Testata: Il Foglio Data: 02 agosto 2013 Pagina: 3 Autore: Pio Pompa Titolo: «Così la Libia è diventata l’albergo di tutti i guai del nord Africa»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 02/08/2013, a pag. 3, l'articolo di Pio Pompa dal titolo "Così la Libia è diventata l’albergo di tutti i guai del nord Africa".
La città di Bengasi, dove un anno fa sventolavano i vessilli neri di al Qaida issati sui fuoristrada nuovi forniti dalla coalizione che aveva abbattuto Gheddafi, è l’emblema del collasso politico e di sicurezza libico. L’avvocato e militante politico Abdessalem al Mesmari, uno dei più strenui avversari del Partito per la giustizia e la costruzione (Pgc) espressione dei Fratelli musulmani libici, è stato ucciso insieme a due ufficiali dell’esercito da un commando islamista. L’attentato, secondo fonti d’intelligence sentite dal Foglio, sarebbe opera della rete terroristica di Ansar al Sharia, localmente guidata dal libico Mohammad Ali al Zahawi, già responsabile dell’attacco del settembre dello scorso anno al consolato americano di Bengasi, in cui perse la vita l’ambasciatore americano Chris Stevens. Poi migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro le milizie armate, composte da oltre 200 mila ex ribelli, e contro i partiti politici, ritenuti all’origine della grave e sanguinosa instabilità interna. Al grido “il sangue dei martiri non è stato versato invano” i manifestanti si sono scagliati, sia a Bengasi sia a Tripoli, contro le sedi dei due principali partiti, l’Allenza delle forze nazionali (Afn) d’ispirazione liberale e il Pgc, danneggiandone le sedi. Nel frattempo, mentre montava la rabbia popolare e si chiedeva a gran voce lo scioglimento dei partiti e l’adozione di una Costituzione in grado di regolarne la natura politica, 1.100 detenuti sono riusciti a evadere dalla prigione di al Kuifiya nel cuore di Bengasi. L’operazione è stata resa possibile da uomini armati che hanno attaccato l’esterno del carcere in concomitanza con una rivolta dei detenuti. Tra i fuggitivi, in gran parte criminali comuni, figurano anche elementi che erano stati imprigionati per questioni legate al vecchio regime di Muammar Gheddafi. Sempre a Bengasi si sono verificate due grandi esplosioni nel Palazzo di giustizia e vicino all’ufficio del procuratore generale: con decine di feriti. “Il fatto è – dicono le nostre fonti d’intelligence – che la Libia, sotto l’effetto combinato della debolezza del governo centrale e della estrema porosità delle sue frontiere, è divenuta un porto di mare per i jihadisti nordafricani, asserragliati nella roccaforte del Fezzan, per i trafficanti di armi, di droga ed esseri umani. Gli stessi apparati di sicurezza libici sono fortemente compromessi con le formazioni jihadiste, al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) e Ansar al Sharia in testa, e le bande di miliziani armati dediti a ogni tipo di traffici. Il governo italiano, che ha il compito di coordinare gli interventi di stabilizzazione del paese, rischia di affondare nel pantano libico da cui tutti gli altri paesi, iniziando dalla Francia, si sono allontanati in tutta fretta. In Libia girano anche alcune armi di distruzione di massa, segnatamente quelle chimiche provenienti dall’Iraq e dalla Siria. Su di esse si starebbe concentrando l’attenzione di Aqmi e del super ricercato capo qaidista, Mokhtar Belmokhtar, reduce dal Mali e dalla strage di In Amenas, nel sud dell’Algeria”. Il primo ministro libico, Ali Zeida, ha annunciato la chiusura tardiva della frontiera con l’Egitto, motivandola con la necessità di impedire agli assassini di Abdessalem al Mesmari di passare il confine. In realtà a preoccupare Zeida è soprattutto il consistente flusso di membri dei Fratelli egiziani in fuga dalla repressione del generale Fattah al Sisi. Nel tentativo estremo di controllare in qualche modo la situazione, il premier ha comunicato l’intenzione di procedere a un rimpasto del governo che, nella nuova versione, sarà sottoposto al vaglio del Congresso generale nazionale (Cgn), che resta la più alta autorità politica e legislativa del paese.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante