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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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Il Foglio - Il Giornale Rassegna Stampa
06.08.2013 Usa, passato l'allarme, resta la minaccia di al Qaeda
cronache di Daniele Raineri, Gaia Cesare

Testata:Il Foglio - Il Giornale
Autore: Daniele Raineri - Gaia Cesare
Titolo: «La minaccia di Al Qaida. Pronto il kamikaze con la bomba sottopelle»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/08/2013, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Cautele e retropensieri sul “più grande allarme” dopo l’11 settembre" . Dal GIORNALE, a pag. 12, l'articolo di Gaia Cesare dal titolo "La minaccia di Al Qaida. Pronto il kamikaze con la bomba sottopelle" .
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Cautele e retropensieri sul “più grande allarme” dopo l’11 settembre "


Daniele Raineri

Roma. Ieri cinque ambasciate americane hanno riaperto dopo la chiusura di ventiquattr’ore per l’allerta terrorismo: Baghdad, Kabul, Algeri, Nouakchott (in Mauritania) e Dacca (in Bangladesh). Le prime due in particolare erano state costruite in tempo di guerra e sono fortezze progettate per resistere a un assalto militare, e forse per questo sono state escluse in anticipo dall’allarme lanciato giovedì scorso. Il dipartimento di stato ha aggiunto però le sedi diplomatiche di altri quattro paesi alla lista di quelle che resteranno chiuse per precauzione fino a domenica prossima: Madagascar, Burundi, Ruanda e isole Mauritius. In tutto sono diciannove, nel medio oriente e in Africa. Le ambasciate americane in Kenya e Tanzania, già colpite da al Qaida nel 1998, questa volta non sono più considerate tra i bersagli possibili. Con i dati a disposizione fare l’identikit del tipo di attacco temuto dall’Amministrazione americana in questi giorni di fine Ramadan – il mese sacro dell’islam – è difficile, se non impossibile: si capisce soltanto che è abbastanza pericoloso da minacciare la sede di Sana’a, in Yemen, tra le più protette al mondo, ma non quella di Baghdad e nemmeno i due consolati americani in Iraq a Bassora e Irbil; e che i terroristi potrebbero materializzarsi in zone geografiche molto lontane tra loro come il Madagascar e l’Oman, ma è considerato certo che non lo faranno in Algeria, dove pure la presenza di al Qaida è forte. La rete Cnn dice di avere altre informazioni, ma di non poterle dare. Chiudere le ambasciate consente di guadagnare tempo, se davvero gli attentatori sono già nel paese scelto per l’azione come sostengono alcune fonti.
C’è anche la possibilità che la data presunta dell’attacco, il 4 agosto, fosse un ballon d’essai, e sia stata fatta trapelare deliberatamente per mettere alla prova la reazione americana. Secondo la rete Abc, al Qaida ha violato le stesse procedure che aveva adottato per comunicare in sicurezza, come se avesse voluto farsi intercettare. Domenica a Washington si è riunito il Principal Committee – la commissione con i capi delle agenzie governative e dei ministeri più importanti – del Consiglio di sicurezza nazionale (è un fatto raro che sia successo di domenica, sottolinea il messaggio dell’Amministrazione: siamo in stato di allarme). Oltre al capo di stato maggiore, Martin Dempsey, e al direttore della Cia, John Brennan, c’era anche il direttore della National security agency (Nsa), il generale Keith Alexander, che ormai partecipa sempre – a differenza di quanto succedeva in passato, quando a questi meeting antiterrorismo la sola agenzia presente era la Cia. E’ un segno di quanto l’intercettazione delle comunicazioni (Sigint) di cui si occupa la Nsa sia diventata importante per l’Amministrazione Obama, alle prese con il caso Snowden, l’ex agente Nsa ora fuggito in Russia. Questa settimana di chiusura delle ambasciate americane nella lista dei paesi a rischio nasce proprio dalle comunicazioni che gli americani hanno ascoltato tra uomini di al Qaida nella penisola arabica (Aqap). Dice il senatore Dutch Ruppersberger, che ha partecipato a un briefing di aggiornamento: “Abbiamo ricevuto informazioni che membri di alto livello di Aqap stanno parlando di un grande attacco”.
Per il senatore Saxby Chambliss “il livello degli scambi è simile a quello che precedette l’11 settembre”. Il Washington Post nota che questa allerta terrorismo “arriva al momento opportuno per la National security agency”, che è al centro di critiche durissime per i programmi di sorveglianza che minacciano la privacy di milioni di americani. Come se la chiusura delle ambasciate suggerisse: vedete che le intrusioni del governo sono giustificate dal rischio terrorismo e sono a fin di bene? Ma c’è un accordo bipartisan per cacciare questo retropensiero: dice il senatore repubblicano Peter King, un critico accanito dell’Amministrazione democratica, che in questo caso non c’è esagerazione, la minaccia non è stata amplificata per far fare bella figura all’Nsa. “E’ da pazzi sostenere che c’è una cospirazione. Il governo sarebbe stato totalmente negligente se non avesse fatto quello che ha fatto”.
Seth Jones, analista della Rand corporation, fa notare sul sito della Cnn che l’allarme per le ambasciate americane coincide con la nomina recente di Nasir al Wuhayshi, conosciuto anche come “Abu Basir”, capo yemenita di al Qaida nella penisola arabica, all’incarico di numero due dell’intera organizzazione, quindi appena sotto all’egiziano Ayman al Zawahiri, che si ritiene sia nascosto in Pakistan. Il settore yemenita di al Qaida ha preso il posto della vecchia leadership per efficienza e pericolosità.

Il GIORNALE - Gaia Cesare : "  La minaccia di Al Qaida. Pronto il kamikaze con la bomba sottopelle "

Vogliono uno choc in stile 11 settembre. E per ottenerlo hanno messo a punto un nuo­vo strumento di guerra, in gra­do di provocare altro orrore contro l’Occidente ma soprat­tutto di sfuggire ai controlli che da quel sanguinoso 2001 si so­no fatti sempre più serrati e sempre più difficili da eludere. Per questo i terroristi islamici avrebbero messo a punto un’ar­ma di distruzione persino più spietata del tradizionale uomo­bomba pronto a immolarsi per annientare il nemico. L’ultima frontiera dell’orrore integrali­sta è il kamikaze con «bombe impiantate chirurgicamente nel corpo». Lo ha rivelato un al­to funzionario dell’ammini­strazione Obama alla tv ameri­cana Abc , dimostrando come i vertici di Al Qaida abbiano per­sino alzato il tiro. Vogliono sfug­gire ai controlli e gli ordigni in corpo sarebbero l’arma perfet­ta, in grado di scampare ai me­tal detector degli aeroporti o dei palazzi del potere. «È gente che ha sviluppato tecniche per rendere inefficaci i nostri meto­di di rilevazione», ha insistito il funzionario, dando pratica­mente per certo il salto di quali­tà degli adepti di Bin Laden.
Il nuovo kamikaze è l’ultima prova che il mese di agosto sarà un mese molto «caldo» per gli 007 e i sistemi di difesa e sicurez­za di mezzo mondo dopo l’aller­ta per «un grosso attacco, dal grande significato strategico», annunciato dai terroristi du­rante le telefonate intercettate. Secondo l’intelligence un com­mando di uomini di-Al Qaida sa­rebbe già sul posto ma resta dif­ficile
prevedere il luogo e la da­ta dell’attacco, possibile su un’area troppo vasta, dallo Ye­men all’Afghanistan.
Tutto ciò rende il clima anco­ra­più teso e nervoso per i diplo­matici
e i cittadini statunitensi e occidentali al lavoro nelle aree a rischio.Un’atmosfera fat­ta di minacce tanto tangibili - le più serie dall’11 settembre, di­cono gli esperti - quanto vaghe proprio perché toccano un’area geografica così ampia. «D’altra parte - ha spiegato Seth G. Jones al New York Ti­mes - gli Stati Uniti da tempo hanno a che fare con gruppi sparsi in diversi continenti e ge­neralmente non coordinati fra loro. È la nuova Al Qaida, un movimento non compatto più che una singola organizzazio­ne ». Un movimento che in Tu­nisia­vedrà presto il rientro dal­la Siria di 600 combattenti pron­ti a tornare in patria per combat­tere la jihad. Così le diciannove ambasciate rimaste chiuse do­menica, giorno del 52esimo compleanno del presidente Obama, protrarranno il fermo ancora per qualche giorno, fi­no al 10. Si tratta delle sedi di Abu Dhabi, Amman, Il Cairo, Riad, Dhahran, Geddah, Doha, Dubai, Kuwait City, Ma­nama, Mascate, Sanaa, Tripoli, Antananarivo, Bujumbura, Gi­buti, Khartoum, Kigali e Port Louis. Misure precauzionali, dicono dagli Usa. «Non si tratta di un’indicazione legata a nuo­ve minacce, piuttosto di un’in­dicazione del nostro impegno a dare prova di prudenza e a prendere tutte le misure appro­priate per proteggere il nostro personale, compresi gli impie­gati locali e i visitatori », ha chia­rito il portavoce del Diparti­mento di Stato, Jen Psaki men­tre anche altri Paesi, dalla Gran Bretagna alla Francia alla Nor­vegia annunciavano di prolun­gare la chiusura delle proprie sedi in Arabia saudita, Giorda­nia o Yemen almeno fino a gio­vedì, fine del Ramadan.
«Il sospetto è che il Medio Oriente sia il luogo dove è più fa­cile che avvenga l’attentato», ha spiegato alla Abc il repubbli­cano Peter T. King, membro del Comitato d’intelligence. Ma ieri anche il Pakistan è stato segnalato come possibile tea­tro dell’azione. Quel che è cer­to è che le menti dell’attentato sono nello Yemen. Per il resto tutto è possibile. «Potrebbero agire in Europa, negli Usa o po­trebbero mettere a segno una serie di attacchi coordinati».

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