Mai dire mai, c’è sempre spazio per un pò di ottimismo Commento di Federico Steinhaus
Testata: Informazione Corretta Data: 29 luglio 2013 Pagina: 1 Autore: Federico Steinhaus Titolo: «Mai dire mai, c’è sempre spazio per un pò di ottimismo»
Mai dire mai, c’è sempre spazio per un pò di ottimismo Commento di Federico Steinhaus
Federico Steinhaus
La sponda araba del Mediterraneo è in subbuglio, dalla Turchia alla Tunisia passando per la Siria e l’Egitto, ma forse questa volta dal Vicino Oriente ci potrebbero arrivare notizie che diano una chance alla speranza di pace. Pare che il governo israeliano si prepari a liberare 103 terroristi – molti dei quali arabi israeliani – che hanno scontato la maggior parte della pena alla quale erano stati condannati, come gesto di buona volontà per cominciare in maniera positiva la difficilissima trattativa con l’Autorità Palestinese; Abu Mazen a sa volta si sbilancia e pronostica un successo dell’impresa nella quale il segretario di Stato americano Kerry ha impegnato tutto sé stesso e che in partenza sembrava disperata, “mission impossible” era stata definita. E lo scorso 31 marzo l’Autorità Palestinese ha firmato un accordo con la Giordania per mezzo del quale conferisce a re Abdallah II il privilegio e le responsabilità di custode dei luoghi santi islamici di Gerusalemme: non si è trattato di un cambiamento sostanziale, dato che fin dal 1924 la dinastia Hashemita aveva questo ruolo, tuttavia questo accordo formale rafforza la posizione dei due firmatari nei confronti delle pretese dei Fratelli Musulmani (leggasi: Hamas a Gaza, Morsi che a quel tempo era ancora presidente in Egitto) e dell’Arabia Saudita (rivale religiosa della Giordania in quanto custode della Mecca), ponendo la premessa per più significativi accordi politici che in futuro potrebbero legare la Palestina araba alla Giordania, che ne è comunque parte. Come ai tempi di Oslo, giusto vent’anni fa, il silenzio delle parti è quasi totale e la stampa deve accontentarsi di elaborare ipotesi che si potranno rivelare sbagliate. Noi non ne faremo, ma a questo punto può essere utile dare un’occhiata al contesto nel quale i politici arabi ed israeliani si devono muovere. Cominciamo dal burattinaio, il paese che negli ultimi anni ha guidato le scelte di Hamas, di Hezbollah e della Siria – l’Iran, non più dominato dalla figura lugubre di Ahmadinejad ma ugualmente in mano agli ayatollah. In aprile l’Iran ha fornito a Hamas i missili Fajir 5 che hanno colpito Tel Aviv, e sia Hamas sia Jihad Islamica hanno ammesso che quasi tutte le loro armi offensive provengono dall’Iran. Se in Egitto l’esercito non avesse abbattuto il regime islamista dei Fratelli Musulmani, costringendoli a portare la guerra contro i nuovi padroni nel deserto del Sinai, e se questo cambiamento di rotta non avesse portato alla chiusura forzata dei tunnel del contrabbando verso Gaza, queste forniture di armi avrebbero potuto modificare gli equilibri di potere con Fatah ed anche con Israele stesso. E’ il medesimo Iran che pubblica nei media e nei siti web immagini stereotipe dell’ebreo desunte direttamente dal medioevo europeo e dall’iconografia nazista. Nessuno può illudersi che le attuali difficoltà nel mondo arabo costituiscano per la politica iraniana qualcosa di diverso da una parentesi, una pausa di riflessione e di rimodellatura di quella che dall’epoca di Khomeini, dunque da trent’anni, è una costante. I siti islamisti pubblicano intanto foto di numerosi “martiri” (italiani, spagnoli, belgi,albanesi, filippini, afghani, yemeniti, somali, marocchini, giordani, libici, egiziani, sauditi, tunisini, pakistani, azeri, iracheni, algerini) trattate con photoshop per illuminare i loro visi con sorrisi ed espressioni estatiche, e per essere ancora più espliciti li attorniano con immagini delle vergini che li attendono. Anche questo può servire al reclutamento ed alla glorificazione del terrorismo suicida. E nei territori dell’Autorità Palestinese cosa succede nel frattempo? Lo scorso anno Fatah aveva scelto il logo ufficiale che celebra il suo quarantottesimo anno dalla fondazione: vi sono raffigurate la Palestina senza Israele, la Cupola della Roccia , il mitra, la chiave che indica il diritto al ritorno dei rifugiati, e l’immancabile colomba della pace così maltrattata da Arafat. Lo scorso 6 maggio Al-Hayat Al-Jadida, quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese, ha pubblicato un articolo particolarmente significativo nel contesto della campagna di delegittimazione non solo dello stato d’Israele ma del legame del popolo ebraico con la Palestina, scrivendo che “i palestinesi sono i discendenti di Gesù” e che “la storia di Gesù è la storia del popolo palestinese”: “Gesù, il patriottico antenato palestinese...ha diffuso fra l’umanità il Nuovo Testamento, ed a causa di ciò gli ebrei lo hanno perseguitato fino a quando lo hanno catturato, crocifisso ed assassinato...Il movimento sionista...vuole esiliare e crocifiggere ora la nazione araba palestinese “. Per una strana coincidenza, lo stesso giorno il medesimo quotidiano ha pubblicato la notizia della visita - la prima in assoluto - resa dal ministro della Salute palestinese Hani Abdeen all’Ospedale Ein Karem Hadassah , nel quale il 30% dei bambini ricoverati sono palestinesi ed il cui staff sta istruendo professionalmente 60 medici e specialisti arabi inseriti nella struttura per consentire loro di tornare in Palestina con un nuovo bagaglio di esperienza. Ma l’Autorità Palestinese, e per essa Fatah, non smette neppure di onorare e glorificare i terroristi che hanno ucciso civili israeliani: il 22 luglio scorso sulla pagina di Facebook ha reso onore ad Abdallah Barghouti, che ha ucciso 61 “sionisti” nella pizzeria Sbarro di Gerusalemme, nel Cafè Moment di Tel Aviv, all’Università Ebraica di Gerusalemme , in autobus e per strada a Tel Aviv, e sta per questo scontando una condanna a 67 ergastoli; in questa impresa l’Autorità Palestinese ha anche trovato un valido aiuto nella Croce Rossa Internazionale, che insieme alla Mezzaluna Rossa nello scorso maggio ha piantato 150 alberi per onorare altrettanti arabi detenuti da molti anni nelle carceri israeliane a causa degli attentati commessi. A questo punto possiamo trarre una sola conclusione: la pace merita sacrifici (equamente suddivisi fra i contraenti) ma richiede anche un lavoro sui tempi lunghi, soprattutto in questo caso. L’Autorità Palestinese dovrà riconquistare il favore del popolo di Gaza, oppure l’Egitto si dovrà riprendere la Striscia anche se controvoglia, ma prima di tutto deve cessare la sistematica campagna di diffamazione, delegittimazione ed odio che da molti anni avvelena gli animi dei giovani palestinesi. Solamente su queste fondamenta si potrà sperare che la pace non sia solo un pezzo di carta ma uno strumento di convivenza.