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Ugo Volli
Cartoline
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Dove ci porta Kerry? 21/07/2013
Dove ci porta Kerry?
Cartolina da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,
l'avete certamente letto tutti: con pressioni, minacce e lusinghe, con un lavoro indefesso di diplomazia personale, John Kerry è riuscito a far approvare un incontro preliminare a Washington fra i delegati israeliani e palestinesi, che dovrebbe servire a organizzare della trattative, che dovrebbero portare a incontri diretti fra i leader che dovrebbero realizzare una trattativa di pace. Che ci fossero problemi più urgenti da quelle parti, la guerra civile in Siria che continua anche se i giornali non ne parlano più e fa centinaia di morti al giorno con la prevalenza di Assad contro cui l'America aveva scommesso, l'instabilità in Egitto, anche qui con la sconfitta della Fratellanza Musulmana appoggiata da Obama, la repressione in Turchia, l'Iran che produce indisturbato la sua atomica, la confusione in tutto il Magreb... be' non importa. Kerry voleva israeliani e palestinesi intorno a un tavolo e probabilmente li avrà, almeno per un paio di riunioni preliminari.

Dico probabilmente, perché fra le condizioni per raggiungere la riunione ci sono stati probabilmente diversi equivoci voluti e bluff: agli israeliani Kerry ha detto che i palestinesi rinunciavano alle loro precondizioni (le "linee del '67" assicurate prima della trattativa ecc.), mentre la riunione di Fatah aveva insistito proprio su questo e ai palestinesi aveva promesso la liberazione di ergastolani e il blocco delle costruzioni negli insediamenti oltre la linea verde, su cui le cose non sono affatto chiare nel sistema politico israeliano. Il fatto è che i bluff fanno parte della diplomazia, ma in un caso del genere sono certamente destinati a venir fuori all'inizio dei colloqui e quel che è facilitante ora renderà le cose più difficili dopo.

Ha fatto bene Netanyahu ad accettare le proposte di Kerry? Non lo so. Certamente la pressione dev'essere stata fortissima, anche il boicottaggio europeo ne ha fatto parte. Ma soprattutto Israele ha bisogno di un atteggiamento non ostile degli Usa per quanto riguarda il problema iraniano, che sta arrivando al punto decisivo e non poteva permettersi di snobbare la sua iniziativa diplomatica principale. Non sappiamo e probabilmente non sapremo per decenni come è andata per davvero la partita diplomatica fra lui e Obama, che è il vero protagonista dell'iniziativa che porta il nome di Kerry. Certamente Obama non è diventato un amico di Israele ottenendo la rielezione, sapevamo che non dovendo affrontare un nuovo passaggio elettorale avrebbe cercato di far prevalere la sua ideologia in Medio Oriente e nonostante l'evidente sconfitta della sua politica in tutto il mondo e in particolare da quelle parti evidentemente continua a voler passare alla storia come l'artefice dello stato palestinese. 

Per Israele piegarsi davanti a una pressione fortissima e anche compiere alcuni atti contro il proprio interesse, come liberare degli assassini che verranno onorati come eroi al ritorno a casa e molto probabilmente torneranno al terrorismo come hanno fatto molti di quelli che hanno avuto lo stesso percorso prima di loro, è ragionevole.  In fondo lo stato ebraico si era piegato due anni fa al ricatto di Hamas, solo per salvare la vita di un suo cittadino tenuto ostaggio dai terroristi e ha ragioni più importanti per mostrarsi flessibile ora. 

Ma non porteranno più vicini alla pace questi colloqui, ammesso che avvengano davvero? Io non credo. Innanzitutto, come dimostrano anche le acrobazie di Kerry, perché il minimo accettabile (anche sul piano tattico, non come obiettivo finale) dai palestinesi è di gran lunga più di quel che Israele può concedere senza mettere in crisi la sua sicurezza (per esempio sul piano dei confini e del loro controllo). Poi perché le due parti sono convinte che lo status quo convenga a entrambi: i palestinesi possono fare le vittime, ottenere finanziamenti e si affidano, probabilmente sbagliando, a una spinta demografica in grave declino. Gli israeliani sanno che le terre contese sono la loro sede naturale e pensano, probabilmente con un certo grado di illusione, che prima o poi il mondo voglia accettare il potere israeliano su Gerusalemme e dintorni, come ha preso atto dopo il 1870 della conquista italiana di Roma e di tutti i cambiamenti avvenuti in Europa dopo la prima guerra mondiale o dopo il 1989. 

Ma soprattutto c'è l'odio. Pensate che solo pochi giorni prima dell'annuncio del pre-accordo, c'erano state delle dimostrazioni a Ramallah contro gli incontri fra Olp e politici israeliani che cercavano il dialogo, motivate dal rifiuto della "normalizzazione" (http://www.jpost.com/Middle-East/Palestinians-protest-against-meetings-between-PLO-officials-Israeli-politicians-319888). E sempre pochi giorni fa i palestinesi avevano approfittato del Ramadan per vandalizzare le tombe dei patriarchi a Hebron, che pure dovrebbero far parte dell'eredità condivisa
http://elderofziyon.blogspot.it/2013/07/new-arab-head-of-cave-of-patriarchs.html). Pensate al continuo rifiuto di riconoscere il legame fra  il popolo ebraico e Gerusalemme (come se nel 1870, i francesi che difendevano il papa avessero detto che non c'era nessun rapporto fra il popolo italiano e Roma, che pure, a differenza di Gerusalemme, per un millennio e passa era stata la capitale dello stato vaticano... Trovate un esempio fra i tantissimi del negazionismo arabo qui: http://elderofziyon.blogspot.it/2013/04/miftah-attacks-judaism.html? ). Pensate all'esaltazione dell'omicidio che infesta la televisione palestinese, le sue scuole, la sua toponomastica, pensate all'odio che si continua a coltivare in tutto il mondo arabo. Insomma, qui non si tratta di fare la pace coi nemici, come spesso si sentre ripetere, ma con nemici che continuano a predicare il genocidio, che indicano gli ebrei come alleati del diavolo (guardate un esempio dedicato ai bambini qui: 

No, non credo che senza una preventiva descalation questi colloqui possano portare alla pace. Anzi, c'è una buona probabilità che portino alla guerra, o almeno a un'ondata terroristica furiosa, come accadde con i colloqui di Oslo, con le trattative fra Arafat e Barak con la cosiddetta seconda intifada, come accadde a Gaza e nel Libano del Sud dopo l'uscita israeliana. Gli arabi interpretano i gesti di pace israeliani come debolezza e attaccano per approfittarne. Speriamo che non accada anche questa volta.

Ugo Volli

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