Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 05/08/2013, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Teheran, Rohani s’insedia: 'Dialogo, ma basta sanzioni' ".
Maurizio Molinari, Hassan Rohani baciato da Ali Khamenei durante la cerimonia di insediamento
Hassan Rohani il 'moderato' fa gli interessi dell'Iran che sono opposti a quelli dell'Occidente. Sta al mondo occidentale fare i propri.
Se questo si verificherà, dipende dalle scelte che farà l'amministrazione Obama.
Ecco il pezzo:
Hassan Rohani si insedia come nuovo presidente della Repubblica Islamica dell’Iran ed è subito protagonista di un dialogo a distanza con l’amministrazione Usa. Nel discorso che pronuncia dopo il giuramento a Teheran, Rohani si rivolge all’Occidente chiedendogli di «abbandonare il linguaggio delle sanzioni». «Se volete ricevere risposte valide dovete rivolgervi all’Iran con il linguaggio del rispetto, non attraverso le sanzioni» dice Rohani, aggiungendo che ogni tipo di negoziato futuro richiederà «reciproca fiducia, mutuo rispetto e riduzione delle ostilità». Adoperando l’espressione «mutuo rispetto» Rohani si rivolge di fatto al presidente americano Barack Obama - che più volte l’ha usata auspicando il dialogo diretto - e la risposta della Casa Bianca arriva con una dichiarazione scritta del portavoce Jay Carney. «L’inaugurazione del presidente Rohani rappresenta un’opportunità per l’Iran di agire velocemente per rispondere alle profonde preoccupazioni della comunità internazionale sul suo programma nucleare» recita il testo della Casa Bianca, sottolineando che se «il nuovo governo si impegnerà seriamente e concretamente per rispettare gli obblighi internazionali e trovare una soluzione pacifica avrà un partner negli Stati Uniti». L’accento di Washington su «velocità» e «concretezza» lascia intendere la volontà di evitare il ripetersi di quanto avvenne durante la presidenza di Mohammed Khatami quando Rohani negoziando con l’Occidente sul nucleare fino ad arrivare alla sospensione del programma riuscì in realtà ad accelerarlo in segreto. A confermare la volontà di Rohani di dialogare con l’Occidente sembra essere la composizione dell’esecutivo: il ministro degli Esteri è Mohammad Javad Zarif, ex ambasciatore all’Onu con buoni rapporti con il vicepresidente Usa Joe Biden e il ministro della Difesa Chuck Hagel; al dicastero del Petrolio arriva Bijan Zanganeh, un tecnocrate che ricoprì questa carica con Khatami; all’Economia va Ali Tayyeb-Nia, un economista specializzato nello studio dell’inflazione che Rohani vuole ridurre perché fonte di grandi difficoltà per la popolazione. La scelta di destinare alla Difesa Hossein Dehghan, ex comandante dei Guardiani della Rivoluzione, e all’Intelligence Mahmud Alavi conferma invece come la sicurezza resta in mano a fedelissimi di Ali Khamenei, la Guida Suprema della Rivoluzione da cui dipende il programma nucleare. La presenza alla cerimonia di insediamento di Rohani dei diplomatici di oltre 50 nazioni straniere per la prima volta dalla rivoluzione khomeinista del 1979 - segnala l’interesse per le decisioni che adotterà di Rohani davanti alle sanzioni Onu contro il programma nucleare di cui l’Agenzia atomica (Aiea) sospetta la natura militare. Riguardo alle posizioni su Israele, Rohani venerdì aveva parlato di «una vecchia ferita che deve essere rimossa» - evocando il linguaggio adoperato dal predecessore Mahmud Ahmadinejad - mentre ora si dice contrario a «cambiamenti di confini e governi» ammorbidendo i toni. Sul fronte dei diritti umani, Amnesty International e Human Rights Watch si aspettano una diminuzione delle sentenze capitali ed aperture sulla sorte dei dissidenti arrestati, a cominciare dall’ayatollah Hossein Kazemeyni Borujerdi imprigionato nel 2006 perché ostile all’impegno in politica del clero sciita.
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