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Corriere della Sera - Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
04.07.2013 Egitto: Morsi deposto dall'esercito (2)
cronache e commenti di Cecilia Zecchinelli, Gian Micalessin, Fausto Biloslavo, Francesca Paci

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale - La Stampa
Autore: Cecilia Zecchinelli - Gian Micalessin - Fausto Biloslavo - Francesca Paci
Titolo: «I misteri del generale che ha sedotto la piazza con il suo carisma soft - Da 'fedele' scudiero a boia. È l’esercito a dettare la linea - Il 'nuovo faraone' durato appena un anno - In piazza cordone umano per difendere le donne»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/07/2013, a pag. 3, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " I misteri del generale che ha sedotto la piazza con il suo carisma soft ". Dal GIORNALE, a pag. 2 l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo "Il «nuovo faraone» durato appena un anno " , a pag. 4, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Da «fedele» scudiero a boia. È l’esercito a dettare la linea ". Dalla STAMPA, a pag.4, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " In piazza cordone umano per difendere le donne ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : "I misteri del generale che ha sedotto la piazza con il suo carisma soft "


Abdel Fattah Al Sisi

IL CAIRO — Tra i mille e uno misteri del Nuovo Egitto, c’è certo la rapidità con cui il generale Abdel Fattah Al Sisi si sia trasformato da «nemico del popolo» a eroe delle piazze anti-Morsi. E come Mohammad ElBaradei, l’ex capo dell’Agenzia atomica Onu, sia passato da essere considerato uno «straniero» lontano dalla cultura dell’Egitto dove è nato ma ha poco vissuto, a figura chiave del Fronte 30 giugno dell’opposizione e con ogni probabilità della storia politica nell’imminente futuro. Due uomini che hanno svolto ruoli fondamentali nei convulsi avvenimenti di questi giorni. Che si sono conosciuti relativamente da poco, molto diversi tra loro, ma che secondo varie fonti ora «si accettano e si stimano». La prova sono i fatti in corso .

Sconosciuto ai più fino all’agosto scorso, quando l’ormai ex raìs Morsi lo nominò a capo del Consiglio delle Forze armate (Scaf) dopo aver rimosso l’anziano Tantawi, il generale nato al Cairo nel 1954 era stato visto all’inizio come troppo vicino ai Fratelli, e per questo da loro insediato al vertice militare. Non solo fervente musulmano, ma con una moglie con velo integrale, scrivevano i media egiziani. Cosa vera la prima, non confermata la seconda. Poco era piaciuto poi che Al Sisi avesse difeso nell’aprile 2012 gli infami «test di verginità» imposti dai soldati che avevano arrestato (e picchiato) un gruppo di dimostranti donne a Tahrir. «Lo hanno fatto per proteggere le ragazze da stupri e i militari da denunce di stupro», disse allora, sollevando un giusto putiferio. Qualche mese dopo però si impegnò a vietarli. Ma soprattutto, una volta capo dello Scaf, Al Sisi è riuscito a risollevare il morale dell’esercito, la sua efficienza e l’immagine presso la gente.

«È finalmente un militare moderno, non ha combattuto in battaglia come la vecchia guardia da Mubarak a Tantawi, ma è professionale, pragmatico, paziente e ha un grande carisma», dice Mohammad Kadri Said, esperto militare del Centro studi Al Ahram e lui stesso un ex generale. «Come capo dell’intelligence militare conosce politicamente la società, trattare in queste settimane con i giovani ribelli e l’opposizione non gli è stato difficile. E anche con gli americani, che conosce bene per aver passato lungo tempo in America, ha rapporti molto stretti e produttivi, ha compensato le difficoltà della presidenza Morsi». Tra l’altro, aggiunge Said, è «certo abbastanza accorto da non volere il potere politico per sé, almeno nelle apparenze» .

A differenza di Tantawi, che per 16 mesi resse il Paese dopo Mubarak, Al Sisi vuole infatti dare spazio a figure civili. E ElBaradei è una di queste. Il premio Nobel è stato in realtà scelto due giorni fa dal Fronte dell’opposizione come suo solo rappresentante nei negoziati per la transizione. Eppure, quando nel 2010 tornò al Cairo per fondare il suo fronte nazionale per il cambiamento, gli oppositori di Mubarak non lo accolsero bene. Foto sue con bicchieri di vino, della figlia in bikini, circolavano come prova che fosse ormai troppo lontano dal suo Paese. E poi la sua fobia per i luoghi affollati (Tahrir), le difficoltà di parlare alla gente e come la gente (un consigliere lo implorò di usare ogni tanto la parola «inshallah»), l’appellativo di «twitter-man» per il suo preferire le comunicazioni elettroniche. Però ElBaradei ha poi fatto molte scelte giuste: non si è «bruciato» nella lotta interna all’opposizione alle presidenziali del 2011, anzi le ha seguite dall’estero. E una volta tornato ha lavorato bene e con tutti. Con i leader anti-Morsi, con gli americani, con Al Sisi. Ha già detto che nemmeno questa volta correrà per la presidenza, ma nella transizione (che non sarà breve) tutti pensano che avrà un ruolo chiave .  

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Da «fedele» scudiero a boia. È l’esercito a dettare la linea "

Un anno fa era il suo scu­diero. Ora è il suo boia. Se nei gialli l'assassino è sempre un maggiordomo in Egitto è più spesso un generale. Stavolta si chiama Abdul Fat­tah al Sissi. Il 12 agosto del 2012 fu lui a metter fuori gioco il Feld­maresciallo Mohamed Hus­sein Tantawi, consentendo al neo eletto presidente Moha­med Morsi di assumere i pieni poteri. In quei giorni il 58enne capo dell’intelligence,il più gio­vane dei generali dello Scaf, sembrava pronto a tutto pur di accontentare i Fratelli Musul­mani. E la sua immediata pro­mo­zione a capo di Stato Maggio­re e ministro della Difesa venne interpretata come il segnale del­l’avvenuta sottomissione del­l’esercito al potere fondamenta­lista.
La storia personale di Sissi sembrava confermarlo. Ferven­te rel­igioso sin dai tempi dell'Ar­my War College negli Stati Uniti il Capo dello Stato Maggiore ha un nipote all’interno della Fra­tellanza ed è uno dei pochi gene­rali a tirarsi dietro una moglie avvolta nel niqab, il velo integra­le. Ma in Egitto la divisa è più for­te della religione. E l’opportuni­smo più praticato della lealtà. Morsi lo capisce a fine anno, quando un comunicato dei mi­li­tari cita «ordini precisi per pre­venire tendenze politiche o reli­giose all'interno dell'esercito». Il generale Sissi, insomma, è sta­to al servizio di Morsi solo per il tempo necessario a mettere fuo­ri gioco Tantawi. A quel punto il docile scudiero è già tornato ad essere la punta di lancia di un apparato militare pronto a con­trapporsi al presidente ogni qualvolta le sue politiche con­fliggono con gli interessi dei ge­nerali.
I principali punti di attrito so­no i rapporti con Hamas, la for­mazione palestinese figlia della Fratellanza Musulmana con cui Morsi vorrebbe un’intesa e quell’Iran con cui il presidente
vuole stringere rapporti più stretti in virtù dell’appoggio di Teheran ai militanti i della Stri­scia di Gaza.
A rendere irrequieti i militari contribuisce anche l'eccessiva dipendenza di Morsi dal Qatar. L’alleanza della Fratellanza con un partner finanziariamen­te egemone è interpretato dai generali come un tentativo di ri­baltare l’assetto economico in­dustriale di un Paese dove i ge­nerali controllano, direttamen­te o indirettamente, oltre il 40 per cento della produzione eco­nomica. Il tentativo di sottrarre all’esercito il potere economi­co e trasferirlo nelle mani d’im­prenditori legati alla Fratellan­za Musulmana segna, con tutta probabilità, la fine di Morsi.
Il braccio di ferro iniziato con
la sua destituzione e il trasferi­mento agli arresti domiciliari potrebbe però rivelarsi lungo e complesso. Pur avendo già av­viato il colpo di mano i militari sanno di non potersi permette­re un golpe segnato da un ba­gno di sangue e da una spietata repressione della Fratellanza Musulmana. Una scelta così drastica, oltre a privarli del so­stegno di un’opinione pubbli­ca tornata a credere in loro, met­terebbe­a rischio gli aiuti milita­ri per oltre un miliardo e trecen­to milioni di dollari annui garan­titi dal Pentagono. Dunque per tornare a governare nell’ombra e a gestire il potere economico Sissi e i generali devono muo­versi con i piedi di piombo. I car­ri armati già scesi nelle piazze non puntano, almeno nei pia­ni, a far strage di militanti fonda­mentalisti, ma a convincere Morsi e i suoi a lasciare il posto ad una presidenza ad interim guidata dal presidente della cor­te costituzionale Adli Mansour.
Da lì tutto ripartirà come pri­ma. La Costituzione verrà ripuli­ta dagli eccessi di «sharia» intro­dotti da Morsi e compagni in at­tesa
di una nuova elezione pre­sidenziale. Ora la scelta tra il dia­logo e lo scontro di piazza è tut­ta nelle mani di una Fratellanza capace di mobilitare milioni di sostenitori. Ma la scelta di resi­stere rischia di rivelarsi un ceri­no a­cceso pronto a bruciare de­finitivamente chi si illudeva d’aver strappato il potere agli eredi di Nasser, Sadat e Muba­rak.

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " Il «nuovo faraone» durato appena un anno"

Il primo presidente del rivoluziona­rio Egitto, che ha giurato di obbedire so­lo ad Allah e al popolo, è durato al pote­re appena un anno. Il Fratello musul­mano, che ha abbindolato le cancelle­rie occidentali, è crollato sull’incapaci­tà­di portare l’Egitto fuori dalla crisi po­litica e soprattutto economica del do­po Mubarak.
L’inizio della fine è coinciso con il tentativo di usurpare i suoi poteri. Dal politico liberale e premio Nobel per la pace, Mohammed al Baradei, si è bec­cato la sprezzante definizione di «nuo­vo faraone ». Eppure ne ha fatta di stra­da dal povero villaggio di El Adwa, al nord del Cairo dove è nato nel 1951. Dell’infanzia gli piace ricordare con la stampa che andava a scuola a dorso di mulo. Il futuro presidente eletto e deposto dell’Egitto si laurea in ingegneria al Cai­ro. Poi va a specializzarsi ne­gli Stati Uniti accompagna­to dalla moglie rigorosa­mente velata, la fedele cugi­na Naglaa Ali Mahmoud, che gli ha dato cinque figli. Due sono nati negli Usa e hanno anche la cittadinan­za americana. Quando rientra in pa­tria nel 1985 inizia ad insegnare ad un’università della capitale e a palesar­si­come membro della Fratellanza mu­sulmana formalmente fuorilegge.
Nel 2000 entra in parlamento e dopo l’11 settembre mette in dubbio la matri­ce di al Qaida dell’attacco al­le
Torri gemelle. Il regime gli leva il seggio e lo sbatte per alcuni periodi in galera. Durante la rivolta che fa crol­lare Mubarak torna in carce­re il 28 gennaio 2011, assie­me al gotha dei Fratelli mu­sulmani liberato due giorni dopo dai loro discepoli. Pro­prio Morsi chiama in diretta al Jazeera annunciando la fuga in mez­zo al deserto.
Nel nuovo partito Libertà e giustizia è il Fratello musulmano dal volto uma­no, che porta la barba islamica, ma par­la inglese e si veste all’occidentale. Lo scorso anno non è il candidato di pun­ta della Fratellanza,
ma lo diventa stra­da facendo grazie a divisioni interne. Il 24 giugno viene eletto democratica­mente con il 51,7% dei voti. Washin­gton e le cancellerie europee sono spaccate. Qualcuno considera Morsi un affidabile puntello di stabilità nel ca­otico Medio oriente. Altri sono convin­ti che sia un Giano bifronte che aprirà la strada ad una dittatura in nome di Al­lah. In agosto silura i pezzi grossi delle forze armate come il generale Moha­med Hussein Tantawi. La vecchia bu­rocrazia di Mubarak, a cominciare dai giudici nominati dal Rais deposto, gli rema contro. Morsi piuttosto che dedi­carsi alla crisi economica punta ad una Costituzione in nome della sharia e a blindare il parlamento dominato dagli islamici duri e puri.L’impressione,nel­le interviste con i giornalisti stranieri, è che il presidente dica quello che l’inter­locutore si aspetta. Una tattica consoli­data dei Fratelli musulmani che in pa­tria usano un linguaggio ben più acce­so, ma fanno la parte degli agnellini me­ritevoli di fiducia con gli occidentali.
Lo scorso novembre durante le pri­me manifestazioni di protesta spiega al settimanale Time : «Avete visto i son­daggi più recenti. Penso che più del­l’ 80%, attorno al 90% del popolo sia con me». Pochi mesi dopo milioni di egiziani in piazza spingono l’esercito ad intervenire con un golpe, mentre Morsi annuncia di essere «pronto a mo­rire ».

La STAMPA - Francesca Paci : " In piazza cordone umano per difendere le donne"

Nei giorni che hanno preceduto e seguito l’oceanica manifestazione di domenica in Egitto, i ragazzi del movimento Tamarod hanno continuamente sottolineato la partecipazione di mogli, figlie e sorelle, per prendere le distanze dalle aggressioni sessuali che nei due anni successivi alla rivoluzione del 2011 hanno regalato al Cairo l’infame primato di capitale araba delle molestie sessuali, dove la metà delle interpellate dichiara di subirne quotidianamente.

Il cordone di protezione intorno alle manifestanti nella nuovamente «liberata» Tahrir racconta il retroscena di una protesta piena di ombre nonostante i riflettori internazionali. Secondo le organizzazioni a tutela delle donne infatti, mentre la piazza simbolo della rivoluzione lanciava l’estrema sfida a Morsi, nei vicoli circostanti ci sarebbero stati oltre cento casi di violenze a partire da quello ai danni della reporter olandese tornata a casa sotto shock sabato notte. Tanto che lunedì, lanciando l’ultimatum al presidente, gli attivisti di Tamarod avevano illuminato con lampade d’emergenza la via Mohammed Mahmoud, quella famosa per i graffiti contro il regime ma anche, tristemente, per il ripetersi di aggressioni sessuali.

Human Rights Watch parla di almeno 91 casi di aggressione dal 28 giugno, alcuni dei quali finiti in stupro, sulla base di informazioni raccolte dalle associazioni locali. Cinque aggressioni si sono verificate il 28 Giugno, ben 46 domenica 30 giugno, giorno di massicce manifestazioni, ancora 17 il 1 luglio e 23 il 2 luglio.

«Il cordone è un’iniziativa giusta di cui voglio ringraziare gli uomini e i ragazzi che si curano, se non dell’emancipazione, quantomeno del benessere della donna» commenta la giornalista Hania Moheeb che ha subito a sua volta violenza il 25 gennaio scorso, secondo anniversario della rivoluzione contro Mubarak, ma anche giorno nero per l’altra metà del cielo, con almeno venti casi di gravi molestie sessuali. Hania, diversamente da molte connazionali, ha potuto contare sul sostegno del marito Sharif che si è presentato accanto a lei in tv per puntare l’indice contro gli aggressori anziché, come costume locale, contro le vittime.

«Dobbiamo ancora battere la mentalità terribile di uomini cresciuti con la convinzione di poter trattare la donna come un oggetto e non come essere umano» chiosa Hania. Cambiare le leggi non è sufficiente, i cambiamenti culturali sono lenti e tortuosi.

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