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La Repubblica Rassegna Stampa
05.08.2013 Usa, massima allerta per bloccare la minaccia di al Qaeda
cronaca di Massimo Vincenzi, intervista a Peter Bergen di Valeria Fraschetti

Testata: La Repubblica
Data: 05 agosto 2013
Pagina: 14
Autore: Massimo Vincenzi - Valeria Fraschetti
Titolo: «'Prepariamo un super-attacco'. Le intercettazioni di Al Qaeda che terrorizzano l’America - Usa, allarme senza precedenti per evitare che si ripeta Bengasi»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 05/08/2013, a pag. 14, l'articolo di Massimo Vincenzi dal titolo " 'Prepariamo un super-attacco'. Le intercettazioni di Al Qaeda che terrorizzano l’America ", a pag. 15, l'intervista di Valeria Fraschetti a Peter Bergen dal titolo " Usa, allarme senza precedenti per evitare che si ripeta Bengasi ".
Ecco i pezzi:

Massimo Vincenzi - " 'Prepariamo un super-attacco'. Le intercettazioni di Al Qaeda che terrorizzano l’America "

NEW YORK — Le stesse parole usate prima dell’11 settembre, la più grande minaccia da molti anni a questa parte, un attacco su larga scala: la domenica più lunga degli Stati Uniti si arricchisce di ora in ora di nuove paure. Nella notte di sabato, la Cbs rivela, citando fonti dei servizi, che il piano per colpire l’America è già operativo, i terroristi sarebbero dislocati nella zona dell’obiettivo e starebbero solo aspettando un segnale o l’occasione migliore per attaccare, ma non si conoscono i luoghi e i tempi. Obama non può festeggiare il suo 52esimo compleanno: si accontenta di un sorriso su Facebook e delle coccole della moglie Michelle: «Ti amo anche con i capelli grigi», ma il presidente non lascia Washington. Alla Casa Bianca va in scena un vertice presieduto dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Susan Rice, con il segretario di Stato John Kerry, il segretario alla Difesa Chuck Hagel, il segretario per la sicurezza del territorio nazionale Janet Napolitano, i capi di Fbi e Cia. La decisione è di alzare l’allerta anche all’interno del territorio nazionale oltre che di mantenere le misure di protezione anche nei prossimi giorni, come riferisce la Cnn. All’origine dell’allarme generale che ha portato alla chiusura (prorogata per la maggior parte delle ambasciate fino a sabato prossimo) di 22 sedi diplomatiche, sparse dal Nord Africa al Medio Oriente sino all’Afghanistan, e di un avviso ai turisti per tutto il mese di agosto, l’intercettazione di alcune conversazioni tra i leader della cellula yemenita di Al Qaeda. «Dobbiamo preparare un grande attacco dal significato strategico», si dicono i terroristi ascoltati dai servizi americani. Al centro delle trame il successore di Osama Bin Laden, Ayman al Zawahiri, che nei giorni scorsi è tornato più volte ad attaccare gli Usa, accusandoli dell’uso dei droni, chiedendo la liberazione dei prigionieri e invocando la rivolta permanente in Egitto. Altre volte, fanno notare gli analisti, i suoi proclami si sono rivelati in realtà messaggi cifrati per i gruppi pronti ad agire. A preoccupare poi gli esperti dell’intelligence sono gli ultimi assalti da parte dei jihadisti contro le prigioni in Siria, Libia, Pakistan e Afghanistan: centinaia di uomini sono tornati sul campo di battaglia e secondo l’Interpol che ha aperto un’indagine in proposito, l’aumentare delle intercettazioni pericolose è strettamente legato a queste fughe di massa. La paura è che ci possa essere una regia dietro queste evasioni. Resta difficile capire il tipo di minaccia: «Possono colpire con armi diverse e piani diversi», ripetono le fonti dell’intelligence. Le ambasciate sono il primo pensiero: possono essere colpite con attacchi kamikaze oppure con una strategia come quella usata a Bengasi. Anche per questo il segretario della Difesa Hagel, dopo un summit con i vertici del Pentagono, ha dato il via libera al trasferimento di truppe speciali nelle basi calde sulla linea del fronte. Ma anche obiettivi civili sono a rischio: nella penisola saudita operano esperti bombaroli come Ibrahim al Asiri, specializzato in esplosivi liquidi con cui distruggere aerei e treni. Il riferimento alle Torri Gemelle viene da Saxby Chambliss, uno dei politici più esperti nella commissione intelligence: «Le conversazioni intercettate negli ultimi tempi da parte di sospetti terroristi ricordano molto le frasi usate prima degli attentati dell’11 settembre». E il generale Martin Dempsey, capo degli stati maggiori delle Forze armate ai microfoni della Abc rivela: «Stiamo reagendo a minacce serie e specifiche. Le informazioni che abbiamo sono diverse dal consueto flusso di chiacchiere: in questo caso ci siamo trovati davanti a veri e propri piani organizzati».

Valeria Fraschetti - " Usa, allarme senza precedenti per evitare che si ripeta Bengasi "


Peter Bergen    Il cadavere dell'ambasciatore americano Chris Stevens

«Senza precedenti». Così la reazione alle comunicazioni di intelligence su un possibile complotto terroristico targato Al Qaeda viene definita da Peter Bergen, direttore del think-tank “New American Foundation” e autorevole analista di Al Qaeda. Ma l’esperto anglo-americano, che nel 1997 fu anche il primo occidentale a intervistare Bin Laden per una tv (la Cnn), tiene a sottolineare che la chiusura delle 22 sedi di rappresentanza Usa «va anche vista attraverso la lente della politica interna americana», dove le polemiche seguite all’attacco che lo scorso 11 settembre ha colpito il consolato di Bengasi, continuano a imperversare e a incrinare la credibilità dell’amministrazione Obama in tema di sicurezza e anti-terrorismo.
Professor Bergen, la minaccia di Al Qaeda, definita «seria» dagli Usa, appare anche molto circostanziata. Cosa si cela dietro questo tempismo?
«Siamo vicini alla fine del Ramadan e oggi (ieri, ndr.) è il Laylat al-Qadr, la Notte del Destino, una momento particolarmente sacro per i musulmani nel mondo: credono che in questo giorno il Corano sia stato rivelato a Maometto. Coloro che vogliono votarsi al martirio in nome della jihad la considerano pertanto una data di buon auspicio. Non a caso, nel giorno del Laylat al-Qadr del 2000, Al Qaeda lanciò un attentato suicida contro la nave militare americana Uss The Sullivan, a largo delle coste yemenite. L’attacco in realtà fallì, ma 10 mesi dopo venne messo a segno, con le stesse modalità, contro il cacciatorpediniere Uss Cole, e uccise 17 marinai americani. Inoltre, nelle ultime due settimane ci sono state fughe di massa dalle carceri libiche e irachene: alcuni evasi hanno importanti legami con Al Qaeda».
La cellula di Al Qaeda che più preoccupa gli Usa è nello Yemen. L’impressione è che le incursioni dei droni non stiano funzionando.
«Al contrario: Al Qaeda nella penisola arabica è sempre più debole. Negli ultimi tre anni sono stati uccisi 37 membri che ricoprivano ruoli importanti. Di recente il gruppo ha anche perso una parte dei territori meridionali che dominava. Ad ogni modo, gli yemeniti non sono mai riusciti a portare a termine un attentato terroristico all’estero».
E il resto di Al Qaeda, oggi, in che stato versa?
«È fortemente indebolita. Una rete incoerente, acefala, dai piccoli numeri. Anche perché la sua ideologia non è riuscita a fare presa sugli islamici in Europa e in America, benché questi vivano quasi sempre in condizioni socio- economiche svantaggiate rispetto agli occidentali».
Il rischio è definito «serio e credibile». Un’esagerata cautela di Washington che teme un nuovo assalto in stile Bengasi 2012?
«Certamente l’estensione dell’allarme denota la prudenza del governo. Lo spettro dell’assalto al consolato libico ancora perseguita, politicamente, l’amministrazione Obama e non cesserà di inseguirla. Lo scorso anno, le informazioni sulla possibilità di un attacco a Bengasi non vennero ascoltate. Ora il governo non può permettersi di sbagliare di nuovo».

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