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Ugo Volli
Cartoline
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Per chi lavora il tempo? 24/07/2013
Per chi lavora il tempo?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

nel conflitto fra arabi ed israeliani, che riguarda l'esistenza stessa dello stato ebraico, ci sono molti episodi contingenti sia sul piano diplomatico che su quello legale, dell'opinione pubblica e naturalmente militare.
Non passa giorno, quasi, senza che uno di questi episodi abbia luogo, e anche negli ultimi giorni abbiamo avuto la nostra dose di sorprese, l'annuncio di Kerry sulla ripresa delle trattative, quello dell'Unione Europea col trucco per non mettere davvero sulla lista nera Hezbollah, ma solo la sua inesistente “ala militare”; sempre da parte dell'Europa il molto più serio boicottaggio degli ebrei che vivono in territori contesi (una sorta di nazista “Kauf nicht bei den Juden!”, molto al di là del rifiuto degli aiuti e delle collaborazioni finanziarie con l'Unione Europea, che non sono mai stati così importanti; anche i diritti individuali ne sono coinvolti, leggete qui per rendervene conto: http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/170200#.Ue6tX9JM-So

Sono cose che fanno rabbia o tristezza, mentre altre che magari fanno gioia non sono certo meno frequenti: i successi militari israeliani, le realizzazioni economiche tecnologiche e scientifiche, i progressi civili, la vita che continua. Ma sono anche questi episodi, gradini più o meno significativi della lunga scala della storia. Ma oltre a questi episodi per così dire momentanei troviamo, se sappiamo guardare, tendenze lunghe, che segnano la direzione in cui si sviluppano le cose.
Vi sono tendenze economiche, per esempio negli ultimi anni il grande sviluppo dell'alta tecnologia in Israele e l'inizio dello sfruttamento di numerosi giacimenti di idrocarburi destinati a modificare l'economia della regione; tendenze politiche, per esempio l'emergere dell'integralismo islamico come soggetto politico determinante nel mondo arabo e la frammentazione degli stati nati dalle divisioni successive al crollo dell'impero turco; tendenze militari come la progressiva importanza assunta dall'armamento missilistico sopra il terrorismo classico nei conflitti asimmetrici; grandi tendenze socioculturali come l'indebolimento e la perdita di volontà egemonica da parte dell'Occidente e in particolare dell'Europa e degli Usa. 

E vi sono tendenze demografiche che dovrebbero permetterci di capire come si modifica la popolazione e la sua composizione. In paesi come l'Italia, che forse a torto credono di avere una struttura stabile della loro popolazione, la demografia non è molto discussa (anche se il tema delle conseguenze dell'immigrazione non può essere affrontato senza considerare questa dimensione del problema) soprattutto di fronte agli esempi in molte zone della Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia, Austria ecc. dove il numero degli abitanti di cultura diversa da quella tradizionale -per lo più islamica- si avvicina e magari diventa superiore a quello dei cittadini originari, provocando sconvolgimenti e gravi conseguenze politiche, giuridiche, di ordine pubblico.  

Ma in un paese come Israele, dove gli ebrei sono stati a lungo oppressi, espulsi e costretti al ruolo di minoranza e hanno riconquistato la maggioranza grazie al grandioso movimento di ritorno alla patria ancestrale, il tema demografico è importante, molto considerato e discusso.
La demografia non è una scienza esatta, non almeno quando considera la realtà nella sua dimensione più complessa che comprende i movimenti migratori e i cambiamenti socioculturali che modificano la natalità. Sul breve periodo le proiezioni lineari delle tendenze verificate nel passato prossimo hanno buone probabilità di approssimare gli eventi; ma se si cercano previsioni più a lungo termine le proiezioni pure e semplici non funzionano più, bisogna tener conto di fattori politici e socioculturali e si entra nel campo delle opinioni - cioè, dato che si tratta di opinioni sugli sviluppi della società, ci si inoltra su un terreno tipicamente politico.

Bisogna dire che la demografia israeliana è sempre stata pessimista rispetto alla possibilità del popolo ebraico di stabilire una salda maggioranza nel proprio paese: dagli inviti a Ben Gurion perché non si imbarcasse in un'impresa impossibile alle previsioni di una maggioranza araba imminente nel territorio fra il Giordano e il mare, ripetuta molte volte, la demografia israeliana più accreditata accademicamente ha spesso dato ragioni di pessimismo, che di solito sono state sfruttate dalla sinistra (antisionista, postsionista, “diversamente sionista”, come si vuole chiamarla) per invocare cessioni di terre agli arabi e condannare l'”occupazione” di Giudea e Samaria. “Nel 1948, il professor Roberto Bachi, fondatore dell'Ufficio centrale di statistica dello Stato di Israele, dichiarò che entro il 1966 gli ebrei avrebbero perso la maggioranza in Israele e nel 2001 sarebbero stati solo 2 milioni e 300 mila, il 34% della popolazione. Ma nel 2011, in Israele vivono 6 milioni di ebrei: il 60% della popolazione locale (includendo i Territori), il 40% degli ebrei del mondo, e l'80% della popolazione dello Stato di Israele.” (http://www.massimolizzi.it/2012/01/demografia-israeliani-palestinesi.html )   Non sto affermando che le previsioni fossero motivate politicamente. Dico solo che queste previsione sono state sfruttate politicamente nel modo che ho accennato. E il catastrofismo continua: girando per Internet è facile trovare annunci sul fatto che gli arabi sono ormai maggioranza nel territoriio del mandato britannico, che il prossimo sindaco di Gerusalemme sarà un arabo, che fra vent'anni gli ebrei saranno il 35% della popolazione...

E' interessante sapere però che nel corso degli ultimi anni si è affermata un'altra linea di analisi della tendenza demografica, all'inizio molto emarginata, poi via via più popolare. La trovate testimoniata per esempio in questo articolo del Jerusalem Post.  http://www.jpost.com/Opinion/Op-Ed-Contributors/Israels-fast-evolving-demography-320574 . Un'esposizione più approfondita ed estesa si può leggere in questo documento di Yaakov Feitelson ( http://izsvideo.org/papers/Demographic%20Trends%20in%20Israel%202010%20Summary%20Update%20Eng,%20RL.pdf ) pubblicato dall'Institute for Zionist Strategies. Ne ha parlato anche Meotti su questo sito, riportando altre fonti (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=42847 ) I dati principali che emergono sono una diminuzione molto consistente del tasso di riproduzione arabo in Israele, nei territori palestinesi come nel resto del mondo arabo, cui si accompagna una forte crescita della fertilità ebraica, non solo fra gli haredim (ultraortodossi), ma anche fra le famiglie laiche e soprattutto nelle comunità in Giudea e Samaria. Il risultato è che nascono molti più figli ebrei che musulmani e che le due curve di fertilità sembrano destinate a incrociarsi, smentendo coloro che prevedevano una maggioranza araba nelle terre fra il Giordano e il Mediterraneo. Questo anche in ragione dei forti dubbi che si avanzano sui censimenti palestinesi, che sarebbero gonfiati intorno al trenta per cento, contando due volte gli abitanti di Gerusalemme Est, annoverando gli emigrati fra gli abitanti, non eliminando i morti e spesso inserendo numeri inesistenti.
Queste anomalie, che sulla carta sembrano abbastanza chiare, sarebbero dovute alla volontà di far valere i numeri gonfiati come peso politico e anche per ottenere più aiuti internazionali.

Beninteso, questo non è il mio campo di studi e io non ho naturalmente accesso ai documenti, dunque non posso esprimere un giudizio scientificamente fondato. Ma il fatto che si affermi una visione demografica diversa da quella tradizionale mi sembra molto interessante: perché naturalmente è bene che in una disciplina così complessa ci siano scuole diverse che si confrontano, evitando derive dogmatiche che rischiano sempre di ossificarsi in luoghi comuni. E anche perché si smentisce quell'altro luogo comune che vuole che “il tempo lavora per i palestinesi”.
Non è vero, o almeno non è stato vero finora. Israele nei suoi sessantacinque anni e nei quarantasei trascorsi dalla liberazione di Gerusalemme e dei suoi dintorni è progredito enormemente, ha vinto molte sfide col terrorismo, si è immensamente modernizzato, ha assorbito l'enorme ondata di immigrazione dall'ex Unione Sovietica, ha magari compiuto alcuni errori di eccesso di ottimismo e di “wishful thinking” (quel modo di pensare che scambia i desideri per la realtà) come gli accordi di Oslo, ha fatto vivere e crescere gli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria. Insomma è progredito in maniera straordinaria, mantenendo i suoi caratteri ebraici e democratici.
L'Anp non può certo vantare risultati neppure lontanamente paragonabili: regime corrotto e per nulla democratico, diviso dalla scissione con Hamas, non è stato capace di porre le basi per la propria autonomia, vive di elemosina internazionale che in buona parte viene rubata dai suoi dirigenti che non hanno la minima base democratica. Anche sul piano demografico, dopo quello militare, quello economico e tecnologico, sembra destinato a perdere non singole battaglie, quelle che prima ho chiamato “episodi”, ma la guerra, cioè la tendenza. Il fatto che sia appoggiato dall'odio antisemita del mondo islamico e di buona parte della sinistra occidentale non sembra sufficiente a farlo prevalere, per fortuna.

Ugo Volli  

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