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La Repubblica Rassegna Stampa
11.07.2013 Egitto: il governo fallimentare dei Fratelli Musulmani dimostra che non c'è democrazia islamica
commento di David Brooks. Lucio Caracciolo ancora affezionato all'illusione della democrazia islamica

Testata: La Repubblica
Data: 11 luglio 2013
Pagina: 1
Autore: Lucio Caracciolo - David Brooks
Titolo: «Quando i carri armati interrompono la democrazia - Un golpe necessario»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/07/2013, a pag. 35, l'articolo di Lucio Caracciolo dal titolo " Quando i carri armati interrompono la democrazia ", a pag. 36, l'articolo di David Brooks dal titolo " Un golpe necessario ".

La migliore risposta all'articolo di Lucio Caracciolo è il pezzo di David Brooks, il quale chiarisce il motivo per cui quello dei Fratelli Musulmani, anche se 'democraticamente eletto', non aveva nulla a che vedere con la democrazia.
Come scritto anche nelle poche righe di presentazione del pezzo di Brooks "
È ormai palese come questi tipi di movimenti (islamici, ndR) non solo al Cairo, ma anche in Turchia, in Iran e a Gaza, siano incapaci di guidare un governo moderno basato su pluralismo e tolleranza ".

Ecco i pezzi:

David Brooks - " Un golpe necessario "


David Brooks

È ormai palese come questi tipi di movimenti non solo al Cairo, ma anche in Turchia, in Iran e a Gaza, siano incapaci di guidare un governo moderno basato su pluralismo e tolleranza 

Il dibattito sull'Egitto si svolge tra coloro che danno importanza alla forma e coloro che la danno al contenuto. I primi hanno affermato che il governo del presidente Mohamed Morsi era stato eletto liberamente e che il sostegno democratico ricevuto era stato più volte confermato. La cosa più importante in assoluto, secondo loro, è difendere le fragili istituzioni democratiche e contrastare chi vorrebbe annientarle con un colpo di stato. La democrazia - si sostiene - finirà col placare l'estremismo. I membri della Fratellanza potrebbero anche arrivare al governo con le lo ro idee radicali, ma poi si troverebbero a dover porre rimedio ai guai eaquel puntosi preoccuperebberodel ratingdelcreditoedel favore di cui godono presso l'opinione pubblica. Governare li renderà più moderati. Quanti danno importanza al contenuto, invece, sostengonochei Fratelli musulmani sono caratterizzati da ideee principi ben precisi. Rifiutano il pluralismo, la democrazia laica e, per taluni aspetti, la modernità. Quando si eleggono dei fanatici - così prosegue il loro ragionamento - non si dà vita a una democrazia avanzata: di fatto si dà potere a chi innesca uno sconvolgimento della democrazia. Cib che conta è estromettere dal potere questo tipo di persone, anche se dovesse rendersi necessario un golpe. L'obiettivo è indebolire l'Islam politico, con qualsiasi mezzo si rendesse necessario. Gli eventi degli ultimi mesi sul piano internazionale hanno confermato la correttezza delle opinioni di chi dà particolare importanza al contenuto. È ormai palese - in Egitto, in Turchia, in Iran, a Gaza, e altrove-che gli islamisti radicali sono incapaci di guidare un governo moderno. Molti hanno mentalità assolutiste e idee apocalittiche. Gli islamisti possono dar vita a efficaci movimenti di opposizione ed essere impegnati quanto basta da fornire servizi sociali di base. Sono però del tutto sprovvisti della logica indispensab ile per govemare. Una volta in carica, cercheranno sempre di mettere a rischio la democrazia stessa che li ha eletti. Una volta eletta, la Fratellanza ha sconvolto la revisione giudiziaria, ha usato la mano pesante nei confronti della società civile, ha arrestato gli attivisti dell'opposizione, ha snaturato il processo di stesura della costituzione, ha accentrato il potere e ha reso impossibile deliberare in modo democratico. È inutile deplorare i pasticci di Morsi, perché I'incompetenzaè innata nel Dna intellettualedell'lslam radicale.Abbiamo già visto emergere in Algeria, in Iran, in Palestina e in Egitto un'inettitudine pratica, un'incomprensione del mondo reale che porta all'implosione dell'apparato di governo. I sostenitori dell'importanza del contenuto rispetto alla formahannodunqueragione. Promuovere le elezioni è in genere una cosa positiva, anche quando da esse derivi la vittoria di forze democratiche con le quali siamo in disaccordo. Ma le elezioni non sono qualcosa di positivo quando portano all'affermazione di persone i cui principi di fondo sono radicati fuori dall'orbita democratica. È indispensabile quindi indagare sull'insieme dei principi di fondo di un partito, e non limitarsi ad accettare chiunque riesca ad affermarsi nel corso di un iter democratico. Il golpe militare di questa settimana potrebbe semplicemente riportare l'Egitto al punto in cui si trovava: un super-stato straripante edisfunzionale controllato da un'élite militare che bada al proprio tornaconto. Quanto meno, perb, l'Islam radicale, la più grave minaccia alla pace globale, in parte è stato screditato e destituito dal potere.

Lucio Caracciolo - " Quando i carri armati interrompono la democrazia "


Lucio Caracciolo

Il presidente eletto arrestato e sbattuto in prigione insieme ai leader del suo movimento, i media a lui favorevoli chiusi, l'esercito che spara a man salva sui manifestanti che lo sostengono. Il tutto in una repubblica nata nel 1952 da un putsch m i litare e di cui le Forze armate hanno sempre occupato le posizioni chiave, costituendosi in uno Stato nello Stato ramificato nel cuore dell'economia e degli affari.  La piazza in quei giorni ha invocato e poi anche salutato con gioia ladiscesa in campo delleforzearmate Curxio Malagarte I più pericolosi sono i generali mediocri, e appunto di quelli bisogna diffidare Tecnica del colpo di Stato, 1931 Insomma: un golpe. O no? La definizione dei recenti fatti d'Egitto divide gli animi. Coloro che rifiutano il termine "colpo di Stato", carico di senso negativo, esaltano la mobilitazione di massa contro il presidente Morsi su cuile Forze armate hanno poggiato il loro intervento. Senzaperaltro sottilizzare sulla credibilità dei numeri—decine di milioni di manifestanti — evocati dalla galassia che non ne poteva più del fallimentare esperimento di governo dei Fratelli musulmani. Cifre peraltro riprese tali e quali da gran parte dei media occidentali, anche se parrebbero urtare contro ilbuon senso eviolare le leggi della fisica. Ma non sottilizziamo: stando a tale scuola di pensiero, se tecnicamente di golpe si è trattato, politicamente è stato riscattato dal consenso del "popolo" - almeno finché un altro "popolo", quello dei Fratelli, non si è manifestato, certo non in decine di milioni. Se proprio non vogliamo omettere il sostantivo "colpo", qualifichiamolo almeno con un aggettivo che possa riscattarne la reputazione-"rivoluzionarlo" o "democratico". Anche a costo di confezionare un ossimoro. E non formalizziamoci troppo sull'entusiasmo delle petrodittature del Golfo per il "golpe democratico", certificato dagli annunci della monarchia saudita e satelliti di una pioggia di petrodollari sul Cairo onde evitare che il "loro" Egitto finisca nel baratro. La disputasemanticaintorno all'intervento dei militari per dirimere - ad oggi aggravandolo - il caos politico egiziano non ha nulla di accademico. È strategica. Il nome della cosa implica una politica. E viceversa, la politica è interessata a determinare il nome della cosa per legittimare se stessa. Più in concreto: se il generale Abdel Fattah al-Sisi fosse battezzato golpista dagli Stati Uniti - suo paese di formazione professionale - dovrebbe rinunciare al miliardo e mezzo di dollari che da11987 Washington trasferisce ogni anno alle Forze armate egiziane a garanzia della sicurezza di Israele e a beneficio della propria industria degli armamenti. Sulla sponda opposta, i Fratelli musulmani gridano al golpe - inqilab in arabo - per legittimare la resistenza al nuovo (vecchio) regime in nome della rivoluzione (thawra) del 25 gennaio. E rianimare i loro sostenitori, illusi di poter reggere il paese a piacimento avendo vinto tutte le elezioni del dopo-Mubarak. Soprattutto, vogliono salvare reputazione e prospettive della confraternita che, inebriata dal profumo del potere, in un solo anno alla guida di un paese ingovernabile ha rischiato di giocarsi il patrimonio accumulato in otto decenni di vita parallela all'ombra dei regimi vigenti. Tra i due poteri storici del moderno Egitto - il fucile dei soldati e il Corano della Fratellanza, talvolta ambigui alleati, talaltra nemici perla pelle - ecco la vasta e variopinta piazza che nelle ultime settimane si è mobilitata contro il malgoverno e le pulsioni autoritarie del presidente Morsi. Estesa dai comunisti ai nazionalisti, dai copti agli sciiti passando per tutti i colori dell'iride sociopolitico - non esclusi diversi islamisti delusi da Morsi-e con l'ambigua partecipazione dei salafiti. Una costellazione priva di leader e di progetto politico, cementata solo dall'avversione per i Fratelli, frustrata dalle ripetute sconfitte elettorali e consapevole nelle sue frange più laiche e modernizzatrici della difficoltà/impossibilità di prevalere alle urne. Quella piazza ha dapprima invocato, poi salutato con gioia la discesa in campo dei militari. E si è ben guardata dal chiamarla inqilab, perché avrebbe così sigillato la fine della thawra, vera o immaginaria che fosse. Ma non finisce qui. Pochi giorni dopo il golpe/ non golpe di al-Sisi, il movimento Tamarrud (Ribellione) - giovani rivoluzionari della prima (e ormai della seconda) ora - condannava come dittatoriale la road map verso il ritorno alla ritualità democratica promessa dal governo ad interim impiantato dai militari con il golpe che non possono/vogliono chiamare tale. Se non siamo alla denuncia dell' inqilab, poco ci manca. E subito dopo il vescovo copto cattolico di Minya, Botros Fahim Awad Hanna, osservava che la costituzione provvisoria varata per decreto dal presidente Adly Mansour è peggiore di quella vigente sotto i Fratelli, una "presa in giro" che accoglie le istanze salafite e nega alcuni diritti fondamentali già garantiti a cristiani ed ebrei. Che cosa trarne? Forse che per gli attori della partita il nome conta più della cosa. Più che le battaglie di strada o gli intrighi di corridoio, è la capacità di imporre il proprio marchio - golpe versus rivoluzione o un mixdi entrambi - a sigillare la vittoria degli uni o degli altri. Una guerra di propaganda senza esclusione di menzogne, comprensibile per chi si gioca la pelle sul terreno. A chi volesse solo capire e provare a spiegare ciò che ha capito, l'arduo compito di scernere il grano dal loglio. Fatica infinita, ma appassionante.

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