Egitto ancora nel caos, Morsi sotto inchiesta cronaca di Fabio Scuto, intervista all'ambasciatore Amr Helmy di Alix Van Buren
Testata: La Repubblica Data: 14 luglio 2013 Pagina: 13 Autore: Fabio Scuto - Alix Van Buren Titolo: «Egitto, inchiesta su Morsi: 'Sovversione' - L’occasione sprecata dei Fratelli musulmani, volevano spingere il Paese indietro di secoli»
Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 14/07/2013, a pag. 13, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " Egitto, inchiesta su Morsi: 'Sovversione' ", l'intervista di Alix Van Buren ad Amr Helmy, ambasciatore d'Egitto in Italia, dal titolo " L’occasione sprecata dei Fratelli musulmani, volevano spingere il Paese indietro di secoli ".
Fabio Scuto - " Egitto, inchiesta su Morsi: 'Sovversione' "
Mohammed Morsi
IL CAIRO — Non sarà liberato per il momento l’ex presidente Mohammed Morsi, rovesciato la scorsa settimana dai militari incalzati da milioni di egiziani scesi in piazza contro il potere islamista. Venerdì al Cairo in decine di migliaia di sostenitori della Fratellanza musulmana si sono ritrovati davanti alla moschea Rabaa Adawiya a Nasr City per chiedere la sua “liberazione” e anche domani c’è un nuovo appuntamento della Confraternita in tutte le piazze d’Egitto. Ma nonostante la pressione della piazza, e quelle che vengono dall’estero (specie da Stati Uniti e Germania), il primo presidente islamista d’Egitto non tornerà libero, certamente non prima che la Procura generale del Cairo abbia esaminato i gravi capi d’imputazione di cui è accusato: sovversione e incitamento alla violenza. Un mandato di cattura, con le stesse accuse, insegue anche diversi dirigenti della Fratellanza musulmana, mentre altri cinque sono già in cella a Tora, nello stesso carcere che ospita l’altro raìs deposto, Hosni Mubarak. Le piazze al Cairo — quella islamista a Nasr City, quella dell’opposizione a Ittahadeia e sulla Tahrir — non cessano la mobilitazione, il “nuovo Egitto” del presidente ad interim Adly Mansour, del vice presidente Mohammed El Baradei, del premier Hazem Beblawi e del generale Abdel fattah al Sissi, il nuovo “uomo forte”, anche se lasciano una porta aperta alla Fratellanza musulmana, procedono con la formazione del governo che dovrebbe giurare la settimana entrante per iniziare a mettere mano alla roadmapnegoziata con i militari per elezioni entro sei mesi. Ma soprattutto cercheranno di varare misure per cercare di far uscire l’Egitto dalla più grave crisi economica della sua storia: nelle casse egiziane stanno per arrivare 12 miliardi di dollari — generosi prestiti di Arabia saudita, Kuwait e Emirati — che dovrebbero dare almeno sei mesi di fiato al bilancio dello Stato. Ma sono le condizioni di sicurezza a tenere in allarme l’Egitto. La violenza non cessa nel Sinai e centinaia di militanti della Fratellanza sono stati arrestati per possesso di armi. Un tentativo “insurrezionale” comincia a sedurre i gruppi fondamenta-listi più estremi, che potrebbero far precipitare l’Egitto in una spirale distruttiva. Tutta la Penisola è teatro di scorrerie di bande islamiche che attaccano check-point, commissariati di polizia, uffici governativi. Ieri ci sarebbero stati cinque morti negli scontri. L’esercito egiziano ha inviato truppe di rinforzo — dopo aver chiesto l’assenso a Israele come prevede il trattato di pace di Camp David — ma i gruppi integralisti si muovono rapidamente a bordo di fuoristrada. Anche ieri nuovi attacchi a Al Arish — la piccola città di pescatori diventata una roccaforte del crimine organizzato arabo e un santuario jihadista — e a Rafah, lungo il confine con la Striscia di Gaza, governata da Hamas, che è la filiazione palestinese della Fratellanza musulmana. Decine di uomini della milizia palestinese attraverso i tunnel del contrabbando sono entrati nel Sinai nei giorni scorsi per partecipare agli attacchi. Il generale Ahmad Wasfy, comandante del secondo corpo d’armata schierato nella penisola, ha annunciato che sono state smantellate numerose cellule criminali e sono stati arrestati numerosi combattenti appartenenti a Hamas.
Alix Van Buren - " L’occasione sprecata dei Fratelli musulmani, volevano spingere il Paese indietro di secoli"
Amr Helmy
«IN Egitto stiamo assistendo forse al primo esempio di “impeachement popolare”, e cioè la “messa in stato di accusa” di un presidente da parte del popolo. Un evento così non s’era ancora visto nella nostra storia: 30 milioni di persone, in piazza in una notte a esigere la destituzione di Morsi». Nei saloni di Villa Savoia a Roma, Amr Helmy, l’ambasciatore egiziano, un illustre curriculum di diplomatico, disegna uno scenario a suo avviso inedito sullo sfondo delle ribellioni arabe. Dal tumulto delle rivolte è emerso, dice, un nuovo polo: «È il potere della gente, intervenuto a scardinare il tradizionale equilibrio fra i due poli finora costituiti dall’esercito e dal partito dominante: fra i militari e i Fratelli musulmani». Signore ambasciatore, lei parla di volontà popolare, eppure anche Morsi era arrivato alla presidenza attraverso uno scrutinio elettorale libero e corretto. È così? «Proprio così. Però poi sono successe due cose fondamentali: innanzitutto, Morsi non ha mantenuto le promesse. Anziché aprire all’opposizione, ha distribuito incarichi ai Fratelli musulmani, posto sotto assedio la Corte costituzionale, censurato la libertà d’espressione. E poi, invece di risolvere le questioni pressanti - la disoccupazione, la povertà, l’inflazione, il sistema d’istruzione - la Fratellanza s’è affrettata a imporre codici di abbigliamento, il velo alle donne, la jalabiya, che è la tunica agli uomini; a ridurre l’età minima matrimoniale femminile a 9 anni; a minacciare la chiusura dell’Opera perché anti-islamica. Insomma, erano intenti a spingere l’Egitto all’indietro, di secoli». Però altri milioni di egiziani continuano a sostenere Morsi. Lei non teme il ripetersi di uno scenario algerino da Anni Novanta, quando l’esercito prese il potere dopo la vittoria del Fronte islamico? il Paese naufragò nella guerra civile. «Lo escluderei. Ogni Paese ha una propria identità, e l’Egitto non è l’Algeria. In più, è previsto un voto fra sei mesi, allora anche i sostenitori dei Fratelli musulmani potranno esprimersi. Però io non m’aspetto che la Fratellanza ottenga lo stesso numero di voti delle ultime elezioni». Perché no? «Perché Morsi ha sciupato un’occasione d’oro, la prima in 80 anni. Avrebbe potuto cambiare l’immagine dei Fratelli musulmani, dimostrare che sapevano governare un Paese grande e importante quanto l’Egitto. E invece, ecco il risultato: un’onda immane di scontento». L’intervento dell’esercito era necessario? «A volte lo è. Non potevamo aspettare le elezioni fra quattro anni. Abbiamo sprecato già decenni con Mubarak. L’Egitto merita molto più di questo. Voi occidentali continuate a parlare di golpe: invece noi parliamo di nuovo potere della gente, più decisivo rispetto a quello dei militari e del partito al governo. È questa la novità, che ha modificato l’equazione egiziana».
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