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Libero - La Nuova Bussola Quotidiana - Il Foglio Rassegna Stampa
13.07.2013 Egitto: continuano le proteste
cronache di Maurizio Stefanini, Valentina Colombo, Mattia Ferraresi

Testata:Libero - La Nuova Bussola Quotidiana - Il Foglio
Autore: Maurizio Stefanini - Valentina Colombo - Mattia Ferraresi
Titolo: «La sfida fra piazze finisce in pareggio. Mentre il Sinai è ormai una trincea - Egitto, un inquietante appello all'intifada - Il Pentagono tiene l’unico filo diretto con l’Egitto del generale al Sisi»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 13/07/2013, a pag. 18, l'articolo di Maurizio Stefanini dal titolo "  La sfida fra piazze finisce in pareggio. Mentre il Sinai è ormai una trincea". Dalla NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA, l'articolo di Valentina Colombo dal titolo " Egitto, un inquietante appello all'intifada ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo "  Il Pentagono tiene l’unico filo diretto con l’Egitto del generale al Sisi".
Ecco i pezzi:

LIBERO - Maurizio Stefanini : " La sfida fra piazze finisce in pareggio. Mentre il Sinai è ormai una trincea "


Sinai

Grande abbuffata di protesta al Cairo, a piazza Rabia al-Adawiya: la moltitudine del popolo dei Fratelli Musulmani portata con decine di pullman da tutto il Paese dopo aver manifestato agitando nelle mani copie del Corano e bandiere egiziane ha consumato collettivamente l’Iftar, la cena con cui al calar della sera si interrompe il digiuno del Ramadan, per chiedere la liberazione di Mohamed Morsi e la sua restaurazione al potere. Ma un’altra grande abbuffata di protesta c’è stata pure al Cairo, nella ormai leggendaria piazza Tahrir: la moltitudine delpopolo del movimento Tamarod a sua volta convocata da tutto il Paese dopo avere a sua volta manifestato ha a sua volta consumato collettivamente l’Iftar del primo venerdì di Ramadan, per chiedere che Mohamed Morsinon sia restaurato al potere. Ma lo stesso scenario di proteste contrapposte c’è stato anche a Alessandria. Mentrele opposte piazzemangiavano, il primo ministro designato ha cercato di andare avanti nella formazione del nuovo governo. Nominato martedì, Hazem el- Beblawi insiste nel voler offrire ministeri anche ai Fratelli Musulmani, sebbene questi non sembrano volerne sapere. La sua idea sarebbe anche di fare ministri esponenti salafiti e gente del Fronte di Salvezza. Ma anche i salafiti si chiamano fuori, mentre il Fronte di Salvezza anti-Morsi continua e esprimere riserve sul processo di transizione, anche dopo aver incassato la nomina del suo leader più notoMohamed ElBaradei alla vicepresidenza della repubblica. Insomma, se davvero riuscisse a mettere assieme tutti coloro che vuole mettere assieme, sarebbe come se da noi Letta riuscisse ad avere anche due o tre ministri indicati da Grillo! Per il momento si è dunque accontentato di nominare suo vice l'avvocato Ziad Bahaa el Din, membro del partito Socialdemocratico egiziano. Annuncia comunque colloqui con altre personalità, fa trapelare che i due terzi dei membri del suo governo sarebbero stati già individuati, e insiste che l’esecutivo nascerà in pochi giorni. REGIONE DI CONFINE
Malgrado la violenza di certi slogan, per il momento la situazione al Cairo e ad Alessandria rimane sotto controllo. Ma gli appelli di certi oratori pro-Morsi a “cerca - re il martirio” rischia di non essere mera retorica nel Sinai, la gravità della cui situazione è dimostrata dal fatto che Israeleha dato il via libera all’esercito egiziano per schierare in questa regione di confine forze e carri armati in proporzioni che non sarebbero in teoria consentite dal trattato di pace tra i due Paesi, che proprio nel Sinai si combatterono nel 1956, nel 1967 e nel 1973. Ma le tribù beduine locali, da tempo attive nel contrabbando verso Gaza, sono ormai sempre più infiltrate da jihadisti che intendono trasformare la penisola già teatro delle peregrinazioni di Mosè in una loro roccaforte comparabile a quel che è la zona di frontiera tra Afghanistan e Pakistan per i Taleban o il nord del Mali per Al-Qaida nel Maghreb Islamico. Anzi, senza scomodare i qaidisti che pure ci sono, ormai è direttamente Hamas che sembra essere scesa in campo per sostenere con le armi la causa del suo grande sponsor Morsi. Ieri mattina le forze di sicurezza egiziane hanno arrestato nel Sinai tre armati palestinesi che stavano preparando attacchi, e nei giorni scorsi ben 32 militanti di Hamas sarebbero stati uccisi dall’esercito egiziano in circostanze simili. Hamas è stata anche accusata dalla magistratura di aver aiutato Morsi e altri 30 leader dei Fratelli Musulmani dal carcere Wadi el-Natroun durante le proteste del 2011. L’INCRIMINAZIONE DI MORSI Le prove del coinvolgimento di militanti del gruppo palestinese sarebbero state raccolte dalla corte della città di Ismaiylia, sulCanale di Suez, che avrebbe a disposizione una serie di testimonianze. L’indagine potrebbe preludere a un’incri - minazione dello stesso Morsi, di cui per ora è stato rassicurato dal governo che non è «né agli arresti e né sotto accusa»: un’incriminazione peraltro ai limiti del surreale, visto che quando Morsi è evaso era ancora al potere Mubarak, di cui anche il nuovo governo è d’accordo nel dire che era un dittatore. A favore di Morsi è intervenuto il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, che ha chiesto di rimuovere tutte le restrizioni alla sua libertà ed ha anche esortato tutte le parti ad astenersi dalla violenza. Dopo l’ingente finanziamento deciso di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait al nuovo governo è arrivato comunque un altro importante sostegno con la decisione del Pentagono di confermare l'invio al Cairo di quattro jet F16, parte di un accordo di vendita firmato lo scorso anno. Anche se in teoria Barack Obama avrebbe ordinato una rivalutazione dei programmi d'aiuto americani per il governo egiziano.

LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA - Valentina Colombo : "Egitto, un inquietante appello all'intifada"

rivolta popolare
Valentina Colombo

L’appello lanciato nei giorni scorsi da esponenti dei Fratelli musulmani a intraprendere un’ennesima intifada, questa volta in Egitto, ha scatenato la curiosità e la preoccupazione di alcuni analisti. Il giornalista britannico Adel Darwish ha lanciato su Facebook la seguente richiesta: “Domande agli amici in Egitto. Devo dedurre qualcosa dal richiamo da parte della leadership dei Fratelli musulmani a una rivolta utilizzando però una parola non egiziana, ma aliena come intifada? Nei trent’anni in cui mi sono occupato della regione non mi è mai capitato di vedere o di sentire un egiziano usare questo termine se non con riferimento alla ribellione palestinese iniziata nel 1989 e certamente mai in un contesto egiziano. Ho la sensazione che la scelta delle parole abbia un significato. Idee, per favore?”

Un dato è certo: la parola intifada non è contenuta nel testo coranico e non ha uno specifico riferimento religioso. Ed è per questo che risulta strana se pronunciata dai Fratelli musulmani, il cui lessico è marcatamente religioso o da leggersi in un contesto islamico. Scartata l’ipotesi religiosa, essendo Hamas la filiale palestinese dei Fratelli musulmani, potrebbe trattarsi di un parallelo con le due intifada contro l’occupazione israeliana. Tuttavia prima di giungere a una soluzione, anche se ipotetica, occorre ripercorrere la storia dell’intifada nel mondo arabo. In epoca contemporanea la prima intifada degna di menzione è la cosiddetta “intifada di marzo”. Era il 1965 e in Bahrein scoppia una rivolta, guidata da movimenti di sinistra, contro l’ingerenza britannica nel paese e contro i sovrani locali. Il motto dei manifestanti è “Basta con il colonialismo!” Al movimento si uniranno anche i nazionalisti arabi che si ispiravano a Nasser. I giornali dell’epoca riportano che tremila manifestanti scagliarono pietre, che in Palestina saranno il simbolo della rivolta, contro gli uffici della Bahrain Petroleum Company, rea di avere licenziato quattrocento cittadini del Bahrain. Nel 1970 è la volta del Sahara spagnolo e della cosiddetta intifada di Zemla. Anche in questa occasione ci si vuole affrancare dai colonizzatori e i manifestanti lanciano sassi.

Nel 1977 in Egitto, ed è questa la prima volta in cui viene utilizzato il termine nel paese dei Faraoni, si assiste alla celebre “intifada del pane”. Tutto inizia nel 1974, quando il presidente egiziano Sadat decide un avvicinamento agli Stati Uniti e all’occidente, segnando un cambiamento radicale rispetto al suo predecessore Nasser. L’obiettivo è quello di attirare investimenti stranieri nel paese. Nel 1976 Sadat prende prestiti dalla Banca Mondiale con l’impegno di ridurre i sussidi statali. Il 17 gennaio 1977 l’annuncio della cancellazione di circa trentamila dollari di sussidi incendia gli animi e il giorno seguente iniziano manifestazioni e scioperi che portano a scontri tra polizia e protestanti e ad attacchi contro uffici statali e governativi. Il 19 gennaio il governo è costretto a cancellare i decreti. Dal 1987 al 1993 scoppia la prima intifada palestinese, seguita da una seconda dal 2000 al 2005 circa. Obiettivo, come si è detto, è l’occupazione israeliana. Una rivolta popolare che ben presto si ammanta di motivazioni e giustificazioni religiose come si evince dallo Statuto di Hamas.

Dopo l’assassinio di Rafiq Hariri nel 2004 anche il Libano vive la propria intifada per l’indipendenza. A differenza degli altri casi esposti si tratta di una rivoluzione pacifica, dove l’unica bandiera ammessa è quella libanese, a indicare l’unità nazionale. Tuttavia anche in questo caso si vuole cacciare un’ingerenza, quella siriana, al grido “Syria Out”. Quanto appena esposto ci porta ad almeno due conclusioni certe: il termine intifada viene usato non solo in riferimento alla Palestina ed è presente nella storia d’Egitto del secolo scorso.

A spiegare l’uso da parte dei Fratelli musulmani in questi giorni viene in soccorso un articolo dal titolo “La grammatica dell’intifada”, pubblicato nel 2005 sul sito Islam Online vicino alla Fratellanza. Qui si legge: “La parola intifada (letteralmente “agitare”) suggerisce una semantica interessante e un paradigma culturale nel contesto del mondo arabo-islamico. La radice della parola intifada è nafada che significa agitare o rimuovere. Il significato attuale della parola è “un movimento creativo che genera qualcosa di nuovo da qualcosa di vecchio.” Il significato implicito è che ciò che viene rimosso – l’occupazione sionista della Palestina – non ha radici profonde”.

E’ probabilmente quest’ultimo il significato che più calza alla situazione egiziana degli ultimi giorni. Un cambio di potere voluto dal basso, ma non ancora radicato. Un cambiamento che dai Fratelli musulmani è considerato un vero colpo di Stato ai danni di un presidente democraticamente eletto, quindi una sorta di “occupazione” del potere. Quindi un’intifada contro l’occupante illegittimo da “rimuovere” al più presto prima che metta radici. Questa volta però la Fratellanza non ha fatto i debiti conti con la base e con il popolo che ha voluto la cacciata di Morsi e che ha capito che l’islam non è la soluzione, e si è ribellato.

Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : " Il Pentagono tiene l’unico filo diretto con l’Egitto del generale al Sisi "


Barack Obama

New York. “Morsi deve essere rilasciato”: la richiesta ufficiale del dipartimento di stato americano arriva nel primo venerdì di preghiera dall’inizio del ramadan, nel quale le opposte fazioni di manifestanti sono rimaste nelle piazze del Cairo ma hanno spinto il grosso delle manifestazioni oltre il tramonto, alla rottura del digiuno. Soltanto un leggero rallentamento dei conflitti che non ha affatto l’aria di una tregua dopo una settimana in cui almeno 90 persone sono rimaste uccise negli scontri di piazza. Decine di migliaia di sostenitori del presidente destituito e imprigionato, Mohammed Morsi, si sono assiepati davanti alla moschea di Rabaa al Adawiya per poi spostarsi davanti alla sede della Guardia nazionale, reiterando le accuse di tradimento ai golpisti. “Siamo pronti a rimanere qui per un mese, due mesi, un anno o anche due anni”, è la promessa dei sostenitori dei Fratelli musulmani sintetizzata dall’imam salafita Safwat Hegazi da un palchetto improvvisato. Ieri il primo ministro nominato dai putschisti, Hazem el Beblawi, ha scelto come suo vice l’avvocato ed economista Ziad Bahaa el Din, un tecnico del Partito socialdemocratico dal basso profilo politico. La nomina rappresenta una manovra leggermente distensiva, perché il laico el Din non è particolarmente inviso ai salafiti di al Nour. Non è l’apertura a un governo trasversale promessa da Beblawi, ma il primo ministro in questi giorni sta tenendo le consultazioni per annunciare, nei prossimi giorni, un governo di transizione. Nella piazza divisa su tutto tranne sull’antiamericanismo i negoziati con Washington sono però la variabile fondamentale. Dopo settimane di trattative gli Stati Uniti chiedono la liberazione del presidente destituito ma evitano ancora di definire “golpe” la detronizzazione di Morsi – il che comporterebbe la sospensione degli aiuti economici, 1,3 miliardi di dollari l’anno – e mentre definiscono “non democratico” il governo dei Fratelli musulmani benedetto da Barack Obama confermano l’invio dei quattro F-16 inclusi in una commessa militare già siglata. Un gesto di buona volontà per propiziare i negoziati americani guidati dal ministro della Difesa, Chuck Hagel, che ha aperto un canale privilegiato con il capo delle Forze armate egiziane, Abdel Fattah al Sisi. Se il segretario di stato, John Kerry, funge da mediatore con i leader dell’area entrati con zelo e denari nello scenario egiziano e cerca di sedare l’animosità bipartisan della piazza verso l’ambasciatrice Anne Patterson, Hagel è l’uomo che parla direttamente con al Sisi, forte di una relazione forgiata due mesi fa in occasione di una visita al Cairo. Hagel ha cercato invano di convincere il generale a non destituire Morsi, ma quando la situazione è precipitata le telefonate si sono fatte più insistenti e ora il capo del Pentagono chiede garanzie sul governo di transizione, che Washington spera non abbia i tratti espliciti di un fantoccio nelle mani dei militari. Diverse fonti della Casa Bianca dicono che nelle conversazioni con al Sisi – carattere pragmatico e diretto, perfetto per il linguaggio senza orpelli del veterano – Hagel si sia discostato spesso dai “talking points” preparati dal gabinetto di guerra della Casa Bianca, e in particolare dal consigliere per la sicurezza nazionale, quella Susan Rice dalla quale è partita la mozione di sfiducia verso un governo Morsi diventato insostenibile per gli americani. Per quanto le pressioni di piazza e la diplomazia contino, la crisi egiziana rimane una questione militare, anche per Obama.

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