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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Giornale Rassegna Stampa
14.07.2013 Turchia: il sultano Erdogan limita ancora il potere dell'esercito
commento di Vittorio Dan Segre

Testata: Il Giornale
Data: 14 luglio 2013
Pagina: 12
Autore: Vittorio Dan Segre
Titolo: «Erdogan fa il sultano e sfida le Forze armate»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 14/07/2013, a pag. 12, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo "Erdogan fa il sultano e sfida le Forze armate".


Vittorio Dan Segre                  Recep Erdogan

Nessuno avrebbe creduto che il premier Erdogan fosse un sultano nudo. Che a svestirlo e a politicamente sfidarlo fosse­ro stati proprio gli elementi- in­tellettuali, studenti, giornalisti (anche se il numero che teneva in prigione era superiore a quel­li incarcerati in Cina), tecnocra­ti, universitari, contadini urba­nizzati e male integrati nelle aree metropolitane)- che in 11 anni di guida del Paese il pre­mier aveva favorito, arricchito alimentando (tramite anche i social network) nuove ambizio­ni, desiderio di maggior libertà personale e famigliare. Ambi­zioni cui Erdo­gan reagisce con giri di vite, come la sostituzione delle guardie pri­vate nelle­univer­sità con i poliziot­ti, la repressione dell’annunciata manifestazione dei giornalisti per la libertà di stampa, e soprat­tutto con la modi­fica dello statuto delle Forze arma­te per ridurne il ruolo storico di garante dela laici­smo di Stato.
Che Erdogan fosse un leader autoritario, come del resto era stato Atatürk, lo si sapeva. Che fosse suscettibile e permaloso lo si era visto nel suo scontro a Davos con Shimon Peres e poi con il tentativo di rompere il blocco di Gaza. Ma Israele é un caso a parte. Che si fosse trasfor­mato in un sultano in giacca e cravatta - chiuso in sogni di grandezza politica, religiosa, imperiale per una Turchia trionfalistica (ambizione di ospitare future olimpiadi, 700 miliardi di nuovi investimenti per la trasformazione di Istan­bul in un centro borsistico inter­nazionale, creazione del più grande aeroporto del mondo, eccetera) pochi l'avevano capi­to. Ancor meno che la sua vitto­ria elettorale con il 51% di con­sensi fosse una frode. Erdogan aveva ricevuto una maggioran­za relativa del 34% che la legge elettorale premiava con la mag­gioranza assoluta, convinto di poterla mantenere per diventa­re presidente della Repubblica con i poteri assoluti di un sulta­no antico in vesti moderne.
All'interno del Paese la sua immagine non era stata incrina­ta dai suoi insuccessi in politica estera anzitutto perchè lo scon­tro con Israele con Cipro greca con l'alleato siriano il suo rifiu­to di collaborare con l’America in Iraq facevano ottimo mate­riale di propaganda. La «prima­vera araba » non aveva contagia­to la Turchia proprio perché araba, cioé fatta da popolazioni ex suddite imperiali ottomane che i turchi disprezzano e cui non perdonano il tradimento della Sublime Porta nella pri­ma guerra mondiale. Erdogan si sentiva sicuro perché con l'aiuto dell'Europa aveva deca­pitato l'esercito e imbavagliato i giudici, entrambi garante del­la laicità repubblicana. Quello che non si immaginava era di poter essere sfidato nel suo pre­stigio personale da una massa disordinata di ecologisti soste­nuti da twitter e da gente che ha compreso che la rivolta passiva fotografata e il grido tamtam «Erdogan vattene» é più forte di qualunque polizia. Una polizia che il premier ha promosso a scapito dell'esercito incapace di contenere una rivolta molto piu sociale che politica.
Le sue possibilità di cambia­re la Costituzione e farsi elegge­re a presidente della Repubbli­ca hanno ricevuto un colpo du­ro ma non certo mortale. Non può però commettere l'errore, da lui già minacciato, di far ri­corso all'esercito: tutto potreb­be cambiare per il peggio. Po­trebbe ridare fiato e orgoglio a un’istituzione che resta ancora fondamentalmente laica e desi­derosa di svolgere di nuovo un compito diverso da quello di combattere malamente i curdi.
Ma proprio con il voto parla­mentare che approva la modifi­ca del ruolo dei militari questa prospettiva viene ostacolata. Con la nuova versione dell’arti­colo 35 dello statuto delle Forze armate, esse non hanno più «il dovere di proteggere la Repub­blica e vigilare su di essa», ma solo di «difendere il suolo turco contro minacce dall’estero». Sarebbe interessante sapere co­sa sta passando nella testa dei militari stazionati nella Tur­chia europea, e in quella dei co­mandanti dell’aviazione, più vi­cina al regime.

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