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La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
06.07.2013 Egitto nel caos - le interviste
di Maurizio Molinari, Paolo Valentino, Cecilia Zecchinelli, Pietro Del Re

Testata:La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Paolo Valentino - Cecilia Zecchinelli - Pietro Del Re
Titolo: «Obama archivierà la Primavera araba. I suoi veri alleati? Emiri e sceicchi - Il rischio di un boomerang politico. Così si gonfiano le file dei terroristi - Il giovane Gehad: 'Il mondo conoscerà i nostri martiri' - L’Egitto è cambiato, gli islamisti non l’»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/07/2013, a pag. 11, l'intervista di Maurizio Molinari a Charlie Kupchan dal titolo " Obama archivierà la Primavera araba. I suoi veri alleati? Emiri e sceicchi ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'intervista di Paolo Valentino a Vali Nasr dal titolo " Il rischio di un boomerang politico. Così si gonfiano le file dei terroristi ", a pag. 14, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Il giovane Gehad: «Il mondo conoscerà i nostri martiri»". Da REPUBBLICA, a pag. 14, l'intervista di Pietro del Re a Gilles Kepel dal titolo " L’Egitto è cambiato, gli islamisti non l’hanno capito ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama archivierà la Primavera araba. I suoi veri alleati? Emiri e sceicchi "


Maurizio Molinari, Charlie Kupchan

«Barack Obama ha tentato di influenzare la primavera araba ma non c'è riuscito e ora resterà a debita distanza»: davanti al rovesciamento di Morsi è questa la previsione di Charlie Kupchan, il politologo del Council on Foreign Relations già membro del consiglio per la sicurezza nazionale di Bill Clinton.

Favorendo la caduta di Mubarak, Obama puntò in Egitto sull'alleanza fra militari e Fratelli Musulmani che ora è in pezzi. Dove è stato l’errore?

«A commetterlo è stato Morsi perché non ha saputo governare l'Egitto, non ha capito l'urgenza di risolvere i problemi economici, ha fatto peggiorare la sicurezza e le finanze pubbliche sono al collasso. Il fallimento della formula promossa da Obama non è ideologico: Morsi non ha trasformato l'Egitto in un nuovo Iran ma è stato inefficiente, le condizioni di vita sono peggiorate ed è tornata la rivolta. Anche perché l’inefficienza nel governo si è unita ad un'altro errore. L'incapacità, o la non volontà, di aprire alle opposizioni. Pur essendo stato eletto democraticamente Morsi non si è comportato da leader democratico, ha gestito il potere in maniera autoritaria».

Quali sono le opzioni che ora la Casa Bianca ha davanti?

«Credo che la Casa Bianca farà molte dichiarazioni ma non andrà molto più in là. Prevarrà la cautela, la distanza».

È un’ammissione di fallimento politico?

«No, credo sia la conseguenza di quanto avvenuto. Obama ha tentato di influenzare le primavere arabe in più Paesi ma non c'è riuscito. Il motivo è che l'America tradizionalmente sostiene i movimenti pro-democrazia ma nel mondo arabo lì dove hanno avuto successo hanno portato a governi islamici oppure instabilità».

A cosa pensa in particolare?

«Alla Libia. Quando Gheddafi venne rovesciato gli americani furono accolti come liberatori a Bengasi, circondati da grandi emozioni e sostegni ma oggi quella stessa città è una Ground Zero, con le macerie del consolato dove è stato ucciso il nostro ambasciatore».

Vedremo un'America più distaccata rispetto al mondo arabo?

«Obama deve prendere atto di non essere in grado di influenzare gli eventi. Può decidere questa o quella politica ma, dall’Egitto alla Siria, i fatti dimostrano che difficilmente può essere risolutivo. Ecco perché avrà un approccio più pragmatico».

Ci può fare un esempio di questo pragmatismo...

«Ciò che più fa riflettere è come nel mondo arabo, dopo anni di fermo sostegno alle primavere arabe, i migliori alleati degli Stati Uniti rimangono le monarchie del Golfo che più rappresentano la continuità dinastica che è l’opposto della democrazia. È una constatazione che suggerisce prudenza sulle mosse da compiere».

CORRIERE della SERA - Paolo Valentino : " Il rischio di un boomerang politico. Così si gonfiano le file dei terroristi "


Paolo Valentino     Vali Nasr

NEW YORK — «Ciò che è successo a Mohammed Morsi assomiglia a ciò che successe a Nawaz Sharif in Pakistan, nel 1999: venne accusato di voler arraffare tutto il potere e venne cacciato da Musharraf senza un verdetto popolare. Tredici anni dopo Sharif è tornato al potere a Islamabad. Per questo dico che il golpe in Egitto è un colpo devastante, ma non è la fine dell’Islam politico».

Vali Nasr è uno dei maggiori esperti americani sul Medio Oriente. Docente alla Johns Hopkins University, Nasr è stato anche consigliere speciale di Richard Holbrooke, l’inviato speciale della Casa Bianca per l’Afghanistan, morto nel dicembre 2010.

Eppure, professore, molti parlano d’inizio della fine per l’Islam politico, emerso dalle primavere arabe come la forza più legittimata e meglio organizzata per governare.

«E’ un giudizio destinato ad avere vita breve. Nel 2011, per esempio, in tanti si affrettarono a dire che Al Qaeda era finita. Conclusione molto semplicistica, come si è visto. Purtroppo Morsi non è stato sconfitto nelle urne. Sarebbe stato molto diverso se gli egiziani gli avessero votato contro. Così lui si avvia a diventare un martire. Se i militari non faranno bene, cosa più che possibile, i Fratelli Musulmani potranno dire che è stato sabotato, cacciato illegalmente dal potere con una congiura orchestrata dall’esercito. E’ un fatto che Morsi era stato eletto democraticamente e in democrazia un cattivo governo non può essere rimosso con mezzi anti-democratici».

Ma è vero anche che Morsi e i Fratelli Musulmani stavano truccando il sistema democratico…

«I laici in Egitto hanno impunemente truccato il sistema per decenni. Non voglio difendere Morsi, ma questo è il modo in cui gli islamisti e i loro sostenitori percepiscono ciò che è successo. Ogni volta che si cambia un regime in modo antidemocratico, si lascia la porta aperta a trasformare quel regime in martire. E ci sono tutte le condizioni perché i Fratelli Musulmani vengano visti come difensori della democrazia in Medio Oriente».

Ma il fatto che Mohamed Morsi abbia fallito come leader e come capo di governo conterà pure qualcosa?

«Sì, ma ora i Fratelli Musulmani hanno un alibi, possono nascondere il fallimento della loro governance dietro la retorica che non è stato dato loro il tempo necessario, che i militari complottavano nell’ombra e che l’Occidente non si è mai veramente impegnato in un serio piano di aiuti».

Cosa significa per l’Islam politico sul piano interno?

«Le ali più estreme diranno che partecipare al gioco democratico è inutile, perché truccato. E quindi che per andare al potere occorre buttare giù l’intero sistema, compresi i militari. Secondo, i generali cercheranno di regolare una volta per tutte i conti con i Fratelli Musulmani. Lo stanno già facendo: arresti, rimozioni, purghe. Sarà una caccia alle streghe, com’è successo altrove, in Turchia nel 1980, in Pakistan nel 1999. Questo darà un’altra spinta verso la radicalizzazione. Rischiamo di allevare una nuova generazione di terroristi. Terzo, tutta l’esperienza della cacciata di Mubarak ha spappolato la società e l’economia egiziana, che è a pezzi. Sarà difficile che i militari riescano a rimettere insieme i cocci. E allora vedremo nuovamente le strade piene, ma questa volta saranno folle islamiche. Alla lunga la forza bruta non basterà a contenerle».

Qual è la sfida ora per gli Stati Uniti e l’Europa?

«Americani ed europei devono assumersi le loro responsabilità, invece di voltare di fatto le spalle come nei due anni seguiti alla caduta di Mubarak. Fra vent’anni l’Egitto rischia di essere un Paese di 140 milioni di abitanti, radicalizzato e impoverito. E sarebbe un problema ancora più grande per l’Europa che per l’America, un cancro che potrebbe infettare il resto della regione. L’Occidente dev’essere duro con i generali. Deve esercitare forti pressioni perché restituiscano al più presto il potere ai civili, ammettendo i Fratelli Musulmani a partecipare al sistema politico. Penso anche che la comunità internazionale debba vincolare gli aiuti a vere riforme politiche ed economiche, costringendo i militari a mollare il controllo dell’80% dell’economia egiziana. L’Egitto non ha più bisogno di F-16 o carri armati, ma di riforme, privatizzazioni e apertura economica».

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Il giovane Gehad: «Il mondo conoscerà i nostri martiri» "


Cecilia Zecchinelli                 Gehad El Haddad

IL CAIRO — In una tenda allestita dietro la moschea di Raaba Al Adawiya, da una settimana centro del presidio della Fratellanza musulmana nella capitale, Gehad El Haddad continua freneticamente a rispondere al telefono, scrivere tweet ed email nonostante l’allarme alle stelle, gli elicotteri Apache che volano bassi e le notizie drammatiche che arrivano da tutto il Paese. «Siamo sotto assedio, siamo manifestanti pacifici e i militari stanno sparando proiettili veri contro i dimostranti uccidendoli — ci dice commentando la morte appena avvenuta di tre sostenitori di Morsi — Qui nessuno ne parla ma è questo il risultato del golpe dei generali. Dov’è la legalità? E la democrazia? Siamo noi i terroristi?». Figlio di una ricca famiglia di Alessandria da sempre legata alla Fratellanza — il padre Essam, ora sotto custodia militare, è stato fino all’ultimo capo di gabinetto di Mohammad Morsi ed è membro del comitato supremo della Confraternita – Gehad, 31 anni, ha lasciato alle spalle una carriera da imprenditore nei media per diventare portavoce del partito Libertà e giustizia, il braccio politico dei Fratelli musulmani. Nelle ultime ore, dopo l’oscuramento di tutte le tv vicine al partito di Morsi e con la maggior parte dei vertici della Fratellanza agli arresti e impossibilitati a comunicare, Gehad è ormai una delle poche voci che continua a farsi sentire.«Non siamo più nell’Algeria del 1992, i video che mostrano come il primo martire del golpe militare sia stato ucciso a sangue freddo stanno già circolando», continua Gehad, che denuncia interferenze nelle comunicazioni intorno a Raabaa messe in atto dalle autorità militari. E che non nega gli errori compiuti dalla presidenza Morsi, attribuendoli però soprattutto alle enormi difficoltà di reggere questo Paese. «È come avere un’auto vecchia e dalle ruote sgonfie e farle correre una gara di Formula Uno, la gente poi è furiosa per il pessimo piazzamento ma non è certo colpa del pilota» ci aveva detto pochi giorni fa nella stessa tenda. Aggiungendo che molte delle accuse rivolte a Morsi erano in realtà da rivolgere all’opposizione, come il rinvio delle elezioni parlamentari che la Fratellanza avrebbe invece voluto. Ma questo era prima della deposizione del raìs. «Una deposizione che noi non possiamo certo accettare», dice ora Gehad. Che poi aggiunge: «se qualcuno crede che questa sia la fine dei Fratelli musulmani e delle loro idee si sbaglia. Abbiamo visto passare re e dittatori ma noi siamo rimasti. Nemmeno questo nuovo golpe dei generali ci potrà cancellare».

La REPUBBLICA - Pietro Del Re : " L’Egitto è cambiato, gli islamisti non l’hanno capito "


Pietro Del Re              Gilles Kepel

Gilles Kepel continua ad avere le idee confuse su quale sia la capitale israeliana. Qualcuno può spiegarli che si tratta di Gerusalemme e non Tel Aviv ?

«Se Morsi si fosse rivolto all’insieme del suo elettorato, non sarebbe stato estromesso dal potere così rapidamente», dice il politologo francese Gilles Kepel, specialista dell’Islam e del mondo arabo. «Buona parte del 51 per cento degli egiziani che l’anno scorso votarono per lui, non sono islamisti. Lo scelsero solo per evitare che i militari tornassero al potere ».
Professor Kepel, dove altro ha sbagliato Morsi?
«Anzitutto, con la sua catastrofica politica economica. Poi ha dato l’impressione che la confraternita al potere fosse una setta segreta e che lui obbediva soltanto alla guida suprema, Mohammed Badie. Su tutto ciò, ci sono i problemi degli ultimi giorni, con le uccisioni nei villaggi, che hanno fatto traboccare il vaso».
La pazienza dei militari è durata due anni e mezzo. Che cosa accadrà adesso? «Ci sono milioni di egiziani nelle strade. Chi continua a combattere per Morsi e chi, invece, esulta per la sua caduta. Questi ultimi sono un movimento molto eterogeneo, senza un leader e senza un programma, con al suo interno sia dei salafiti, sia degli uomini di sinistra. Questo strano matrimonio tra esercito e popolazione è abbastanza forte da spingere ai margini il potere di Morsi. Come si organizzerà questa nuova unione è ancora un mistero, nonostante il triumvirato sostenuto dai militari. Ma i problemi dell’Egitto sono l’ordine pubblico e il rilancio dell’economia moribonda».
Stavolta non è stata Piazza Tahrir a far cadere il faraone del momento. E’ tramontata per sempre la primavera egiziana?
«L’espressione “primavera egiziana” era illusoria, anche perché gli è succeduto un “autunno islamista”. C’è stata però una profonda trasformazione della società, della cultura, del popolo egiziano. Adesso la gente non ha più paura. I Fratelli musulmani non avevano capito che la società era cambiata. Il loro movimento appartiene al passato. Nel momento in cui Morsi ha voluto adottare leggi autoritarie e liberticide, gli egiziani hanno cominciato a rivoltarglisi contro». Dietro la fine del regime Morsi c’è anche la mano di Washington?
«Non credo. Non a caso, i manifestanti delle strade del Cairo irridevano l’ambasciatrice statunitense chiamandola “vecchia strega”. E per quanto paradossale possa sembrare, gli oppositori di Morsi gli rinfacciano di essersi alleato con Obama e di aver lavorato per gli interessi di Israele. La trasformazione in corso può anche essere interpretata come una delle conseguenze della guerra in Siria, dove all’alleanza russo-iraniana favorevole ad Assad si oppone a quella che va da Ryad a Tel Aviv passando via Ankara e Washington».
Ci sono state centinaia di stupri a piazza Tahrir in questi giorni, con cordoni di manifestanti che si sono creati per difendere le donne. Come spiega tanto accanimento?
«In Egitto si è sviluppata un’enorme frustrazione sessuale per via della povertà e dei divieti. Ma ci sono anche state molte provocazioni da parte degli oppositori dei Fratelli musulmani. Gli stupri e i linciaggi hanno fornito agli egiziani un’immagine orribile della loro società: senza polizia e senza esercito c’è il caos, e per uscire dal caos è necessario rimettere i militari al centro dell’ordine pubblico ».

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