Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/07/2013, a pag. 15, con il titolo "Greggio Usa minaccia per l'Arabia" il commento di Maurizio Molinari.
Augurandoci che i timori dell'Arabia Saudita siano reali, aspettiamo con fiducia un Occidente finalmente libero dal ricatto arabo-petrolifero.
Maurizio Molinari
Riad vuole diversificare le fonti di reddito. Perché? «Lo Shale oil nordamericano costituisce una minaccia per l’Arabia Saudita». È Al Waleed bin Talal, principe miliardario e protagonista della finanza internazionale, a firmare una lettera aperta al ministro del Petrolio di Riad, Ali al Naimi per ammonirlo sul rischio di un corto circuito nell’economia del regno wahabita. «Nell’ultimo anno il 92% delle entrate dell’Arabia Saudita sono venute dal greggio – scrive Al Waleed nel testo, diffuso via Twitter – ma la domanda di petrolio nel mondo è in costante calo a causa dello Shale Oil nordamericano e dunque dobbiamo diversificare in fretta le fonti di reddito». Lo Shale Oil è il greggio che Usa e Canada hanno iniziato a estrarre dal 2008 grazie alla trivellazione orizzontale e al «fracking» che consentono di raggiungere giacimenti finora inesplorati a grandi profondità nel sottosuolo del Nordamerica. L’Opec prevede che nel 2014 la richiesta mondiale di greggio diminuirà di 250mila barili al giorno per l’aumento di produzione in Nordamerica e Al Waleed ritiene che questa tendenza «crescerà con il tempo» perché altre nazioni, a cominciare dalla Gran Bretagna, hanno deciso di estrarre lo Shale Oil che si accompagna spesso a riserve di Shale Gas. «La domanda di petrolio è in continuo declino e se non diversificheremo le entrate andiamo incontro a seri problemi di bilancio» ammonisce Al Waleed sollevando l’annosa questione del mancato investimento dei profitti energetici in altri settori industriali. L’affondo di Al Waleed punta a Naimi perché è stato il ministro del Petrolio, in occasione dell’ultima riunione Opec a Vienna, ad affermare che «lo Shale Oil non ci causa problemi» prendendo così le distanza da Nigeria, Algeria e Angola che lamentano una seria diminuzione dell’export verso gli Usa. La tranquillità di Naimi si deve al fatto che il petrolio estratto in Nordamerica è di un tipo più leggero simile a quello africano ma diverso dalla produzione saudita, che non si sente dunque a rischio. «La verità è l’Arabia Saudita aveva programmato l’aumento della produzione a 15 milioni di barili al giorno – afferma il principe Al Waleed – ma non è mai andati oltre 12,5 milioni perché la domanda è in calo e senza adottare delle veloci contromisure rischieremo di subire pesanti ripercussioni finanziarie». Dopo aver alimentato la incontenibile prosperità del regno per quasi un secolo il greggio si sta trasformando in un grattacapo per gli sceicchi.
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