a destra: Saeb Erekat, Tzipi Livni
Sul GIORNALE di oggi, 20/07/2013, a pag.14, con il titolo " Israele e palestinesi tornano a parlare di pace ", Fiamma Nirenstein commenta la ripresa dei colloqui fra Israele e i palestinesi a Washington la prossima settimana.
Fiamma Nirenstein
La settimana prossima, gli israeliani guidati da Tzipi Livni, e i palestinesi da Sa’eb Erekat, si troveranno a Washington con John Kerry per riaprire il processo di pace. L’ha annunciato Kerry stesso a notte alta da Amman. E’ una notizia rivoluzionaria, quasi impossibile, che restituisce agli Stati Uniti una statura notevole dopo tanti fallimenti in Medio Oriente, un’isola in mezzo alla tempesta. Dunque, comunque andranno le cose da ora in avanti, John Kerry ce l’ha fatta, è stato bravo, ha superato difficoltà impensabili: nonostante la fondamentale ostilità palestinese ai colloqui, nonostante la diffidenza di Netanyahu pressato da parte della sua coalizione a considerare i mille rifiuti palestinesi finiti in Intifada, nonostante la palla di fuoco che gli ha gettato fra le gambe l’Unione Europea con la sua presa di posizione sui Territori. Kerry con incredibile abilità diplomatica ha contentato Netanyahu che non voleva precondizioni alle trattative, e ha contentato i palestinesi che al momento hanno scambiato la liberazione dei prigionieri con la rinuncia a presentare all’ONU la richiesta unilaterale di uno Stato. Kerry ha costretto le parti ha tornare al tavolo delle trattative accogliendo le obiezioni di ambedue, abbracciando Netanyahu all’inizio e alla fine riuscendo a portare dalla sua anche Abu Mazen. La sua spola frenetica, la sua ultima tappa ad Amman dove lo ha raggiunto Abu Mazen, la sua ultima disperata visita a Ramallah ieri sera dopo l’ennesimo rifiuto, e il suo incontro con Sa’eb Erekat che guiderà la delegazione palestinese, la continua interlocuzione con Bibi, e anche un’improvvisa telefonata di Obamaa Netanyahu hanno raggiunto lo scopo. Fino all’ultimo minuto quando Kerry ha annunciato emozionato e stanco i risultati da Amman, il clima è rimasto tempestoso. Sul tavolo da parte dei palestinesi la condizione che la trattativa ripartisse dai confini del ‘67, lo stop alle costruzioni negli insediamenti, la liberazione di centinaia di prigionieri detenuti nelle carceri israeliane. Adesso non c’è quasi più niente di tutto questo. La discussione sarà, dice Kerry “sull’accordo finale”, la parola precondizioni non è stata menzionata. Il capo del Dipartimento di Stato ha espresso solo una pacata, quieta speranza di pace per “due Stati per due popoli”. Anche Israele ha rinunciato alla richiesta che i palestinesi dichiarassero dall’inizio il loro riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico. Adesso le condizioni preventive sono state abolite, e questo deve avere certamente implicato grandi promesse di sostegno nei confronti dei palestinesi. Le spinte intensive, accompagnate da promesse di aiuto economico e politico tendono a rimettere la trattativa sul terreno dei rapporti bilaterali. Kerry ha puntato molto sulla Lega Araba, di cui ha ottenuto l’appoggio e che ha spinto molto Abu Mazen ad accettare. Ne ha incontrato nove ministri degli esteri ad Amman, ed essi hanno risposto al richiamo degli USA che promettono stabilità in un mondo fortemente traumatizzato specie dagli eventi siriani e egiziani. Abu Mazen aveva portato giovedì la proposta al Comitato esecutivo dell’OLP ma non ne aveva ottenuto l’appoggio. Adesso una porta è stata aperta di nuovo. Abu Mazen ha bisogno di forza di fronte al continuo assedio di Hamas e di altre forze minacciose nella tempesta mediorentale, e Netanyahu sa di non potere fare a meno degli Stati Uniti mentre ai suoi confini il terremoto si dipinge continuamente di tinte antisraeliane. Anche ieri sono piovuti missili da Gaza mentre l’esercito egiziano dava la caccia ai terroristi nel Sinai. Netanyahu sente che anche se dall’interno del suo governo pioveranno le critiche e le minacce di rottura, la sua chance di giuocare il ruolo di stabilizzatore e di uomo di pace è in questo momento molto importante. Quanto ai palestinesi, la loro lunga tradizione di negazione dell’esistenza stessa dello Stato Ebraico, si farà presto sentire e creerà ostacoli difficili da superare. Ma tant’è: il giuoco vale la candela, gli Stati Uniti l’hanno giuocato fino in fondo e l’Europa, come al solito, con il suo cipiglio unilaterale, ha fatto l’ennesima brutta figura che poteva evitare.
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