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Il Foglio Rassegna Stampa
27.07.2013 La guerra in Siria divide il cuore religioso del mondo sciita
Commento di Tatiana Boutourline

Testata: Il Foglio
Data: 27 luglio 2013
Pagina: 3
Autore: Tatiana Boutourline
Titolo: «La guerra in Siria divide il cuore religioso del mondo sciita»

Sul FOGLIO di oggi, 27/07/2013, a pag.3, con il titolo "La guerra in Siria divide il cuore religioso del mondo sciita", Tatiana Boutourline analizza l'islam sciita.
Ecco l'articolo:

Milano. Nel complesso gioco di ambizioni e rivalità regionali e internazionali che soffiano sulla guerra civile siriana – che secondo il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha superato le centomila vittime – si allunga anche l’ombra di una battaglia silenziosa per il cuore del mondo sciita, un antagonismo antico che oppone le due città sante di Najaf e di Qom e due magisteri, quello del grande ayatollah Ali Sistani in Iraq e quello dell’ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema dello stato iraniano. La dirigenza iraniana è schierata compatta con Bashar el Assad, che combatte con successo grazie all’aiuto dei miliziani sciiti di Hezbollah e le armi provenienti dalla Russia. La Siria è stata anche definita la “trentacinquesima provincia iraniana” e a ogni incontro con il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, Khamenei incoraggia “il fronte della resistenza”. A Qom alcuni esponenti del clero hanno promulgato fatwe invitando i fedeli a mobilitarsi per la difesa dei luoghi sacri sciiti in Siria. Stando a un dispaccio della Reuters del 20 giugno, i leader delle milizie lealiste in Siria hanno registrato un’impennata nell’afflusso di combattenti, fonti del Foglio in Iraq confermano che i pronunciamenti dei religiosi iraniani hanno contribuito a facilitare il reclutamento di volontari in Iraq. Stando alla Reuters almeno 50 persone volano dall’Iraq verso Damasco ogni settimana. Il governo iracheno è ufficialmente neutrale nei confronti della crisi siriana ma non è un mistero che con il placet del premier Nouri al Maliki sopra i cieli iracheni abbiano viaggiato armi dirette in Siria. Al pari di Khamenei, a Maliki è invisa la prospettiva di una Siria dominata da una leadership sunnita, soprattutto mentre l’Iraq si avvita in una recrudescenza di violenze settaria. La posizione di Ali Sistani è invece stata oggetto di molte speculazioni. Nell’ottobre del 2012, un quotidiano kuwaitiano ha scritto che il grande ayatollah di Najaf si oppone all’uso della locuzione “bande armate” per definire l’opposizione siriana e ventilava un possibile incontro tra Sistani e i leader dei ribelli del Syrian National Council. Questa primavera è stata attribuita a Sistani una nota di biasimo nei confronti di Hezbollah, a giugno si è parlato di un’esplicita richiesta di Sistani a Nasrallah di ritirarsi dalla Siria. Non esistono conferme ufficiali: da Najaf, però, filtrano voci convincenti secondo le quali il primus inter pares della comunità sciita considera quella siriana una contesa politica e non religiosa. “Coloro che sono andati in Siria a combattere sono disobbedienti”, ha detto un’influente autorità clericale della città santa irachena citata dalla Reuters, secondo il religioso la difesa dei luoghi sacri in Siria è soltanto “un pretesto”. A Qom, invece, l’ayatollah Kadhim al Haeri, rispondendo a un fedele che si interroga sulla legittimità della presenza di miliziani stranieri in Siria, assicura che l’alleanza con i lealisti di Assad è equivalente a un “dovere religioso”. Quando cadde Saddam Hussein a Baghdad alcuni analisti, tra cui l’iraniano Amir Taheri, vagheggiarono l’ipotesi di un contagio quietista in Iran. Dopo le persecuzioni baathiste, Najaf sarebbe tornata a essere il Vaticano degli sciiti e l’influenza dell’ayatollah Ali Sistani avrebbe indebolito il potere delle gerarchie iraniane e la teoria del velayat-e-faghih (il potere supremo di un giureconsulto eletto a vita, nella fattispecie Ali Khamenei), magari sarebbe stato proprio il quietismo di Sistani a travolgere gli ayatollah di Teheran. Secondo l’iranologo del Washington Institute Mehdi Khalaji, questi auspici non tenevano conto del fatto che Khamenei controlla il network finanziario dei seminari di Qom, come mai nessuno prima di lui. La sua potenza economica si traduce in un’influenza che va ben oltre i confini iraniani e nel caso di Najaf il contagio rischia di essere al contrario. Molti esponenti di spicco della gerarchia iraniana hanno aperto uffici nella città santa irachena. A Najaf sono spuntate ong persiane e istituti culturali finanziati dall’ambasciata iraniana a Baghdad. Istituzioni iraniane come l’imam Khomeini non si occupano solo di spirito: aiutano i giovani a trovare lavoro, pagano stipendi mensili alle vedove, agli orfani e agli studenti di teologia e offrono soggiorni nei luoghi sacri iraniani e addirittura visite guidate al sancta sanctorum di Khamenei a Teheran. Il leader supremo ha aperto un ufficio a Najaf a pochi passi da quello di Sistani, la provocazione ha creato tensioni e Khamenei ha infine ceduto e spostato il suo quartier generale in città. Le macchinazioni iraniane sono tese soprattutto a controllare il dopo Sistani. Khamenei punta sull’ayatollah Hashemi Shahroudi, iracheno di nascita, ma ideologicamente fedelissimo alla causa di Teheran. Nel frattempo nei seminari di Qom e Najaf si scontrano fautori della linea Sistani e Khamenei. Non si tratta soltanto della storica diatriba tra lo sciismo politico rivoluzionario e quello tradizionale (a Qom si critica Najaf definendola inutile, a Najaf si schernisce l’ingordigia di Qom): a confrontarsi sono anche due diverse sensibilità nazionali. Rispetto a Qom, fisicamente e linguisticamente al cuore dell’Iran sciita, Najaf è stata chiamata a negoziare un modus vivendi con i sunniti e con il mondo arabo più in generale. Sistani ha cercato di minimizzare i conflitti anche perché Najaf si deve proteggere dalla demonizzazione antisciita. In un’intervista ad al Monitor del 2010 Sistani aveva detto: “Ciascuno ha il diritto di scegliere la sua religione nel rispetto degli altri, coesistendo in fratellanza”. Per contrastare gli assalti di Qom, Najaf deve difendere la sua identità “neutrale”, tattica o strategica che sia. Questo non vuol dire che la guerra fredda tra marja esploderà ferendo a morte “il fronte della resistenza di Khamenei” come hanno scritto alcuni quotidiani arabi. Significa però che nella mostrificazione della mezzaluna sciita si finisce per non vedere gli alleati nel campo avversario.

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