Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 04/08/2013, a pag. 17, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Se gli avamposti dell’Occidente si arrendono al terrorismo ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "La nuova Al Qaeda dietro le minacce agli americani". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 10, l'articolo di Massimo Gaggi dal titolo " La rivincita del Grande Fratello di fronte all’emergenza sicurezza ".
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Se gli avamposti dell’Occidente si arrendono al terrorismo "
Fiamma Nirenstein
Sarà un giorno indimenticabile per Al Qaeda e per tutto l'esercito jihadista del mondo, un vero esempio per far vedere all'Occidente chi è il padrone. Perchè un'ambasciata è territorio nazionale di chi vi è rappresentato, è sacro suolo patrio, gli ambasciatori rappresentano per intero gli interessi e i valori del loro mondo, e così i loro collaboratori. Dunque, i terroristi possono fare festa: gli Usa chiudono oggi, per una giornata o più, le loro ambasciate in 21 Paesi dislocati su una così grande porzione della carta geografica nel Medio Oriente, nell'Asia del Sud e nel Nord Africa, seguite in Yemen dalla Germania, dall'Inghilterra e dalla Francia. I viaggiatori americani devono restarsene chiusi in albergo (e anche là non si sta tanto sicuri, la storia dimostra).
La minaccia di attacchi terroristici, che non viene spiegata nei particolari, è stata definita tuttavia «molto più seria» di quelle solite, il New York Times parla di informazioni di intelligence «credibili» legate a intercettazioni telefoniche. In questi giorni di conclusione di Ramadan e di inizio di Eid el Fitr siamo a un anno preciso dagli attacchi alle ambasciate che, celebrando l'11 di settembre, si scatenarono con un certo successo in vari paesi musulmani. Al Cairo un gruppo di dimostranti che urlavano, «Obama Obama, siamo tutti Osama» riuscì a entrare tramite una breccia nell'ambasciata e a sostituire la bandiera a stelle e strisce con quella nera di Al Qaeda. Fu in quei giorni che l'attacco all'ambasciata americana di Bengasi portò all'assassinio dell'ambasciatore e di altri tre americani. Il gruppo aveva rapporti con il gruppo dell'Al Qaeda magrebina Aqim e, in Libia, con Ansar al Sharia. Fra gli attaccanti c'era un gruppo di egiziani esercitati da Muhammad Jamal al Kashet, un fedelissimo di al Zawahiri. Poi fu la volta di Sana'a in Yemen, dove l'ambasciata fu travolta dalle proteste guidate dal qaedista sceicco Maieed al Zindani, poi in Tunisia nel settembre 2012 l'ambasciata e stata saccheggiata da Ansar al Sharia, altro ramo di Al Qaeda. La minaccia adesso si ripete maggiorata, così seria da costringere in sostanza ad ammettere la propria impotenza.
La verità è che al Qaeda non è affatto «in fuga (on the run)», come ha detto Obama in campagna elettorale, ma anzi in un periodo di robusto recupero: gli affiliati di Al Qaeda-Iraq hanno attaccato Abu Ghraib e la prigione di Taji liberando 500 prigionieri, hanno fatto saltare 80 autobombe uccidendo 1000 iracheni, in Siria hanno aiutato a mettere in piedi, mandando il comandante Muhammad al Golani, l'organizzazione più estrema Jabat al Nusra, che ha preso la leadership della lotta dei ribelli. La Siria è diventata una roccaforte di jihadisti che vengono da tutto il mondo per combattere Assad, ma che si ripromettono usare il territorio per una jihad globale. Al Qaeda è forte nel Maghreb islamico e in Algeria, nel Mali, in Libia, in Pakistan.
Scrive Dore Gold, presidente del think tank Jerusalem Center for Public Affairs, che dal 2005, quando fece saltare tre alberghi a Amman, Al Qaeda punta a rovesciare il potere del re per conquistare la Giordania. Uno degli scopi è avere un comodo punto di partenza per distruggere Israele. La Siria è oggi, col Sinai, la chiave di un cambiamento strategico di al Qaeda con un solo scopo: il califfato mondiale. Chi non lo crede possibile dia un'occhiata alla carta geografica per capire fin dove il suo potere è riuscito a chiudere le ambasciate americane.
www.fiammanirenstein.com
La STAMPA - Maurizio Molinari : " La nuova Al Qaeda dietro le minacce agli americani"
Maurizio Molinari Ayman al Zawahiri
Ci sono i nuovi leader di Al Qaeda dietro la minaccia di devastanti attacchi terroristi che incombe sugli americani in Nord Africa e Medio Oriente per il mese di agosto. A rivelarlo sono le intercettazioni delle comunicazioni fra le cellule jihadiste - rivelate da «Wall Street Journal» e «Cnn» - secondo cui il piano sarebbe stato ordinato da Ayman al-Zawahiri, successore di Osama bin Laden alla guida di Al Qaeda, a Nasir alWuhayshi, il cui nome di battaglia è Abu Basir.
Ex segretario personale di Bin Laden in Afghanistan, veterano della battaglia di Tora Bora e scappato dalle prigioni di Sanaa nel 2006, lo yemenita Abu Basir è stato nominato da al-Zawahiri nuovo capo di Al Qaeda nella Penisola Arabica. Protagonista di scontri feroci contro le tribù sciite yemenite e convinto assertore degli attacchi kamikaze contro le navi occidentali che transitano per il Canale di Suez, Abu Basir proviene dal nucleo originale di Al Qaeda ed esprime la volontà di Al Zawahiri di ripristinare il controllo sulle cellule jihadiste disseminate nel mondo arabo, che negli ultimi anni hanno operato in maniera indipendente.
«La ripresa del controllo della galassia jihadista parte dallo Yemen - spiega Seth Jones, esperto di terrorismo di Rand Corporation - perché è qui che Al Qaeda ha la maggiore forza». L’attacco ha un obiettivo americano di rilievo: dovrebbe essere il segnale alle cellule del ritorno al comando del nucleo centrale di Al Qaeda, sebbene con volti nuovi. A fianco di Abu Basir spiccano Ibrahim al-Asiri, il trentenne saudita esperto di mini-esplosivi ad alto potenziale super-ricercato dagli Stati Uniti, e i comandanti locali in Iraq, Libia e Pakistan autori dei recenti assalti a prigioni che hanno portato a liberare almeno 2000 jihadisti.
Martin Dempsey, capo degli Stati Maggiori Congiunti, vede il rischio di «attentati multipli» di Al Qaeda contro obiettivi Usa dal Marocco al Bangladesh perché, se lo Yemen è considerato più a rischio dell’attacco iniziale, potrebbero seguirne altri in più nazioni. L’obiettivo strategico di al-Zawahiri sarebbe quello da lui indicato nel video-messaggio del 31 luglio: colpire ovunque l’America per obbligarla a liberare gli ultimi 168 detenuti di Guantanamo, a cominciare da Khalid Sheik Mohammed, l’ideatore degli attentati dell’11 settembre 2001. Nel video Zawahiri promette di «non risparmiare sforzi per liberare Khalid Sheik Mohammed» assieme ad altri due leader: Omar Abdel Rahman, lo «Sceicco cieco» mandante del primo attacco alle Torri Gemelle nel 1993, detenuto in North Carolina, e il pachistano Aafia Siffiqui, che sta scontando 86 anni in Texas per terrorismo.
CORRIERE della SERA - Massimo Gaggi : " La rivincita del Grande Fratello di fronte all’emergenza sicurezza "
Massimo Gaggi
«Minacce gravi e specifiche» avvertono i parlamentari della Commissione sull’intelligence del Congresso che ha ricevuto un’informativa (ovviamente riservata) dai servizi segreti sui motivi della chiusura precauzionale, oggi, di 21 sedi diplomatiche Usa nel mondo islamico. Come accade periodicamente da quel tragico 11 settembre di dodici anni fa, l’America torna a convivere col fantasma del terrorismo internazionale. Stavolta, però, è diverso. Un Paese che dall’attacco alle Torri gemelle in poi ha ceduto senza resistenze buona parte del suo diritto alla privacy e una fetta delle sue libertà allo Stato in cambio di più sicurezza, dopo le rivelazioni di Edward Snowden ha cominciato a chiedersi se il pendolo non sia andato troppo in là. Se, per prevenire attentati, sia davvero necessario sorvegliare a tappeto conversazioni telefoniche e traffico Internet. Se sia giustificato un clima da stato di guerra permanente che costringe la stampa a camminare sul filo del rasoio ogni volta che scrive di sicurezza nazionale: sempre a rischio di essere accusata di fornire informazioni al nemico. È stato lo stesso Barack Obama, nel suo discorso di due mesi fa sulla sicurezza, ad avvertire che, se non esce dalla mentalità della «war on terror», l’America rischia di danneggiare il tessuto delle sue garanzie democratiche. Ma, poi, è sempre il presidente democratico ad autorizzare gli omicidi mirati coi droni killer e lo spionaggio a tappeto, a tenere in scacco la stampa. Una contraddizione in gran parte inevitabile per i ruoli molteplici del presidente. Un leader politico con la formazione da costituzionalista che deve essere garante dei diritti, difensore della democrazia, interprete dei sentimenti del suo popolo. Ma al tempo stesso, da «commander-in-chief» dell’apparato militare e di intelligence, a volte deve autorizzare interventi per la sicurezza che comportano la compressione di alcuni di questi diritti. Per i teorici del complotto, il fatto che l’allarme-ambasciate arrivi quando il governo è sotto pressione per l’effetto che le rivelazioni di Snowden hanno avuto sull’opinione pubblica americana e sul Congresso è sospetto. Ma di segnali allarmanti se ne erano già visti diversi nei giorni scorsi e il fatto che anche Interpol e altri governi, da Londra a Berlino, siano in stato di massima allerta, indica che la minaccia è reale. Certo, in un momento in cui è costretta a remare controcorrente, la Casa Bianca non si farà sfuggire l’occasione per far notare ai cittadini americani che le informazioni sui possibili attentati sono state raccolte anche grazie alla criticatissime tecniche della Nsa.
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