"L’industria dell’islamofobia"
commento di Annalisa Robinson
Annalisa Robinson
Quando si verifica un attentato terroristico che coinvolge degli islamici,in Gran Bretagna si sviluppa un meccanismo di reazione in tre tempi, almeno per quanto riguarda autorità e opinionisti ufficiali. Uno: espressione di cordoglio / partecipazione / sdegno / orrore / nobili propositi. Due: preoccupazione per le possibili ritorsioni indiscriminate sui musulmani pacifici, tolleranti e rispettosi della legge, che sono indiscutibilmente la stragrande maggioranza, ed energica riaffermazione della estraneità dell’Islam come religione a qualunque tipo di terrorismo. Tre: espressione di disprezzo e tolleranza zero nei confronti di coloro che sono di opinione diversa, o comunque hanno qualche dubbio riguardo all’Islam, con inevitabile accusa di islamofobia, estremismo, ecc ecc. Un vero e proprio do-ut-des.
In sé, il meccanismo è condivisibile: applica semplicemente l’antico e ragionevolissimo proverbio “Non fare di ogni erba un fascio”.
La fase due è comprensibile, specialmente di questi tempi in cui prima di agire si pensa sempre meno, e spesso si accompagna a un coro di alti lai secondo il quale le vere vittime sono praticamente gli islamici. In un certo senso è vero, in quanto sono quelli che ne escono peggio; ma non si può fare a meno di provare fastidio e un certo disagio, perché le vittime effettive passano in secondo piano. Consideriamo ad esempio il comunicato (29 maggio) del sindaco di Tower Hamlets (zona ad altissima densità musulmana adiacente a quella dove è stato sgozzato il soldato Rigby), firmato anche da altri leader della comunità e di altre fedi (http://www.towerhamlets.gov.uk/news__events/news/may_2013/joint_statement_from_mayor_of.aspx).
Lee Rigby, sgozzato da un terrorista islamico
Ci si aspetterebbe una qualche manifestazione di mortificazione all’idea che un correligionario possa avere compiuto un gesto del genere in nome di una presunta solidarietà con gli islamici del Medio Oriente, ma non ce n’è traccia. Lo sgozzamento viene liquidato in un rigo: “Ovviamente, come tutti, siamo profondamente scioccati e speriamo di non vedere più scene così terribili nel nostro Paese”. “Chiaramente” i “perpetratori” sono stati arrestati e la polizia ha avviato un’indagine; ma il soggetto effettivo del comunicato è che i firmatari sono “profondamente preoccupati” e “determinati a impedire che questo atto senza senso non sia usato da altri come scusa per fomentare disordini altrove”, tipo la English Defence League. Di qui la richiesta a polizia e ministro degli Interni di negare all’EDL il permesso di organizzare marce nel quartiere. La priorità non è esprimere rammarico, mortificazione; non è interrogarsi su cosa abbia portato all’insano gesto; è quella “di esortare alla calma” e “mantenere l’armonia nelle nostre comunità multiculturali”. Il contentino per il defunto arriva nell’ultima riga, “pensieri e preghiere per la famiglia e gli amici della vittima di questo atto scioccante”. Come si vede, non una parola riguardo al motivo, che si direbbe essenziale, di queste preoccupazioni e di queste possibili ritorsioni: il fatto che il “perpetratore” fosse di fede islamica e abbia voluto uccidere come rappresentante della comunità islamica secondo lui oppressa in Medio Oriente.
Le fasi 2 e 3 rappresentano un’occasione ghiottissima per certi islamisti, che si conquistano una piattaforma parlando di islamofobia, ritorsioni, minacce, pericolo, comunità oppressa – e in tal modo piantano i semi della radicalizzazione, o la accelerano. Parafrasando Leonardo Sciascia, come in Italia fioriscono i professionisti dell’antimafia, nel Regno Unito prosperano i professionisti dell’anti-islamofobia. Organizzazioni islamiste tipo la Cordoba Foundation, che David Cameron ha definito come una “facciata politica per la Fratellanza Musulmana” sostengono già da anni che vi sia un’ondata di “terrorismo” [sic] contro i musulmani inglesi, e un “aumento allarmante” dell’odio per l’Islam. Rappresentare i musulmani britannici come sotto attacco, odiati, temuti, e discriminati, è essenziale ai fini del reclutamento, e per dimostrare che razze e religioni diverse non possono coesistere pacificamente. L’accusa di islamofobia impedisce di mettere in questione l’ideologia islamista, e mira a ridimensionare il terrorismo che produce, paragonandolo alle attività di gruppi come l’EDL.
Fiyaz Mughal,fondatore e presidente di TellMAMA (MAMA = Measuring Anti-Muslim Attacks)
Un esempio da manuale è quello di Fiyaz Mughal, fondatore e presidente di TellMAMA (MAMA = Measuring Anti-Muslim Attacks), appunto un’organizzazione per il monitoraggio di episodi anti-islamici. Mughal ha munto la mucca islamofoba fino all’ultima goccia, ammannendo dichiarazioni apocalittiche che la BBC ha accettato a scatola chiusa, offrendogli i microfoni del prestigioso programma Today su Radio 4. Mughal ha lamentato “un’ondata di attacchi, molestie, e discorsi pieni di odio”, ma soprattutto “un numero senza precedenti di incidenti”, soprattutto “un aumento delle molestie per strada” e una “massiccia impennata del pregiudizio anti-islamico”: “La comunità musulmana è in preda a un senso di paura endemica … Non intravedo la fine di questo ciclo di violenza. La nostra società è caratterizzata da un’islamofobia latente e l’orrendo episodio di Woolwich l’ha portata in primo piano”. Osservazioni non solo estremamente insensibili (verso il povero Rigby e verso la sua comunità), ma anche insensate, e concluse da un attacco all’agenda governativa per la prevenzione del terrorismo, che non aiuta “a promuovere la fiducia” e “aliena e isola le comunità”.
Comunque i media hanno fatto proprio il dato numerico offerto da Mughal, ovvero 212 episodi di islamofobia nella settimana successiva all’uccisione del soldato (http://www.independent.co.uk/voices/commentators/owen-jones-islamophobia--for-muslims-read-jews-and-be-shocked-7939392.html; http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/jul/03/british-tolerance-never-a-given-after-woolwich). Ci voleva un giornalista serio e documentato come Andrew Gilligan (http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/terrorism-in-the-uk/10093568/The-truth-about-the-wave-of-attacks-on-Muslims-after-Woolwich-murder.html) per controllare le statistiche di TellMAMA, rivelando come certe preoccupazioni siano infondate. Tanto per cominciare, TellMAMA non indica chiari parametri per definire cosa sia esattamente un “incidente anti-islamico”, ma si evince che la definizione è molto ampia. (Infatti viene classificata come anti-islamica una dichiarazione della pari indipendente Baronessa Flather, secondo la quale sarebbe “inutile per i conservatori dare la caccia ai voti musulmani. Ricevono tutti sovvenzioni statali e votano tutti laburista”.)
Dunque: delle 212 istanze di islamofobia, 120 (il 57%) erano in realtà post su Twitter, Facebook, o blog personali: offensivi e crudeli, ma ben altra cosa rispetto alla violenza fisica, e per giunta spesso legali. Inoltre, molti di essi erano originati in Paesi esteri. Altri 35 incidenti (16%) non sono stati verificati. Meno di un caso su 12 (17%) era di natura “fisica”: in 6 casi si trattava di lancio di oggetti, nella maggior parte degli altri di tentativi di rimuovere il velo o capi di vestiario islamico. In nessun caso sono stati riportati danni fisici. E’ chiaro che casi del genere, per quanto minori, non dovrebbero verificarsi; ma considerando che il 40% dei musulmani britannici vive a Londra, il dato su base nazionale sarebbe di circa 32 casi (uno ogni 100.000 musulmani) in una settimana ad altissima tensione. Inoltre, vagliando i dati della polizia e la stampa del periodo in questione, nemmeno Gilligan è riuscito a identificare un singolo caso in cui un musulmano abbia necessitato di cure mediche a seguito di un attacco. TellMAMA ha riportato il caso di una donna a Bolton che avrebbe perso conoscenza a seguito di aggressione, ma la polizia locale non ne ha avuto notizia e pensa che il presunto incidente non si sia verificato; è improbabile, inoltre, che la stampa locale non se ne sia accorta.
Ci sono stati 12 attacchi contro edifici islamici, tre dei quali piuttosto seri (incendi) benché senza vittime. Tuttavia negli altri casi si è trattato di danni minori (finestre rotte, graffiti), e per fortuna non ci sono state vittime. Secondo la Charity Commission, vi sono da 1100 a 1500 moschee nel Regno Unito, quindi in termini statistici gli attacchi hanno riguardato meno dell’1% di questi edifici di culto. L’Associazione dei capi della polizia (Acpo) ha registrato 71 episodi di islamofobia la settimana successiva all’assassinio, che però non sono necessariamente crimini. True Vision, uno strumento per il monitoraggio di manifestazioni di odio di qualsiasi tipo via Internet, ha riportato 136 episodi anti-islamici (via Internet o fisici), ma non tutti classificabili come crimini; inoltre, alcuni erano stati registrati due volte. Tutto molto deplorevole, ma di “valanga d’odio” non si può proprio parlare; niente di paragonabile alle reazioni seguite alle esplosioni del 7 luglio 2005 a Londra.
Anzi: questi dati mostrano che la reazione è stata a breve termine ed essenzialmente non violenta, e che le comunità hanno tenuto bene. Un certo livello di islamofobia c’è, ma i dati ufficiali mostrano un netto calo dei singoli episodi: l’unica organizzazione che raccoglie dati specifici riguardo a crimini anti-islamici, la polizia londinese, riporta un calo dell’8.5% fra il 2009 e il 2012. Dal 2003 a oggi, il numero degli episodi criminali anti-islamici a Tower Hamlets è quasi dimezzato, e una netta diminuizione si è registrata anche in altre zone ad alta densità islamica del Paese. Nel 2009 il partito più islamofobo, il British National Party, aveva 55 assessori comunali; oggi ne ha 2. Nelle ultime elezioni, il numero dei parlamentari musulmani è raddoppiato; alcuni sono stati eletti in aree con scarsissima popolazione musulmana, come la città natale di Shakespeare, Stratford-upon-Avon. E in Gran Bretagna le campagne contro i minareti e il niqab, che hanno suscitato controversie in altri Stati europei, hanno avuto scarsissima eco.
Anche il tentativo di mettere sullo stesso piano Al Qaeda e gruppi come la English Defence League (“ugualmente problematiche” secondo Mughal) non sta in piedi, perché l’EDL non ha ancora ucciso nessuno, mentre il terrorismo islamico è già costato 53 vite. Fortunatamente, a differenza degli islamisti, gruppi come l’EDL non controllano istituzioni religiose importanti, e non hanno una presenza significativa nelle università inglesi. Inoltre, i sei o sette estremisti di destra arrestati negli ultimi dieci anni perché in possesso di esplosivi e armi agivano soli, senza far parte di gruppi organizzati; mentre molti dei 150 islamisti condannati per attività terroristiche nel Regno Unito agivano secondo piani meticolosamente organizzati e spesso internazionali, contro obiettivi specifici e con un numero di vittime potenziali elevato.
Dei paragoni tra pregiudizio antimusulmano e persecuzioni antiebraiche degli anni Trenta e Quaranta non vale neppure la pena di parlare.
L’inchiesta di Gilligan è stata duramente contestata da TellMAMA, che ha parlato di comportamenti “stile Germania anni Trenta”. Ma a seguito di segnalazioni da parte di polizia e funzionari statali, TellMAMA ha perso le sovvenzioni governative di cui godeva (375.000 sterline nel 2012; vedi http://www.telegraph.co.uk/journalists/andrew-gilligan/10108098/Muslim-hate-monitor-to-lose-backing.html).
TellMAMA è un piccolo pesce, e non è nemmeno islamista. Ma anche se è vero che alcuni musulmani hanno sofferto ingiustamente dopo l’assassinio di Lee Rigby, la vittima è e rimane quest’ultimo. E coloro che, nella comunità musulmana come nei media, insistono nell’ingigantire le ritorsioni che all’assassinio hanno fatto seguito, non fanno altro che portare legna al fuoco acceso dai suoi assassini.