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Libero - Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
10.07.2013 L'Egitto ha un nuovo premier, ma continuano le proteste
cronache e commenti di Carlo Panella, Cecilia Zecchinelli, Roberto Tottoli, Daniele Raineri

Testata:Libero - Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Carlo Panella - Cecilia Zecchinelli - Roberto Tottoli - Daniele Raineri
Titolo: «L’Egitto ha un nuovo premier. Ancora in piazza i pro-Morsi - Il no dei giovani ribelli alla 'road map' dei generali - Via i Fratelli Musulmani arretra il Qatar mentre si fanno avanti gli ex nemici del Golfo - 'Mazze, mazze'. Tra i Fratelli musulmani che a»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 10/07/2013, a pag. 18, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " L’Egitto ha un nuovo premier. Ancora in piazza i pro Morsi ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 11, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Il no dei giovani ribelli alla «road map» dei generali ", l'articolo di Roberto Tottoli dal titolo " Via i Fratelli Musulmani, arretra il Qatar mentre si fanno avanti gli ex nemici del Golfo ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " 'Mazze, mazze'. Tra i Fratelli musulmani che al Cairo resistono ai 'golpisti' ".
Ecco gli articoli :

LIBERO - Carlo Panella : " L’Egitto ha un nuovo premier. Ancora in piazza i pro Morsi" 


Carlo Panella            Hazem al Beblawi, nuovo premier egiziano

In aperta sfida alle Forze armate che lunedì avevano intimato di «lasciare libere le piazze », centinaia di migliaia di sostenitori dei Fratelli Musulmani e del presidente deposto Mohammed Morsi hanno dato vita a imponenti cortei al Cairo - a partire da piazza Rabaa al Adawiya loro “santuario” - e in tutte le principali città egiziane. Con il solito macabro linguaggio la direzione superstite della Confraternita (quasi tutti i principali leader sono stati arrestati assieme a centinaia di quadri intermedi) hanno intitolato la manifestazione «al milione di martiri». Pessimo auspicio. È prevedibile che nonostante l’inizio del Ramadan, nella notte anche questi cortei sfocino in violenze. Continua dunque - come era prevedibile - la mobilitazione e la sfida nelle piazze dei seguaci di Morsi che non si lasciano intimidire dai diktat dei militari che ieri hanno minacciosamente avvertito: «Manterremo la pace sociale ad ogni costo; nessuna parte politica può sfuggire alla volontà della nazione». In chiaro, questo è un secco aut aut - l’ennesimo - ai Fratelli Musulmani e ai loro seguaci: o accettano il fatto compiuto e si piegano alle decisioni politiche delle Forze Armate - supportate dal grande movimento dei Tamarrod - oppure verranno duramente repressi. I cecchini che si sono chiaramente visti lunedì in alcuni filmati mentre sparano dall’alto sulla folla che assediava la caserma della Guardia Repubblicana e ancora più i 51 morti, i 452 feriti e i 600 arresti (molti operati ieri) di manifestanti radunati davanti alla caserma della Guardia Repubblicana, danno un’idea molto precisa di cosa intendano i generali egiziani quando parlano di «a ogni costo». D’altronde, né la guida spirituale della Fratellanza, Mohammed Badie, né alcun altro dirigente ha dato sinora il minimo segnale di volere tornare sulla solenne decisione di «continuare a manifestare sino a quando non porteremo in spalle Mohammed Morsi a riprendere il suo posto di presidente legittimamente eletto dagli egiziani». Qualunque sia l’esito delle manifestazioni di martedì e nonostante il Ramadan è chiaro che la mobilitazione “sovversiva” dei fratelli Musulmani non calerà di tono. Anzi. Muro contro muro dunque, cristallizzato ieri dalla decisione del presidente della Repubblica Adly Mansour di pubblicare una nuova “road map” per la transizione e di nominare primo ministro il socialdemocratico Hazem al Beblawi e vice primo ministro Mohammed al Baradei. Al Beblawi è stato un alto burocrate economico sotto il regime di Mubarak, poi è stato nominatoministro delle Finanze dalla prima Giunta militare comandata dal femaresciallo al Tantawi nel primo esecutivo post Mubarak ed è gradito dai Tamarrod (e dai copti), perché diede polemiche dimissioni per protestare contro i militari che avevano effettuato una strage di copti nell’ottobre 2011. La sua nomina è stata accettata dal partito islamista al Nour (27% dei voti alle elezioni presidenziali), teso a mostrare un inedito e poco credibile atteggiamento moderato per erodere la base di consenso dei Fratelli musulmani, nonostante in realtà sia molto più dogmatico ed estremista di loro. La nomina del nuovo premier è stata invece seccamente rifiutata dai Fratelli Musulmani che ovviamente hanno anche rifiutato la “road map” di transizione verso nuove elezioni del nuovo presidente (di cui non riconoscono la legittimità). Riserve sul processo di transizione, peraltro, sono state espresse dal movimento dei Tamarrod che, per bocca del suo portavoce Mahamud Badr ha soprattutto criticato la nuova Costituzione provvisoria emanata da Mansour, sostenendo peraltro che «nessuno è stato consultato prima della sua promulgazione: chiediamo profonde modifiche». Una boccata d’ossigeno alla disastrata economia egiziana è arrivata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati che hanno annunciato un immediato prestito di 8 miliardi di dollari, che sicuramente verranno subito distribuiti a pioggia sulla popolazione per abbassare la sua esasperazione. L’Egitto è dunque sull’orlo di una guerra civile (come ha riconosciuto ieri Emma Bonino) e non si vede come possa essere rimarginata la ferita provocata dalla decisione dei militari, e appoggiata dai Tamarrod, di escludere manu militari dal processo politico i Fratelli Musulmani che alle elezioni hanno ottenuto più del 50% dei voti.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Il no dei giovani ribelli alla «road map» dei generali "


Cecilia Zecchinelli

IL CAIRO — Seguire la politica egiziana è a volte una missione impossibile, con strane alleanze che si formano e sciolgono, voltafaccia di cui si capisce solo dopo, e non sempre, il perché. Un esempio evidente è arrivato ieri: contro la road map per la transizione annunciata lunedì dal raìs ad interim Adly Mansour, si sono schierati sia la Fratellanza che ha perso il potere, sia i giovani ribelli di Tamarrod che si ritengono i principali fautori della cacciata di Morsi. Uniti nel salutare il piano sono invece i partiti laici di destra e sinistra, i militari, ma anche i salafiti, gli ultraortodossi che vogliono davvero lo Stato islamico su modello saudita. Tutti tra loro lontanissimi, ex nemici. Ma, come comanda la ragion politica, ora impegnati ad accettarsi. La loro alleanza è riuscita a deporre il solo raìs eletto democraticamente in Egitto, e adesso cerca di spartirsi il potere: con mercanteggiamenti, stop, concessioni a naso tappato, ma ancora unita. Sono le stesse forze che poche ore dopo la roadmap hanno approvato il nuovo premier Hazem El Beblawi e affidato la vicepresidenza a Mohammad El Baradei. Ce l’hanno fatta, quanto resteranno uniti è oggetto di scommessa.

Qualche crepa era già evidente negli scorsi giorni, con scontri tra salafiti e laici sul premier, che è stata riparata. Una nuova è invece apparsa ieri. Per la prima volta i Giovani Ribelli si sono sollevati contro gli alleati più forti, iniziando forse a sospettare di essere stati usati. Il movimento Tamarrod — nato dal nulla tre mesi fa, che ha raccolto (o così dice) 22 milioni di firme per la sua petizione anti-Morsi, che il 30 giugno ha guidato la Seconda Rivoluzione (o così crede) con fiumi di gente in piazza — ha respinto con sdegno la road map non perché «parte del golpe», come urla la Fratellanza. Ma perché è «un furto attuato da presidenza, esercito e salafiti per dirottare la nostra rivoluzione continua». Il gruppo, guidato dal nasseriano 28enne Mahmoud Badr, non obietta sulle date previste per arrivare a una Costituzione, un parlamento e un raìs definitivi (inizio 2014 se andrà bene), ma è furioso per la Carta provvisoria proclamata insieme al calendario. Al presidente (ovvero al capo dei generali Abdel Fattah Al Sisi di cui Mansour è emanazione) spetta il potere esecutivo ma pure quello legislativo, con il governo come «consulente» mentre le Camere sono state sciolte. «Troppo», dice Tamarrod. E non solo. Una parte cruciale è identica a quella che la Fratellanza aveva imposto nella «sua» Costituzione, ora cancellata con plauso generale. «I principi della legge islamica sunnita sono la guida del diritto dell’Egitto— dice —. Le tre religioni accettate sono l’Islam, il cristianesimo e l’ebraismo». Un grande passo indietro dalle precedenti Costituzioni egiziane che davano piena libertà di culto, anche a sciiti, mistici sufi, buddisti e quant’altro. Un enorme rinuncia per chi sperava (Tamarrod in testa) in un Paese in cui Stato e moschea siano almeno per legge separati.

Nemmeno i partiti laici certo hanno gradito, ma per oltre 24 ore sono rimasti in silenzio. Poi, ieri notte, anche il Fronte rappresentato da El Baradei ha iniziato a manifestare opposizione alla Carta, che oggi vedremo se confermerà. Perché, ragion politica appunto, è fondamentale non perdere il sostegno dei salafiti di Al Nour per mostrare che la nuova coalizione non è «anti-islamica». Forte del 27% delle ultime parlamentari, il partito del barbuto Younes Makhioun dopo il massacro di Fratelli lunedì al Cairo aveva dichiarato di abbandonare la strana alleanza dei vincitori, la base non avrebbe gradito diversamente. Ma poi aveva continuato a trattare, come se niente fosse. Entrati in politica solo due anni fa, i salafiti hanno capito come funzionano le cose. I Giovani Ribelli invece sono ingenui, e quindi ora esclusi e delusi. O forse no: nel Paese dove la dietrologia e il complottismo imperano, qualcuno pensa che Tamarrod abbia dichiarato ieri il suo sdegno solo per non apparire manovrato dagli altri. E che in realtà stia negoziando per almeno un ministero, quello della Gioventù. Sarà vero? Per ora è impossibile dirlo.

CORRIERE della SERA- Roberto Tottoli : "Via i Fratelli Musulmani, arretra il Qatar mentre si fanno avanti gli ex nemici del Golfo "


Roberto Tottoli

Lo scontro tra le potenze del mondo islamico per conquistare spazio nei Paesi delle primavere arabe non conosce soste. Rapporti economici, scelte strategiche e soprattutto diversi modelli di islam percorrono le scelte di Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar ed Iran, in una lotta che ormai appare senza quartiere. La notizia del finanziamento miliardario di Arabia Saudita ed Emirati all’Egitto dimostra come, insieme a Morsi e al governo, sono cambiati anche gli azionisti delle sorti egiziane. All’indomani della caduta di Morsi, il ruolo del Qatar, suo massimo finanziatore, si è immediatamente ridimensionato. Al Jazeera è diventata un ospite sgradito. Il frutto di mesi di politica spregiudicata e di finanziamenti prontamente elargiti pare ormai perduto. Non è stata una scelta casuale, quella del Qatar, per l’Egitto. La Fratellanza Musulmana è sempre stata invisa ai sauditi e ai suoi alleati negli Emirati, e i sentimenti sono stati ricambiati, è una storia lunga di dispetti e contrasti, acuiti dalla nascita e dal successo del fronte salafita. E nel giorno in cui nasce il nuovo governo egiziano, sostenuto da una coalizione che vede presente o comunque non ostile il partito Al Nour salafita, l’annuncio dell’aiuto suona come una condanna senza appello dell’esperienza di governo dei Fratelli Musulmani. «È per sostenere il popolo egiziano», ha detto la delegazione degli Emirati, «un sostegno economico e politico» giunto quando l’odiata fratellanza è stata estromessa dal potere e si apre una nuova partita per l’islam nella politica egiziana. Lo scontro per la supremazia, tra le monarchie del Golfo, ha conosciuto confronti anche aspri, ma spesso combattuti nelle retrovie, con interventi ad attrarre consenso dal basso. In Egitto ha prodotto i grandi successi elettorali di Fratelli Musulmani e dei salafiti di Al Nour, che hanno raccolto quasi il settanta per cento dei voti. Ma proprio questo successo ha approfondito un solco tra le due parti, e accentuato la conflittualità tra i sostenitori del Golfo. A un Qatar più che mai attivo a finanziare organizzazioni della Fratellanza e a sostenere il debito egiziano, si sostituiscono gli avversari del Golfo. Quei sauditi ed emiratini a cui dava fastidio un successo dei Fratelli Musulmani, perché più vicini alla Turchia, perché alternativi al wahabismo salafita. E questo loro intervento repentino nelle finanze egiziane lascia pochi spazi ai dubbi: nelle sorti future dell’Egitto, i salafiti conteranno ancora di più.

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " 'Mazze, mazze'. Tra i Fratelli musulmani che al Cairo resistono ai 'golpisti' "


Daniele Raineri

Il Cairo, dal nostro inviato. Ieri è stato il primo giorno dopo la strage al sit-in dei Fratelli musulmani nel settore est del Cairo. Hanno fatto dei cerchi con le pietre sull’asfalto dove sono caduti i corpi dei loro – fulminati dalle pallottole sparate dai soldati – tanto le macchine per queste strade non passeranno più, “guarda, guarda il sangue che c’è ancora!”. Hanno montato teli e tende tra gli spartitraffico, hanno alzato muretti a secco per bloccare l’ingresso dei viali che portano verso la base militare della Guardia repubblicana, che loro sono convinti custodisca il loro rais deposto, Mohammed Morsi. Hanno schierato un servizio d’ordine con in testa i caschetti da cantiere e in mano le mazze a sorvegliare gli accessi, se non hai un’arma contundente tua ci sono pure i venditori ambulanti, “mazze, mazze”, dicono, le più belle sono corte, nere, hanno una fibbia di cuoio. Sottobraccio hanno i giornali di partito con tutte le facce dei morti. Da qui, da Raba el Adawiya i Fratelli non se ne vanno. Sta diventando il luogo simbolo dello scontro tra islam e militari per il controllo dell’Egitto e loro si stanno trincerando. Ieri era anche la vigilia del mese sacro e di digiuno del Ramadan e sul Cairo è caduto l’ultimo tramonto sazio. Da questa mattina e per la durata di un ciclo lunare è suhur: l’abbondanza del pasto rituale prima del levare del sole per resistere senza toccare cibo fino al tramonto. Tra le tende e gli striscioni di Raba el Adawiya, proprio in faccia alla base militare che ha inghiottito Morsi, i Fratelli musulmani stanno ritrovando la loro vocazione reale, che è quella di resistere alle persecuzioni di un potere militare troppo più potente di loro. Che ci faranno mai con le nuove mazze e a pancia vuota contro i fucili dei cecchini? “Coup, coup”, hanno scritto con la vernice rossa sui muri della base, “il mio voto conta”, “democrazia”, “legittimità”, dicono gli striscioni in inglese e con i colori della bandiera nazionale: come se volessero convincere chi guarda che la fine del primo governo della Fratellanza nella storia è una questione di malfunzionamento democratico, da aggiustare per rientrare di nuovo e presto dentro i canoni della correttezza costituzionale. “Rifiutiamo il ciclo della violenza, la nostra protesta sarà pacifica”, dicono al Foglio. In realtà è un ritorno, un riflusso verso le origini e l’essenza del movimento. Qui, tra le macchie di sangue sull’asfalto e gli striscioni con le scimitarre incrociate, con la minaccia sempre incombente di altre botte di violenza da parte dell’esercito, i Fratelli abbandonano la novità del governare l’Egitto – a cui si sono dimostrati così poco portati: una riunione con il Fondo monetario internazionale al mattino, un incontro con gli statali in sciopero al pomeriggio – e ritornano al loro vero talento, la resistenza organizzata contro lo stato nemico. Niente più responsabilità da affrontare, soltanto repressione. Viene da chiedersi se non ci sia anche un qualche sollievo in questo desiderio di martirio. La strage di lunedì mattina – almeno 54 morti – ieri è diventata uno scontro di versioni opposte. I militari egiziani sostengono di avere soltanto risposto a un attacco dei Fratelli, ma i video che portano a testimonianza sono tutti girati alla luce del sole e invece gli spari sono cominciati prima dell’alba. Gli islamisti esibiscono fotografie dei “cinque bambini che i soldati ci hanno ucciso”, ma poi si scopre che le immagini vengono dalla Siria; dicono anche che sono stati soffocati dai gas lacrimogeni, ma pare inverosimile. Però mostrano i fori delle pallottole nei pali della luce e nelle ringhiere e quelli sono reali, sono colpi sparati da vicino, ci sono i buchi d’entrata e pure d’uscita. Infilano una cannuccia dentro un palo colpito, punta come un dito accusatore verso il luogo d’origine dello sparo: le garitte della base militare. I cerchi di pietre che segnano la posizione dei caduti sono in sequenza e anche i video presi con i telefonini confermano, i cecchini hanno deliberatamente scelto bersagli singoli nel mucchio sotto di loro. Anche il governo del dopo golpe si trincera, prova a trovare un assetto per continuare, prova a essere presentabile il prima possibile aiutato dai suoi sponsor esterni. Ieri, quando ancora doveva uscire la notizia sulla tv di stato della nomina di Hazem el Beblawi a primo ministro, una delegazione degli Emirati Arabi Uniti è arrivata al Cairo per annunciare un finanziamento da tre miliardi di dollari e l’invio di trentamila tonnellate di carburante diesel – essenziale per energia elettrica, lavori agricoli e veicoli da lavoro. Gli Emirati avevano già fatto un annuncio per due miliardi di dollari nel 2011, ma poi non li avevano mai effettivamente fatti arrivare, evidentemente insoddisfatti dall’ascesa della Fratellanza musulmana. Anche l’Arabia Saudita ieri ha subito annunciato un prestito per due miliardi di dollari. Durante il golpe era circolata la notizia che tutto fosse organizzato da sauditi e dagli Emirati, che detestano la Fratellanza musulmana e la considerano una minaccia potenziale alla loro stabilità, ma come spesso capita è una notizia a cui non è possibile trovare riscontri. Ora il comportamento dei due regni del Golfo non dissipa le teorie del complotto. Da piazza Tahrir, che è il terzo polo debole di questa sollevazione, il movimento Tamarrod, la Ribellione, ieri ha criticato la nuova bozza di Costituzione e l’ha definita “dittatoriale”; ma già ha perso la sua voce e non sembra possedere più la sua capacità di mobilitare la piazza. Come contro Mubarak nel 2011, il movimento più ispirato e liberale è stato funzionale a rovesciare il presidente e poi è subito ritornato nell’irrilevanza.

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