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Caro Papa, non farti candidare al Nobel a destra, Papa Francesco I Cari amici, un trafiletto sulla stampa di ieri dava notizia del fatto che un'associazione ebraica di Buenos Aires, più precisamente, l'associazione dei parenti delle vittime dell'attentato terroristico organizzato dall'Iran ed eseguito da Hezbollah che il 18 luglio del 1994 distrusse l'edificio del centro comunitario ebraico della città, uccidendo 84 persone, ha proposto il papa Francesco per il Premio Nobel per il "coraggio con sui sostenne la ricerca della verità". Nutro naturalmente totale solidarietà per le vittime di quel terribile atto terroristico e spero che prima o poi gli esecutori e gli organizzatore di questo crimine (fra cui si dice figurino il ministro della difesa dell'ultimo governo iraniano e anche l'attuale presidente) paghino il fio di questo delitto. Del nuovo papa non ho capito molto ma lo rispetto e ho apprezzato molto alcuni dei suoi primi atti. Spero dunque di non essere accusato di insolenza se mi permetto di consigliare papa Francesco di non accettare la candidatura al Nobel, di chiarire che non vi aspira. Il fatto è che, a parte i premi scientifici che non discuto, quelli letterari e per la pace sono stati assegnati pessimamente. Condividere un premio con Dario Fo non è certo un onore, ma farlo con Kissinger, Kofi Annan, Jimmy Carter, con l'Onu e l'Unione Europea, l'agenzia atomica diretta da El Baradei che tanto fece per favorire l'armamento atomico dell'Iran è poco meno di una vergogna. Per non parlare del premio ad Arafat, che fu certamente una vergogna. Accanto al capo dei terroristi furono premiati anche Peres e Rabin, e questo solo fatto mostra che enorme errore siano stati gli accordi di Oslo. Ma c'è soprattutto un esempio che dovrebbe far riflettere il papa argentino prima di accettare una candidatura al Nobel all'inizio della carriera. E' il caso di Obama, che fu premiato ("preventivamente" si disse allora) appena arrivato alla presidenza, nel 2009. Probabilmente al comitato che assegna il Nobel (che non è affatto sopra le parti, essendo composto da politici norvegesi, naturalmente in maggioranza di sinistra) piacque il discorso del Cairo, che riletto oggi appare ancor più risibilmente insensato e cieco che falso e ideologico come pure era. O forse semplicemente erano contenti che avesse vinto le elezioni americane un personaggio così chiaramente contrario all'"American Dream", che l'Occidente fosse guidato da un suo nemico.
Il problema è che, ancor prima che terzomondista e socialisteggiante, Obama è uno dei presidenti più disastrosamente incapaci della storia americana e come ha scritto Schiller, contro la stupidità non c'è rimedio. Ormai se ne rendono conto un po' tutti, anche quelli che per posizione ideologica sarebbero propensi ad appoggiarlo. Leggete l'inizio di un commento pubblicato ieri da "Avvenire", organo della Chiesa italiana che certo dissente da Obama sull'aborto, ma è sempre sembrata soddisfatta della sua sensibilità internazionale: "Chiamiamola se volete sfortuna, o come amano dire al Dipartimento di Stato a simple twist of fate, un capriccio del destino. Sta di fatto che tutto si può dire della politica mediorientale e nordafricana di Barack Obama, tranne che sia stata coronata dal benché minimo successo. Dall'Iran all'Iraq, dalla Libia alla Siria, dall'Afghanistan all'Egitto - ma non trascureremmo neppure Israele - il presidente americano si è trovato in scacco dovunque." (Giorgio Ferrari). Difficile esprimere con maggior chiarezza il discredito internazionale dell'amministrazione americana. Io personalmente ci aggiungerei anche l'appoggio alla Turchia, i rapporti coi pachistani, l'inerzia in Africa, la passività verso l'aggressività cinese e russa, l'abbandono dell'influenza nell'America latina... Diciamo che i soli interlocutori internazionali con cui Obama non abbia dilapidato l'influenza del suo paese sono i pinguini dell'Antartide, che non si occupano di politica, a quel che si sa. Ormai il suo atteggiamento in politica internazionale è una specie di apatico broncio, intervallato da qualche stolido auspicio ("speriamo che i manifestanti di Istanbul non esagerino", "auspichiamo il ritorno della democrazia in Egitto", come se la superpotenza mondiale (per Obama evidentemente la ex superpotenza) fosse per l'appunto ridotta allo stato del Vaticano, che esprima raccomandazioni morali perché come disse una volta Stalin sbagliando, non ha divisioni militari da schierare sul terreno. In tanta accidia, c'è un unico luogo in cui l'amministrazione americana esibisce una solerzia che non è esagerato definire eccezionale. E' l'unico stato del Medio Oriente dove non scorre il sangue, dove la democrazia regna incontrastata, dove non vi è guerra civile aperta o latente, dove l'economia è in ottimo stato e regna l'ordine. Naturalmente sto parlando di Israele. Obama come è noto, ha scelto di "guidare da dietro" (cioè di far condurre dai francesi) la guerra in Libia, e non ha ritenuto opportuno neppure difendere la vita del suo ambasciatore mentre lo linciavano, anche se aveva a portata le forze per farlo. Non ha interferito con la guerra siriana, se non per annunciare della "linee rosse" che poi non ha fatto rispettare. Ha mantenuto rapporti cordiali con gli islamisti in Turchia, Tunisia, Egitto e non ha emesso più di un flebile lamento quando hanno represso i democratici (del resto non si era comportato diversamente con la rivoluzione verde in Iran). Ma sulla ripresa delle trattative fra Israele e Anp ha impegnato tutto il suo prestigio, spedendo il faccione triste di Kerry quattro volte in tre mesi a fare il su-e-giù fra Gerusalemme e Ramallah, per strappare impegni (ai palestinesi la concessione di sedersi al tavolo negoziale, agli israeliani naturalmente "concessioni" concrete): http://www.breitbart.com/Big-Peace/2013/07/07/Obama-Still-Sees-Israel-as-the-Problem . Il risultato per il momento è scarsissimo, basta guardare i sondaggi per capire che né la popolazione araba né quella ebraica credono che sia possibile un accordo, per il semplice fatto che quel che Israele può dare senza minacciare in maniera definitiva la propria sicurezza è molto meno di qual che l'Anp può accettare senza crollare sotto i colpi dei suoi militanti, e soprattutto perché nessun palestinista, laico o religioso, può dare il minimo che Israele comunque non può evitare di volere per concludere un accordo, cioè la garanzia di considerare chiusa la vertenza, la fine di ogni rivendicazione. La "pace" in questo momento è un compito impossibile, soprattutto in una regione in cui i governi passano e gli accordi anche. Dunque Obama si è di nuovo intrappolato da sé in una politica fallimentare e insensata (http://www.breitbart.com/InstaBlog/2013/07/07/King-of-the-foreign-policy-fumble ) e si ostina a perseguire un compito impossibile, facendo strillare che "l'ultima occasione per la pace sta passando", quando in quell'angolo di terra non accade nulla di speciale, mentre ignora il sangue e le esplosioni tutte attorno. Come dicevano i romani, Deus amentat quos perdere vult, Dio instupidisce quelli che vuole distruggere. E forse il Nobel è un buono strumento per "amentare" i condannati. O forse porta solo sfortuna. Ecco, per questa ragione, con molto rispetto, mi permetto di suggerire a Papa Francesco di non accettare una candidatura al Nobel. Magari non è vero che porti male, ma certo produce cattive compagnie. Ugo Volli |
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