Il commento di Fiamma Nirenstein
Fiamma Nirenstein
La deposizione di Morsi è certo difficile da digerire per quelli che hanno creduto nelle rivoluzioni arabe. I democratici dicono che un leader eletto, non può essere gettato via dall’esercito, anche se la deposizione è richiesta da gran parte della popolazione. Ma dice bene Bernard Lewis: le elezioni non sono un punto di partenza, ma un punto di arrivo per chi voglia vivere in uno Stato democratico. Specialmente nel mondo arabo. Anche Mubarak prendeva il 90 per cento dei voti,e questo non significava che avesse un programma democratico. Lo stesso è accaduto con tutti i rais di un tempo: percentuali altissime di voti, e neanche un briciolo di trasparenza o di disponibilità da parte del nuovo potere se non per i propri scherani e per le hamule ideologiche di appartenenza. Così è stato anche per Morsi, un nuovo Mubarak in forma di predicatore della Fratellanza Musulmana, uno che arrivato al ruolo di presidente dopo anni di persecuzioni e persino di prigione da parte del potere costituito si è tutto dedicato alla distribuzione dei posti importanti ai suoi amici della Fratellanza, ed è stato molto di più al loro servizio che non a quellodi un popolo misero, affamato biosgnoso di riforme e di pane.
Oggi, chiunque si metta dalla parte di Morsi e pretenda di difenere così la democrazia, è in mala fede. L’esercito golpista, che lavora a un nuovo governo provvisorio e cerca di combattere il terrorismo nel Sinai con un certo vigore, non viola una volontà popolare che non è mai rispettata, non distrugge nessuna istituzione democratica, che non è mai purtroppo stata creata.
Lo sanno benissimo anche i palestinesi che hanno appeso il ritratto di Morsi addirittura sull’ingresso della Moschea di Al Aqsa, uno dei principali simboli dell’Islam, quello che tutti i musulmano del mondo citano per spigare quanto sia impropria a Gerusalemme la presenza degli ebrei, quella il cui nome risuona in tutti i discorsi islamisti per parlare della riscossa jihadista che trasformerà il mondo in un califfato.
E proprio là, nella Moschea, venerdì scorso, durante la preghiera particolarmente solenne perchè si trattava del primo venerdì di Ramadan, sotto il ritratto di Morsi si è svolta una manifestazione in suo supporto.
E’ vero che i leader dell’autorità palestinese non hanno apprezzato questa scelta, e hanno dichiarato con Abu mazen, che l’Egitto ha i suoi affari interni ai quali i palestinesi non devono essere interessati. E’ evidente che Hamas, e non Fatah, è veramente interessata a sostenere Morsi, perchè li lega un rapporto perenne, quello dell’appartenenza alla Fratellanza Musulmana. E tuttavia quel ritratto sta là all’entrata della Moschea, e l’anima popolare dei palestinesi, e lo si è visto anche a causa di manifestazioni di strada degli arabi israeliani a favore di Morsi, prende ancora una volta la strada della religione, ancora una volta il collante non è la speranza di uno stato accanto allo stato ebraico, ma l’ideale panislamico di cui la Fratellanza è campione. Di nuovo i palestinesi, come è stato sin dai tempi di Arafat che invitava i bambini a diventare shahid, ovvero terroristi suicidi, per liberare Al Quds dagli ebrei, nuotano nellòa corrente della guerra di religione. Ha un bel dire Abu Mazen di biasimare Hamas per la sua esplicita presa di posizione. La verità è che la cultura diffusa anche da Fatah in questi anni, porta semnpre dalla parte dell’estremismo. Ai tempi di Saddam Hussein, quendo questi sparava missili su Israele, i palestinesi, che pure avevano qualche buona ragione per non amare la sua invasione del Kuwait, si arrampicavano sui tetti e danzavano invitando Saddam a colpire Tel Aviv e inneggiando al rais. Dal tempo della Spartizione la linea del rifiuto, via via nelle trattative con Rabin, Barak,Olmert, è sempre stata vincente. E ora non ci si vuole sedere senza precondizioni, non si vuole trattare, non sia mai che si arrivi a un accordo.. L’ombra del padre spirituale dei palestinesi Haj Amin al Husseini è sempre in un angolo che sorveglia i suoi.
Gli egiziani, che hanno la reponsabilità di una grande nazione, l’unica vera nazione araba non disegnata solo dagli accordi Sykes Picot ma anche da una storia millenaria,intanto rendono chiaro che per loro Hamas è un punto interrogativo, che non gli basta che sia membro della Fratellanza, ma che vogliono assicurazioni sul Sinai. Ovvero vogliono evitare che Hamas sia complice del continuo scorrazzare di terroristi che compiono attentati contro l’esercito. Hamas, che è in difficoltà perchè il suo migliore amico è andato in prigione e perchè non ha più rifugio in Siria, cerca di rifarsi sull’opinione pubblica palestinese, e in buona parte ci riesce. Non sono buone notizie per il processo di pace, e Kerry, in arrivo nell’area per la sesta volta, ne dovrà tenere conto.