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La Stampa Rassegna Stampa
06.08.2013 Hassan Rohani, l'ennesimo presidente iraniano contro Israele
altro che 'moderato'. Ma ci casca anche Roberto Toscano

Testata: La Stampa
Data: 06 agosto 2013
Pagina: 1
Autore: Roberto Toscano
Titolo: «Iran: Rohani, il riformismo del realista»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/08/2013, a pag. 1-29, l'articolo di Roberto Toscano dal titolo "Iran: Rohani, il riformismo del realista".


Roberto Toscano           Hassan Rohani

Anche Roberto Toscano, come molti altri giornalisti occidentali, si è lasciato incantare dalla favola di 'Rohani moderato'.
Le dichiarazioni contro Israele vengono minimizzate da Toscano, che le definisce  "
distorta e resa ben più minacciosa dalle stesse fonti iraniane nella traduzione inglese".
In Iran, l'unica opinione a contare è quella di Khamenei, non certo un moderato. E' lui a muovere tutto quanto. Rohani non è moderato, ma, se anche lo fosse, sarebbe comunque solo un burattino nelle mani di Khamenei e non potrebbe fare nessuna mossa autonomamente.
Ecco il pezzo:

Con il giuramento di Hassan Rohani come nuovo Presidente dell’Iran si apre una nuova fase nella storia della Repubblica Islamica fondata dall’ayatollah Khomeini.
In occasione della cerimonia di inaugurazione Rohani ha identificato come priorità assolute del suo governo da un lato il miglioramento della disastrata economia e dall’altro la riduzione di «antagonismi e tensioni» derivanti dalla questione nucleare. Ha anche assicurato che la disponibilità dell’Iran al dialogo è totale, ed è subordinata solo all’esigenza di «rispetto».

Alle parole si aggiungono i primi fatti. Tra questi estremamente significativa è la composizione della compagine governativa, in primo luogo la nomina a ministro degli Esteri di Javad Zarif, a lungo apprezzato e sofisticato rappresentante iraniano all’Onu. Un diplomatico che tutti quelli che hanno avuto occasione di incontrare considerano capace di portare avanti contemporaneamente un discorso di tutela degli interessi nazionali e la ricerca di ragionevoli compromessi.

Ma funzionerà questo disegno di normalizzazione - questo richiamo, per usare le parole di Rohani, «alla speranza e alla prudenza»?

Gli ostacoli sono molti, sia sul piano interno che su quello internazionale.

I conservatori e gli «ultra» del regime sono stati clamorosamente sconfitti alle elezioni, ma restano ben insediati nelle strutture di potere del Paese. Da parte sua, il Leader Supremo Khamenei ha accettato un risultato elettorale lontano dalle sue preferenze molto probabilmente perché l’unico modo di cancellarlo sarebbe stato un nuovo 2009, ovvero una repressione di massa che il regime avrebbe forse potuto gestire ma che non si poteva permettere politicamente. Il Leader Supremo, certo non sospettabile di essere un riformista e un pluralista, ha d’altra parte come primissima esigenza, al di là delle sue preferenze ideologiche, la conservazione del regime, da perseguire, a seconda della fase storico-politica, con formule che possono essere – e sono state – molto diversificate.

La fase attuale del regime iraniano, d’altra parte, non è del tutto nuova, ma si può interpretare come una riedizione del centrismo di Rafsanjani, il personaggio più sofisticato, sottile e pragmatico della storia politica dell’Iran rivoluzionario. Lo dimostra il fatto che gran parte dei nomi annunciati per le nomine ministeriali (e di quelli che si stanno già facendo per altri importanti incarichi) sono quelli di personalità è che già hanno svolto un ruolo nel governo di Rafsanjani (1989-1997). Ma – e qui emerge un primo problema – risulta che invece il Leader Supremo ha posto il veto alla proposta di Rohani di includere nel governo alcune personalità riformiste più politicamente qualificate che avevano ricoperto ruoli ministeriali durante la fase riformista di Khatami (1997-2005). In altre parole, i riformisti hanno portato il loro appoggio, indispensabile, alla elezione di Rohani, ma vengono ritenuti potenzialmente pericolosi per il regime, un regime che ha ben presente l’effetto del riformismo gorbacioviano sul regime sovietico.

Vi è poi la dimensione internazionale, e in particolare il fattore più importante: la risposta (o mancata risposta) degli Stati Uniti, all’occasione che si apre con l’elezione di Rohani. Il fatto che la Camera dei rappresentanti americana abbia approvato pochi giorni prima della inaugurazione di Rohani nuove e più pesanti sanzioni non è certo promettente, tanto più che sarebbe ben difficile per Rohani, esposto alle facili critiche dei conservatori, mantenere la disponibilità al dialogo di fronte a una chiusura americana. Il Presidente Obama, d’altra parte, sembra orientato in modo ben diverso, e subito dopo l’inaugurazione di Rohani il portavoce della Casa Bianca ha manifestato una apertura condizionata, dichiarando che se l’Iran dimostrerà di voler effettivamente trovare una soluzione alla questione nucleare «troverà negli Stati Uniti un partner disponibile».

Non va poi dimenticato Israele, dove Netanyahu – cui forse già manca Ahmadinejad, avversario ideale per giustificare il suo oltranzismo – insiste che Rohani è «un lupo travestito da agnello» e ha subito preso l’occasione di una dichiarazione di Rohani sulla Palestina (distorta e resa ben più minacciosa dalle stesse fonti iraniane nella traduzione inglese) per ribadire la tesi che l’Iran continua a perseguire la distruzione di Israele.

In conclusione, la scommessa di Rohani si basa sul realismo. Il realismo di un regime che non poteva continuare rischiare guerra e collasso economico continuando con la miscela assurda di provocazioni internazionali e dissennato populismo che ha caratterizzato la presidenza di Ahmadinejad. Ma soprattutto è una significativa prova di realismo dell’intero popolo iraniano cui certo contribuisce la storia recente della regione. Gli iraniani, anche quelli che sognano un dopo-ayatollah, non possono certo essere attratti né dalla vicenda dell’Iraq (un Paese dove il regime è stato rovesciato, ma è oggi spaccato da settarismi e violenze) né da quella della Siria, dove il costo del tentativo di rovesciare il regime di Assad comporta la devastazione del Paese e un futuro probabilmente tragico.

In questo senso risulta evidente tutta l’assurdità delle parole dell’esponente dei «Mujaheddin del popolo» (Mko) che, intervistato da La Stampa di lunedì, afferma che Rohani non potrà cambiare niente in quanto uomo del regime. Forse Rohani fallirà nel suo intento, ma il suo tentativo appare ben più credibile e razionale della improbabile proposta di rovesciamento formulata da parte di un movimento odiato dalla maggioranza della popolazione iraniana, che non dimentica che gli islamo-marxisti dell’Mko hanno contribuito al trionfo della rivoluzione khomeinista per poi passare al servizio di Saddam e combattere contro il loro stesso Paese, un po’ come i russi e ucraini anticomunisti che durante la Seconda Guerra Mondiale combattevano a fianco dei nazisti.

Forse anche noi – e mi riferisco all’Europa ma soprattutto all’Italia, che continua a godere in Iran di una forte simpatia in tutti gli strati della popolazione – dovremmo avere un po’ di speranza e andare presto a verificare, certo con cautela ma anche onesta apertura, la sostanza, e la sostenibilità, della proposta di Rohani.

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