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Ugo Volli
Cartoline
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I sonnellini di Omero e l' 'indifferenza palestinese' 07/07/2013

I sonnellini di Omero e l' «indifferenza palestinese»
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

in alto a destra, Amira Hass

Cari amici,

probabilmente avete sentito parlare di Amira Hass, giornalista - per così dire - che è la più prolifica nemica di Israele in quel giornale arabo in lingua ebraica che si chiama Haaretz. Hass è nota in Italia, perché fa parte di quegli ebrei odiatori del loro popolo che piacciono così tanto alla stampa antisionista che per difendersi mira a distinguere antisemitismo da antisionismo - anche se si tratta di una distinzione totalmente insostenibile, come sarebbe trovare antipatici i neri ma non essere razzisti.

Ma se Haas è per così dire l' 'Omero' dell'odio per Israele nei media - Omero beninteso in confronto ai presentatori televisivi e ai comici che la imitano in Italia, vale anche per lei il vecchio proverbio "Quandoque bonus dormitat Homerus", ogni tanto anche Omero sonnecchia. Le è successo questa settimana nella rubrica fissa che scrive sul settimanale "Internazionale", il cui concetto di giornalismo e la cui relazione con Israele somigliano perfettamente a quello della Hass: far parlare sul conflitto mediorientale solo gli arabi e gli ebrei rigorosamente antisionisti. Di solito su IC non parliamo di questo giornale, la cui spocchia è pari solo alla partigianeria: quando il giornalismo si trasforma in militanza diventa inevitabilmente monotono e far le pulci alla propaganda sempre uguale è troppo noioso, per noi e per i lettori. Ma qualche volta anche Omero, cioè la Hass, sonnecchia e vale la pena di parlarne. Per vostra documentazione riporto qui alla fine il suo componimento (dire articolo sarebbe eccessivo...).

Quel che ci viene raccontato è che la Hass va al suo "caffé preferito" che è vuoto perché "troppo caro" per i giovani di Ramallah, ma ovviamente non per lei che prende un bello stipendio israeliano e non per i "membri delle ong" (non si capisce se arabi o stranieri ma certamente gente che lavora contro Israele e per questo "guadagnano bene"): eroi ben pagati, un'ammissione interessante. Che fa Hass al bar? Cerca di convincere i giovani a manifestare. Lo dice tranquillamente, perché è ovvio che l'agitazione per lei è il primo compito del giornalista. Come se un cronista sportivo incitasse i tifosi della squadra della sua città a fare un po' di caciara: che altro consiglia l'etica professionale? E badate, per Hass i giovani devono manifestare "contro la ripresa dei negoziati": che altro atteggiamento può avere una che si proclama pacifista se non sperare che "i giovani" protestino contro le trattative di pace? Del resto, ricordo che un paio di mesi fa la Hass suscitò molte polemiche con un articolo, sempre tradotto in italiano da "Internazionale" in cui esaltava lo sport palestinese di fare il tiro a segno con le pietre sulle automobili israeliane in movimento sulle strade, provocando decine di feriti e anche qualche morto, di solito bambini innocenti investiti dal proiettile e dalle schegge dei vetri. Più pacifista di così...

Ma il sonnellino vero e proprio viene alla fine: "Ho chiesto ad alcuni analisti e osservatori più anziani se si aspettano una nuova intifada. Mi hanno risposto di no, perché i ragazzi sono consapevoli di quello che succede negli stati arabi vicini (Siria, Giordania, Egitto) e considerano la loro situazione migliore. "Almeno non rischiamo di morire ogni giorno e siamo meno poveri degli egiziani", mi ha spiegato un'amica, implorandomi di non citare il suo nome." Guarda un po', i palestinesi non vogliono l'intifada, considerano di stare meglio dei paesi vicini e non vogliono "rischiare di morire ogni giorno" per il gusto di ammazzare qualche bambino israeliano. Hass, da vera giornalista anglosassone, non esprime il suo rimprovero, ma questo è implicito. Possiamo immaginare l'espressione severa sul suo volto di intellettuale e pacifista integerrima. Ha fatto un solo errore, sonnecchiando: di raccontarci queste cose. Perché fanno giustizia di tutta l'analisi del conflitto dei nemici di Israele. Non è vero che i palestinesi sono oppressi e gli altri arabi liberi. Non è vero che il conflitto con Israele è la causa di tutti i guai circostanti, anzi. Non è vero che i palestinesi fremono per scendere in combattimento contro Israele. Non è vero che lo status quo non si può reggere. Non è vero niente. Vi sono solo abbondanti plotoni di giornalisti e membri delle Ong "ben pagati" che soffiano sul fuoco. Speriamo che prima o poi sonnecchino tutti quanti e magari si lascino sfuggire qualche verità, ma soprattutto permettano che le cose vadano verso la convivenza pacifica che è già possibile.

Ugo Volli

L'articolo di Amira Hass: "indifferenza palestinese"

Sono le tre del pomeriggio, e il mio caffè preferito a Ramallah è vuoto. II ragazzo che ho appena intervistato se n'è andato dopo una lunga chiacchierata sulla ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi. La tendenza tra i giovani è di rifiutarsi di parlarne, perché tanto per loro è tutta una farsa. Per fortuna alcuni accettano di parlare con me a condizione di mantenere l'anonimato. II caffè è vuoto a causa della crisi economica? Le sue bibite alcoliche e analcoliche sono più care rispetto ai bar israeliani, ma le insalate e le zuppe costano meno. In ogni caso le tariffe sono inaccessibili per un lavoratore palestinese. I clienti sono membri delle ong (che guadagnano bene), stranieri e giovani che sorseggiano lentamente una birra per passare il tempo. Ogni mattina viene anche un vecchio funzionario dell'Olp, che osserva per ore il mondo esterno. Avevo chiesto al mio ospite come mai i giovani non manifestano contro la ripresa dei negoziati. "Abbiamo altre priorità", mi ha risposto. "Sappiamo che in ogni caso non porteranno a niente, quindi perché perdere tempo?". Ho chiesto ad alcuni analisti e osservatori più anziani se si aspettano una nuova intifada. Mi hanno risposto di no, perché i ragazzi sono consapevoli di quello che succede negli stati arabi vicini (Siria, Giordania, Egitto) e considerano la loro situazione migliore. "Almeno non rischiamo di morire ogni giorno e siamo meno poveri degli egiziani", mi ha spiegato un'amica, implorandomi di non citare il suo nome.


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