-esplosivi considerato l’ideatore di più tentativi di attacchi contro il territorio americano. Sarebbe proprio al-Asiri, secondo fonti di intelligence, ad aver ideato un nuovo tipo di «esplosivo liquido» che sfugge ai controlli e potrebbe essere adoperato per l’attentato.
La scelta di al-Zawahiri di nominare «Abu Basir» proprio vice avvalora la convinzione di Washington che sia lo Yemen il nuovo «fronte centrale» della guerra ad Al Qaeda. Da qui la scelta di dare luce verde ai droni che nel primo mattino di ieri, ora di Sanaa, hanno lanciato almeno due attacchi contro miliziani di Al Qaeda «uccidendone quattro che però non fanno parte dell’elenco dei 25 maggiori ricercati» precisano fonti militari Usa alla «Cnn». Altri quattro attacchi con i droni sono avvenuti negli ultimi 10 giorni con esiti minori. In parallelo, si muovono le truppe yemenite andando a insidiare le milizie tribali che proteggono i jihadisti in alcune regioni isolate: i governativi hanno perduto un elicottero. La pressione militare coincide con il mini-ponte aereo che ha consentito all’Us Air Force di evacuare dallo Yemen circa 90 diplomatici - in parallelo ad una operazione gemella dei britannici - ordinando a tutti gli altri connazionali di lasciare il Paese. È dunque prevedibile che l’offensiva del Pentagono aumenti di intensità, nel tentativo di far uscire allo scoperto le unità di «Abu Basir». Fra i maggiori timori c’è il rischio di attacchi kamikaze contro le navi occidentali che transitano per il Mar Rosso: «Abu Basir» in più occasioni ne ha sostenuto l’opportunità e la «massima allerta» decretata dalla marina mercantile britannica evidenzia l’allarme.
C’è anche un altro risvolto dell’accelerazione di Obama contro Al Qaeda in Yemen perché nella base di Fort Hood in Texas si è aperto il processo al maggiore Nidal Hasan che nel 2009 uccise 13 commilitoni su mandato dell’imam Anwar alAwlaki, allora capo dei jihadisti a Sanaa. Il processo è destinato ad evidenziare come Al Qaeda in Yemen sia stata il mandante di molteplici attacchi contro gli Stati Uniti e del reclutamento di jihadisti americani.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " L’America: «Via subito dallo Yemen»"
Guido Olimpio
Come ai vecchi tempi. Senza sparare neppure un petardo, Al Qaeda mette paura. E passata quella che sembrava essere la data critica del 4 agosto, l’emergenza terrorismo non solo permane ma si diffonde e contagia. In una storia dove ancora mancano molti pezzi.
Partiamo dalle misure, alcune a sorpresa. Washington e Londra hanno invitato i loro cittadini a lasciare immediatamente lo Yemen. Quindi hanno evacuato il personale dalle ambasciate nel turbolento Paese arabo perché — ripetono — esiste una minaccia specifica. Quasi un centinaio di funzionari e familiari sono stati portati con due voli speciali dell’Air Force. La maggior parte si trova ora nella base di Ramstein (Germania) mentre l’ambasciatore Gerald Feierstein è già negli Usa. Protezione accresciuta attorno alle altre rappresentanze a Sana’a: quella italiana è stata chiusa al pubblico, perché il pericolo «è consistente». Livello d’allarme 3 (il più alto) per i mercantili britannici che incrociano davanti a Aden. C’è il rischio che i militanti ripetano attacchi contro navi e petroliere come fecero in passato. Rafforzati i controlli a New York, Boston, San Francisco e altre città statunitensi. Falso allarme al consolato Usa di Milano.
Indiscrezioni, rilanciate da Al Jazeera , sostengono poi che vi sarebbe qualche timore anche per il campo di prigionia a Guantanamo (Cuba). I terroristi, accogliendo un recente appello di Al Zawahiri, potrebbero assaltarlo? Sembra difficile, ma le recenti maxi-evasioni organizzate dai qaedisti hanno fatto sorgere qualche preoccupazione al punto che la stessa Interpol ha avviato una sua indagine. Infine il nuovo esplosivo messo a punto dal mago delle bombe Ibrahim Al Asiri. Liquido, è assorbito da una camicia o giaccia del terrorista, poi è lasciato essiccare. A quel punto è pronto: il kamikaze può salire a bordo di un jet aggirando i controlli. Secondo alcune fonti una «copia» sarebbe stata consegnata alla Cia da un infiltrato saudita.
Ed è probabile che vi sia un’altra «talpa» all’origine della catena di eventi che ha spinto la Casa Bianca ad una mobilitazione senza precedenti. Nelle ultime ore sono trapelate altre ricostruzioni (parziali) sull’attività dell’intelligence. In sintesi. 1) Alcune settimane fa è stato scoperto un messaggio segreto, forse portato da un corriere, con il quale Al Zawahiri ordina al capo dei qaedisti nella Penisola arabica, Nasir Al Wahishi, di colpire. 2) L’Nsa intercetta dialoghi tra i dirigenti qaedisti: ancora Al Zawahiri chiede che «facciano qualcosa di grosso» per la fine del Ramadan. 3) Altre comunicazioni confermano le intenzioni dei terroristi. 4) Una fonte protetta (una talpa?) mette il sigillo finale: è vero, vogliono attaccare. Ma nessuno sa dove e allora scatta l’ordine di chiusura per le 22 ambasciate, provvedimento che resta in vigore per almeno 19.
Le rivelazioni non sgombrano però il campo da qualche dubbio. Se gli Usa sono riusciti a intercettare i capi — strano che siano così loquaci, per giunta al telefono — allora potrebbero essere in grado di localizzarli. Oppure, come suggeriscono taluni, l’Nsa ha avuto solo un ruolo secondario. E ora le diverse agenzie della sicurezza provano a mettere cappello. O coprono chi per davvero ha fornito la dritta, un uomo all’interno del movimento jihadista. Qualche osservatore ha sostenuto che le informazioni all’origine di tutto «non sarebbero nuove» e ha accusato la Casa Bianca di «politicizzare» la carta terrorismo, ha insinuato un bluff. Altri ancora rimproverano al presidente di aver sottovalutato il nemico. Il problema è che l’emergenza resta. A Sana’a tira una brutta aria e nei cieli dello Yemen volano i droni americani. Nelle ultime ore hanno ucciso quattro presunti qaedisti.
La REPUBBLICA - Valeria Fraschetti : " Al Qaeda si è frammentata, ha degli obiettivi più locali "
Cristopher Swift, studioso di Al Qaeda e professore di Sicurezza interna alla Georgetown University
«Un franchising del terrore sconnesso e con obiettivi sempre più locali, ma che vuole dimostrare al mondo di essere ancora coerente e centralizzato come ai tempi di Osama». Questa — secondo Cristopher Swift, studioso di Al Qaeda e professore di Sicurezza interna alla Georgetown University — è l’immagine che il network creato da Bin Laden vorrebbe trasmettere, tornando a colpire obiettivi occidentali con la sua cellula yemenita, come suggerito dalla comunicazione intercettata fra il “numero 1”, Ayman Al Zawahiri, e il leader della rete terroristica nella penisola arabica, Nasir Al Wuhayshi. Professore, Obama considerava Al Qaeda “quasi sconfitta”, ma ora le inedite misure di sicurezza adottate dagli Usa sembrano suggerire che il presidente era stato troppo ottimista. «Al Qaeda non è più debole rispetto all’era Bush, si è semplicemente trasformata: è più sfibrata a livello globale, ma più forte localmente. È anagraficamente più giovane, il suo cuore geografico non batte più in Afghanistan e Pakistan: si è spostato verso il mondo arabo sunnita. Ma si è anche frammentato in cellule che continuano ad avere un’ideologia di jihad globale, adattata però a obiettivi di politica locale. È così in Iraq, in Siria, in Yemen». La cellula yemenita è divenuta la più temibile per Washington, nonostante la campagna con i droni. Come mai? «Al Qaeda nella Penisola Arabica è una cellula tenace, che si ispira al modello Taliban: portano avanti una guerriglia lenta, di logoramento, per destabilizzare il governo centrale di Sana’a’. Negli ultimi tre anni i loro membri sono triplicati, passando a circa 2000-3000. Riescono a fare proseliti grazie a stipendi di 300-400 dollari al mese, quando uno yemenita ne guadagna in media 60. Inoltre, rispetto alla campagna di droni fatta in Pakistan, nello Yemen l’obiettivo di rompere la catena di comando è più difficile da raggiungere, perché i qaedisti yemeniti sono ben mimetizzati con la popolazione e il suo tessuto tribale». E la loro jihad locale ora contemplerebbe un assalto eclatante contro obiettivi occidentali. «Al Qaeda ha bisogno di trasmettere un’immagine di unità del network, cosa che la comunicazione tra Zawahiri e Wuhayshi, che sanno di poter essere intercettati, è riuscita a offrire. È trascorso quasi un anno dall’assalto al consolato di Bengasi: per loro è tempo di un nuovo attentato eclatante, che continui ad alimentare la narrazione del network. Il presidente yemenita la scorsa settimana era a Washington; il dialogo nazionale seguito alla “primavera” yemenita sta procedendo; è la fine del Ramadan: il momento per una lustrata all’immagine globale di Al Qaeda è propizio».
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