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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.08.2013 Pecunia non olet
Il rapporto di Hitler e Mussolini con la Bank of England

Testata: Corriere della Sera
Data: 01 agosto 2013
Pagina: 11
Autore: Mara Gergolet - Dino Messina
Titolo: «La Bank of England aiutò i nazisti a vendere l’oro rubato ai cechi - Quei traffici segreti di Mussolini con la 'Perfida Albione'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/08/2013, a pag. 11, l'articolo di Mara Gergolet dal titolo " La Bank of England aiutò i nazisti a vendere l’oro rubato ai cechi ", l'articolo di Dino Messina dal titolo " Quei traffici segreti di Mussolini con la «Perfida Albione» ".
Ecco i pezzi:

Mara Gergolet - " La Bank of England aiutò i nazisti a vendere l’oro rubato ai cechi "

DAL NOSTRO INVIATO BERLINO — È una delle pagine più nere, e imbarazzanti, nel passato della Old Lady. Come svela un documento scritto negli anni Cinquanta — e pubblicato solo ora sul suo sito — la Bank of England, la «Vecchia Signora», ebbe un ruolo cruciale nel vendere l’oro di Hitler, sottratto dai nazisti dopo l’invasione della Cecoslovacchia.
Siamo nel 1939. A Praga nonostante l’accordo di Monaco, firmato nel settembre dell’anno prima, sono arrivati i tank del Führer. Sono i tesissimi mesi finali che precedono la guerra, in Inghilterra i beni del Reichstag, su ordine del governo, sono già stati congelati.
«Il 21 marzo — si legge nel documento pubblicato — il cassiere capo (della Bank of England, ndr) riceve l’ordine di trasferire circa 5,6 milioni di sterline d’oro (ai valori attuali 736,4 milioni, ndr) dal conto della BRI n.2 al conto BRI n.17. E sebbene non fosse affar suo, la banca era certa che il n.2 fosse il conto nazionale ceco e che il numero 17 probabilmente un conto della Reichsbank. La somma è stata trasferita in giornata, e una piccola parte il giorno dopo».
La BRI (BIS in inglese), ossia la Banca dei regolamenti internazionali, era stata creata per permettere le riparazioni tedesche dopo la Prima guerra mondiale. Nota anche come «la banca dei governatori centrali», era l’embrione del sistema finanziario europeo. All’epoca era guidata da Otto Niemeyer, direttore della Bank of England e braccio destro del suo governatore, Montagu Norman.
La sottrazione dell’oro dei cechi da tempo pesava sulla reputazione della BRI. Nulla invece si sapeva dell’intermediazione svolta della Bank of England che custodiva, nei sotterranei di Threadneedle Street, buona parte delle riserve auree della BRI. Non solo. I nazisti hanno provveduto subito a muovere i 2.000 lingotti d’oro arrivati sul conto del Reichstag. Tra il 22 e 31 marzo, 4 milioni sono andati alla National Bank of Belgium e alla Nederlandsche Bank, il resto è stato venduto a Londra.
Si scopre inoltre che c’è stata una seconda doppia vendita di oro nazista alla Bank of England nel giugno 1939: prima 440 milioni di sterline, poi un carico di lingotti per altri 420 milioni spedito da Londra a New York.
Qui cominciano le domande degli storici. Perché la Bank of England ha agito senza informare il governo britannico? Perché ha eseguito un’operazione a favore di un Paese con cui poco dopo gli inglesi sarebbero entrati in guerra? Molto si è discusso sulle simpatie filo-tedesche, almeno fino al 1939, del governatore inglese Norman, invitato a Berlino al battesimo del figlio del capo della Reichsbank. Ma dai documenti emerge anche un’altra verità.
I banchieri inglesi volevano preservare il sistema finanziario dalle interferenze della politica. Quando il governatore della Banca di Francia telefona a Norman, il 22 marzo, chiedendo che i due ministri del Tesoro mandino una nota congiunta di protesta alla BRI, perché ha fatto trafugare l’oro ceco sui conti tedeschi, Norman risponde che «è sbagliato e pericoloso per il futuro della BRI cercare di influenzare per motivi politici le sue decisioni» .
Perfino quando Downing Street si fa sentire, quando il cancelliere dello scacchiere chiede informazioni a Norman, il banchiere è evasivo. Lo informerà solo della seconda transazione. Una tragica ironia, quest’ostinazione dei banchieri a preservare per la ricostruzione dell’Europa il sistema finanziario, senza rendersi conto che attorno a loro l’Europa si stava già incendiando .

Dino Messina - " Quei traffici segreti di Mussolini con la «Perfida Albione» "

L’economia conosce strade che spesso la politica finge di ignorare fino all’assurdo della creazione di due mondi paralleli. È quanto avvenne per esempio nell’Italia della prima metà del Novecento nei rapporti con la Gran Bretagna, che era e rimase per una gran parte della nostra società il punto di riferimento principale, come oggi sono gli Stati Uniti. Dal punto di vista culturale e soprattutto economico. Non è un caso che Umberto I di Savoia, già scampato a due attentati, poco prima di morire sotto i colpi della rivoltella di Gaetano Bresci (29 luglio 1900) volle sottoscrivere con i Lloyds di Londra un’assicurazione sulla vita e i suoi eredi anche negli anni in cui il Regno Unito era diventato la Perfida Albione decisero di far gestire il capitale del premio assicurativo dalla Banca d’Inghilterra. Nel secondo dopoguerra l’Italia cercò senza successo di dimostrare che quei soldi spettavano alla Repubblica e non alla monarchia.
L’Inghilterra, anche dal punto di vista economico, del resto rimane centrale nei percorsi di Mussolini sin dalle origini. Risale al 1917 e alla fondazione del «Popolo d’Italia» un contributo di cento sterline alla settimana (circa seimila euro attuali) offerti all’ex leader socialista dall’agente dell’Intelligence britannica Samuel Hoare (futuro ministro degli Esteri durante la crisi etiopica). Così la Gran Bretagna, come ha ben raccontato Mauro Canali nel «Delitto Matteotti» (Il Mulino, 2004), ebbe un ruolo fondamentale in quella che viene considerata la prima crisi del fascismo e una delle sue più grandi vergogne. L’ultimo articolo scritto dal grande esponente socialista, prima dell’assassinio, fu pubblicato in Gran Bretagna ed era una denuncia dei «gravissimi casi di corruzione» riguardanti alti esponenti del fascismo che avrebbero dovuto appoggiare la convenzione della società petrolifera Sinclair Oil. In una lettera testamentaria l’assassino Amerigo Dumini sostenne che una tangente di un milione e mezzo era andata ad Arnaldo Mussolini, fratello di Benito.
Naturalmente dell’affare petrolifero si parlò pochissimo così come non venne dato grande risalto a una notizia che ai nostri occhi risulta clamorosa, cioè la cessione alla British Petroleum nel 1934 di tutti i pozzi di petrolio che l’Italia (con l’Agip) era riuscita ad accaparrarsi in Iraq. Un vero colpo di testa di Mussolini, il quale dopo aver giocato d’astuzia con la Gran Bretagna e le Sette Sorelle decise di cedere le concessioni perché aveva bisogno di soldi per finanziare l’impresa africana. Anche su questa storia è istruttivo un libro di Canali, «Mussolini e il petrolio iracheno. L’Italia, gli interessi petroliferi e le grandi potenze» (Einaudi, 2007). Pochi ricordano che l’Italia sanzionata dalla Società delle Nazioni conquistò l’effimero impero africano grazie al petrolio venduto dagli Stati Uniti.
Mentre il fascismo faceva la guerra ideologica alla Perfida Albione, che dal 1937 al maggio 1940 ebbe come primo ministro il campione dell’appeasement Neville Chamberlain, a Roma e Milano prosperava nella società reale un partito filo-britannico che aveva i suoi esponenti nella grande borghesia dei Lepetit, dei Piaggio, dei Pirelli. Mussolini del resto considerava un nemico politico uno dei maggiori esponenti del fascismo, Dino Grandi, ex ministro degli Esteri che negli anni Trenta ebbe un ruolo centrale come ambasciatore a Londra.
Con l’arrivo della guerra il bonario Chamberlain venne sostituito dal determinato Winston Churchill, che fu spietato nella lotta al nazifascismo ma che con Mussolini, come testimoniano anche scritti degli anni Venti, ebbe una relazione di stima (anche in funzione anticomunista). Ma questa è una storia diversa.

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