Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/08/2013, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "«Au revoir, Paris». Così gli ebrei francesi riparano in Israele".
Giulio Meotti
Roma. A coordinare le partenze da Parigi c’era lui, Nathan Sharanski, che nel Gulag sovietico ha patito la persecuzione per far aprire la cortina di ferro agli ebrei che volevano andare a vivere in Israele. A Parigi Sharanski c’è andato in qualità di direttore dell’Agenzia Ebraica. “Non ricordo un numero così alto di persone interessate alla alyah dai tempi in cui ci si metteva in fila fuori dall’ambasciata israeliana a Mosca”, ha detto Sharanski dalla capitale francese, dove ha appena pattuito con le autorità l’esodo estivo di ottocento ebrei verso Israele. Un picco di emigrazione che non si vedeva dal 2004, quando durante la Seconda Intifada anche gli ebrei del Vecchio Continente subirono un’ondata di antisemitismo e a migliaia gli ebrei francesi marciarono per le strade della capitale alzando cartelli con scritto “Synagogues brûlées, République en ranger”, sinagoghe bruciate repubblica in pericolo, e dopo che il premier Ariel Sharon aveva invitato gli ebrei a rifugiarsi subito in Israele il presidente Jacques Chirac disse che il premier israeliano “non è il benvenuto a Parigi”. “Siamo sotto attacco”, hanno detto molti esuli francesi all’arrivo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv la scorsa settimana. Così quest’anno l’emigrazione ebraica dalla Francia vedrà un aumento del quaranta per cento. Israele si sta rivolgendo agli ebrei francesi con un messaggio martellante: “Tornate a casa”.
Così è trasmessa anche in francese, oltre all’inglese e all’arabo, “i24news”, una sorta di al Jazeera israeliana che trasmette da Haifa (per ora sul web, domani anche sul satellite). Domina la paura nel paese che ospita le più grandi comunità islamiche ed ebraiche d’Europa. Dopo la strage alla scuola ebraica di Tolosa, in cui rimasero uccisi un rabbino e tre bambini ebrei, Richard Prasquier, presidente del Conseil représentatif des institutions juives de France, aveva dichiarato che in Francia ha preso piede un “islam di guerra”, una “ideologia mostruosa” che ha paragonato addirittura al nazismo. Gli ebrei fuggono dai luoghi simbolo del multiculturalismo francese, i grandi agglomerati urbani come Sarcelles, Creteil, Sartrouville e Saint Denis, dove la sinagoga e la moschea si abbracciano e da anni ormai la tensione è altissima. E’ a rischio il rapporto di fiducia fra gli ebrei e la Francia, un paese che dal 1791 si vanta del motto “poiché gli ebrei non avevano una patria, il popolo francese ha deciso di offrirgli la propria”.
Non a caso il programma semi-ufficiale dell’Agenzia ebraica per incoraggiare i francesi alla alyah è stato chiamato “Sarcelles d’abord”, innanzitutto Sarcelles, un tempo nota come la “Gerusalemme francese” e già feudo elettorale di Dominique Strauss-Kahn. “I ghetti si stanno svuotando”, ha denunciato Sammy Ghozlan, presidente del consiglio di Seine-Saint-Denis, uno dei maggiori conglomerati urbani simbolo della comunità ebraica francesi. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, diffusi dal Service de Protection de la Communauté Juive, l’organismo che gestisce la sicurezza della comunità ebraica d’Oltralpe, c’è stato un boom di attacchi antisemiti nel paese dopo la strage alla scuola ebraica. Tre mesi fa il governo israeliano ha diffuso i dati dell’immigrazione nello stato ebraico. La Francia primeggia nella lista dopo Russia, Etiopia e Ucraina. Lo scorso maggio, cinquemila persone hanno visitato la fiera della alyah organizzata a Parigi dall’agenzia di Sharanski. La chiamano “Aliyah Tapis Rouge”, l’emigrazione sul tappeto rosso. E’ una emigrazione di qualità, sionista e spesso benestante. La fuga aumenta nei momenti di crisi Una fuga, quella degli ebrei francesi, che aumenta storicamente nei momenti di crisi. Dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, quando il generale Charles de Gaulle definì gli ebrei “quel popolo di elite, sicuro di se stesso e dominatore”, in cinquemila lasciarono il paese.
Adesso un quarto degli ebrei francesi starebbe seriamente pensando di lasciare la Francia. Lo ha rivelato un sondaggio apparso su Israel Magazine, primo mensile israeliano in lingua francese. A Parigi si consiglia agli ebrei di “camminare in gruppo”, mai soli. Meglio se sopra la kippah si indossa un cappello sportivo. Metà delle famiglie ebraiche di Villepinte, sobborgo proletario a nord della capitale, hanno lasciato il quartiere e la sinagoga locale, già incendiata nel 2011, così che non ha più fedeli neppure per il minyan di preghiera. Come reazione alla paura, oggi sempre più ebrei, anche se non religiosi, iscrivono i figli alle scuole ebraiche anziché far loro frequentare quelle pubbliche francesi. Joel Mergui, leader storico degli ebrei di Parigi, ha lanciato l’allarme: “L’emigrazione di massa rischia di svuotare la comunità della capitale”. L’analisi di Mergui è spietata: “Dei 600 mila ebrei in Francia, solo un terzo è in contatto con la comunità ed educa i propri figli nelle scuole ebraiche. Un terzo sta per essere assimilato e un terzo è sulla barricata”. Questo terzo è sulla strada per Israele. 50 mila ebrei hanno lasciato la Francia dal 1990 a oggi.
Ma accanto all’emigrazione vera e propria c’è un fenomeno nuovo e difficile da conteggiare. Quello dei 30 mila ebrei francesi che trascorrono gran parte dell’anno in Israele, ma che non hanno ancora preso la cittadinanza. Delle 800 coppie che ogni anno si registrano nel municipio di Parigi, metà celebra il matrimonio in Israele. L’antisemitismo corre anche sul web. Dopo mesi di resistenza, in nome del Primo emendamento, Twitter ha ceduto e per ordine della giustizia francese fornirà i dati per identificare gli autori di una serie di messaggi antisemiti che spopolano ormai nella rete francese. La decisione mette fine a un lungo contenzioso tra l’azienda e l’Unione degli studenti ebrei di Francia, i primi a denunciare l’ondata di tweet con gli hashtag #unbonjuif (un buon ebreo) e #unjuifmort (un ebreo morto), che dal 2012 avevano invaso le pagine del social network. Secondo molti osservatori è davvero la fine della gloriosa relazione fra gli ebrei e la Francia, simbolizzata dal gioiello dell’aeronautica militare francese creato dall’ebreo Marcel Dassault; dalla Quinta Repubblica fondata da Charles de Gaulle e che ebbe come suo primo premier e padre della Costituzione l’ebreo Michel Debré; dall’ebrea Simone Veil, primo presidente del Parlamento europeo eletto a suffragio; da Pierre Mendès-France, leader radicale, ministro dell’Economia del governo de Gaulle del 1944-45, presidente del Consiglio nel 1954-55, ispiratore del ’68; dal socialista Leon Blum, presidente del Consiglio del Fronte popolare. Stavolta è diverso.
Perché come dice Shmuel Trigano, autore di un libro sul futuro degli ebrei d’Oltralpe, “è un fenomeno generale, non una crisi passeggera”. Una fuga simbolizzata da personaggi ordinari ed eroici, come Frank Levy Louie. Già capo dei pompieri di Parigi, nel 2006 lasciò la Francia per prestare soccorso ad Haifa, allora sotto i missili di Hezbollah. Louie non è più tornato e oggi presta servizio a Eilat, la città del sud del paese. Poi ci sono le emigrazioni eclatanti, come il barone Edouard de Rothschild, erede della celebre dinastia ebraica e che ha fatto alyah da Parigi tre anni fa.
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