Siria: mentre Assad resta al potere, non si hanno più notizie di padre Dall'Oglio il conflitto si estende alle comunità islamiche sciite e sunnite di Londra
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - La Stampa Autore: Davide Frattini - Paolo Brera - Claudio Gallo Titolo: «L'arrogante normalità di Assad che resta aggrappato al potere - Siria, paura per padre Dall’Oglio - Sciiti e sunniti combattono a Londra la guerra siriana»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/08/2013, a pag. 33, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " L'arrogante normalità di Assad che resta aggrappato al potere ". Da REPUBBLICA, a pag. 12, l'articolo di Paolo Brera dal titolo " Siria, paura per padre Dall’Oglio ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo " Sciiti e sunniti combattono a Londra la guerra siriana ".
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " L'arrogante normalità di Assad che resta aggrappato al potere "
Davide Frattini Bashar al Assad
Hafez Assad è seppellito nel mausoleo di marmo bianco e pietre grigie a Qardaha. Da quel villaggio è partito per creare una dinastia e tra quelle montagne il suo clan potrebbe tornare a combattere la battaglia più cruciale dei due anni di guerra. I ribelli hanno lanciato un'offensiva in questi giorni, premono verso la costa, verso la città di Latakia e il porto di Tartus. Vogliono spezzare il corridoio sicuro che l'esercito ha ritagliato tra la capitale Damasco e le zone dove gli alauiti (minoranza di regime nel Paese) sono la maggioranza. Vogliono provare a rallentare l'offensiva dei lealisti che ha sbriciolato la profezia di Ehud Barak. Venti mesi fa il soldato più decorato della storia d'Israele azzardava: «I giorni di Bashar Assad sono contati». Da allora ha lasciato il ministero della Difesa e la politica, mentre il presidente siriano resta al potere. Le foto pubblicate dai suoi assistenti su Instagram mostrano lui e la moglie immersi in una normalità che vuol ostentare un solo messaggio: stiamo vincendo. Bashar lo ha proclamato giovedì scorso alle truppe (era la festa delle forze armate) che ha visitato in un sobborgo di Damasco da poco ripreso ai ribelli: «Se non fossimo sicuri della vittoria, non avremmo la capacità di resistere e non saremmo stati in grado di continuare la battaglia». Lo ha ripetuto domenica in un discorso alla nazione, 45 minuti per distruggere qualunque ipotesi di negoziato: «Nessun essere sano di mente può pensare che il terrorismo possa essere risolto dalla politica. Chiuderò la questione con il pugno di ferro». Per lui non possono che continuare le immagini di propaganda: Asma che offre un regalo a una bambina, Bashar che saluta i feriti, Asma che monta una tenda con i giovani pionieri, Bashar fermato dalla folla per strada. E non possono che continuare i massacri in un conflitto che ha già causato oltre centomila morti.
La REPUBBLICA - Paolo Brera : " Siria, paura per padre Dall’Oglio "
padre Paolo Dall'Oglio
Precipita nell’angoscia la preoccupazione per la sorte di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano scomparso in Siria alla fine di luglio. Dopo otto giorni di silenzio da parte del religioso e una ridda sciagurata di voci incontrollabili e di altrettanto incerte smentite rimbalzate via Twitter, ieri i Gesuiti del Medio Oriente hanno espresso «inquietudine profonda» per la sorte di “Abuna Paolo”, auspicando che «possa ritrovare i suoi al più presto» e ringraziando «tutte le autorità che si mobilitano per la sua ricerca». Dopo una vita trascorsa in Siria, il missionario era stato espulso l’anno scorso dal regime di Assad, di cui denunciava le atrocità, ma era rientrato più volte clandestinamente nella sua terra d’adozione. La settimana scorsa lo aveva fatto per tentare una difficile mediazione sulla libertà di alcuni occidentali rapiti da gruppi jihadisti vicini ad Al Qaeda, una trattativa delicata durante la quale potrebbe essere caduto lui stesso vittima dei rapitori. Come per Domenico Quirico, il giornalista della Stampa disperso in Siria dal 9 aprile, migliaia di persone aspettano padre Paolo con il fiato sospeso, e da giorni i siriani che gli vogliono bene sfidano i miliziani manifestando in suo nome a Raqqah, nel nord del Paese dove il religioso è scomparso. La guerra civile, intanto, va avanti travolgendo vite e macinando propaganda. Ieri il ministro della Difesa, Fahd al-Freij, ha «passato in rassegna le unità dell’Esercito che hanno ripristinato la sicurezza e la stabilità a Khaldiyeh», un quartiere strategico nel centro di Homs riconquistato dai lealisti alla fine di luglio, dopo un lunghissimo assedio. Il nuovo successo militare, dopo quello della presa di Qusayr propiziata dall’alleanza con le milizie sciite libanesi di Hezbollah, ha offerto l’occasione al presidente Bashar al-Assad per una seconda apparizione pubblica in una sola settimana, un segnale chiaro che il regime ritiene di aver segnato un punto importante. Parlando davanti alle telecamere Assad ha promesso la vittoria finale senza discussioni né trattati di pace: la Siria, ha detto, può scegliere «tra uno Stato di legge e uno guidato da ladri e banditi». La crisi sarà risolta «sul campo di battaglia», non al tavolo negoziale, perché «per i terroristi c’è solo il pugno di ferro». Ma mentre i governativi issano le bandiere nei quartieri desolati di Homs, i gesuiti pregano con «profonda inquietudine » anche per la vita di padre Frans van der Lugt e degli altri ospiti della residenza gesuita di Boustan Diwan, nel centro di Homs devastata dalla guerra civile: secondo l’Unicef, nella morsa tra l’avanzata dell’esercito governativo e la difesa dei ribelli ci sono le anime in trappola di 400mila civili. E nel frattempo i ribelli conquistano terreno sulla fascia costiera: la Coalizione nazionale siriana ha celebrato la presa, nella provincia di Latakia, di quattro villaggi montani abitati da alawiti, roccaforti di Assad. Hanno trovato un ingente arsenale di missili anticarro: finirà per alimentare nuovi focolai di guerriglia con il regime che Human Rights Watch ha accusato, ieri, di un lungo elenco di stragi in bombardamenti a tappeto.
La STAMPA - Claudio Gallo : " Sciiti e sunniti combattono a Londra la guerra siriana "
Dall’antenna che spunta accanto al minareto della moschea di Al Muhassin, nel piccolo villaggio, si diffondono nell’etere parole spigolose: sullo schermo il religioso sciita Sheikh Yasser al Habib definisce il secondo califfo Umar, una delle personalità più riverite dai sunniti, un usurpatore e un pervertito. Pochi giorni prima, Muhammad al Arifi, un predicatore saudita con cinque milioni di seguaci su Twitter, aveva parlato alla moschea salafita Al Muntada. Uno dei suoi pezzi forti è di raccontare che gli sciiti rapiscono i bambini, li fanno bollire, li spellano e buttano i cadaveri davanti alla casa dei genitori. Recentemente ha proclamato che i musulmani di tutto il mondo dovrebbero andare in Siria a combattere contro Assad.
Questo veleno settario, che trabocca soprattutto dalla guerra di Siria, sebbene dietro il conflitto ci siano cause geopolitiche che vanno al di là della religione, non si spande in qualche arroventato Paese del Medio Oriente, ma nella capitale della finanza mondiale, la metropoli londinese che ingloba nel suo calderone multietnico il Londonistan delle periferie islamizzate. Che Assad oltre che un dittatore sia un laico socialisteggiante, pur alleato del teocratico Iran, che gli alawiti siano diventati sciiti solo nel 1972 per opportunità politica non importa: la partita è sciiti contro sunniti. Una semplificazione adorata dai media diventata, con il tempo, una profezia che si auto-avvera.
Sheik Yasser al Habib, 34 anni, è un teologo sciita fuggito a Londra dal natio Kuwait dove è stato condannato a dieci anni di carcere per blasfemia. I giudici gli hanno successivamente tolto anche la cittadinanza. Al Habib non ha risposto alla richiesta di contatto, ma sul suo sito si difende con tenacia dalle accuse, dicendo spesso di essere stato frainteso, «non voglio divisioni, cerco solo la verità», dice. Dalla stazione televisiva «Fadak Tv», a Fulmer, un’ora di macchina della capitale, lancia prediche al vetriolo. Nel 2010 disse che Aisha, una delle mogli di Maometto, è «una nemica di Dio». Ne ha per tutti: attacca la Guida suprema iraniana Khamenei, di cui non riconosce l’autorità, e se la prende con Hezbollah in Libano.
La sua «ricerca della verità» rischia d’infiammare la minoranza di estremisti che fanno parte della ben più grande comunità sunnita, come quelli di Al Muhajirun, un gruppo bandito in Inghilterra, che il mese scorso hanno manifestato dalle parti di Edgware Road con cartelli che condannavano le stragi in Siria (solo quelle del regime, ovviamente) e altri che dicevano: «Gli sciiti sono nemici di Dio». Nel corso di tafferugli un uomo è stato ferito al volto con un coltello, perché era sciita. L’arrivo di Muhammed al Arifi, predicatore salafita tra i più radicali, ha provocato un’ondata di tensione infra-comunitaria, mettendo a disagio anche gli elementi più moderati della comunità sunnita. A fine giugno è stato aggredito da due giovani iracheni (presumibilmente sciiti) mentre usciva da un McDonald’s. Nonostante avesse tre guardie del corpo è finito all’ospedale. Da allora è sparito, nessuno dei molti interpellati ha saputo (o voluto) dire se è ancora in Gran Bretagna.
Al centro salafita Al Muntada, a Fulham, Sud-Ovest di Londra, dove Al Arifi è stato a parlare, cercano di sdrammatizzare, negano persino di essere salafiti. Ehsan Abdullah, manager dell’ente caritativo che opera nelle scuole ma fa anche sottoscrizioni per i profughi siriani, sostiene: «Sono esagerazioni dei giornali. Non c’è alcuna tensione settaria. Al Arifi è stato qui per venti minuti e ha parlato solo di teologia».
Mohammed Shaid Reza è un po’ in mezzo al guado, pur essendo sunnita è anche un sufi, appartiene cioè a una confraternita mistica. I salafiti in genere considerano i sufi degli eretici e, dall’Asia all’Africa, distruggono spesso e volentieri i loro santuari. Maulana, come lo chiamano per deferenza, è della scuola indiana dei Chishti, a cui appartiene il santuario di Nizamuddin, il più celebre tempio sufi di Delhi. Lui ha un’idea di come siano andate le cose: «Tutto è cominciato alla metà degli Anni 70, quando in Pakistan comandava il generale Zia ul Haq, finanziato dall’Arabia Saudita. È allora che esplosero le tensioni intra-comunitare, prima i rapporti erano relativamente pacifici.La guerra IranIraq fu un altro passo. Poi ci sono state le guerre in Iraq: un Paese da sempre governato dai sunniti è passato sotto il controllo sciita. Oggi ci sono le primavere arabe, con la guerra in Siria dove la tensione tra le sette è alle stelle».
Delle tensioni Maulana accusa soprattutto le televisioni satellitari. A Londra le principali sono sette: tre sciite e quattro sunnite, che specialmente durante le festività religiose diffondono sermoni esplosivi. «Le comunità nel loro insieme spiega il religioso - sono però pacifiche: vogliono concordare pacatamente di essere in disaccordo».
A Whitechapel c’è la più grande moschea di Londra, può ospitare 5 mila fedeli in preghiera. I suo minareti alti una ventina di metri svettano sull’omonima via, poco prima delle gallerie d’arte. Sul marciapiede opposto, si cammina tra bancarelle di venditori barbuti e donne velate: benvenuti nell’Est Londonistan. Salman Farsi è il giovane responsabile delle comunicazioni della comunità. «Ci sono delle frange estremiste - ripete come un mantra - ma la maggioranza della gente vuole il dialogo pacifico». Mostra un documento firmato qualche giorno fa al Muslim Council of Britain dove sciiti e sunniti si impegnano per un dialogo costruttivo.
Tutti d’accordo alla fondazione Imam Al Khoei, creata nel Nord-Est di Londra nel 1989 dal grandayatollah Abu Al Qasim Al Khoei, il predecessore dell’attuale leader sciita iracheno Al Sistani. Negli uffici accanto alla moschea, uno dei direttori, Yusuf al Kohei, nipote del fondatore, getta acqua sul fuoco: «Sui media vanno solo gli estremisti, la maggioranza non si sente, ma è tranquilla. Ci sono degli organismi nazionali in cui sunniti e sciiti lavorano insieme per la concordia. Gli estremisti salafiti, d’altra parte, sono un problema per tutti: il loro odio è rivolto anche a sufi, cristiani ed ebrei».
La recente estradizione in Giordania del predicatore Abu Qatada ha mostrato che il governo britannico non vuole più tollerare gli islamisti radicali. Il ministro dell’Istruzione Gove ha appena chiuso una scuola islamista ad Halifax, nel Nord dell’Inghilterra. Ma i predicatori dell’odio settario continuano ad affollare l’etere, pronti a sobillare il gregge dei pacifici. Staccare la spina non sembra una soluzione, somiglierebbe troppo a quello che farebbero loro al nostro posto.
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